Zitto zitto il governo italiano concede la base di Sigonella per far decollare droni armati americani verso la Libia.
I negoziati sui droni killer fra l'Italia e gli Stati Uniti durano da mesi, ma il governo Renzi non ha ritenuto opportuno mettere al corrente il Parlamento e i cittadini italiani di quanto stava accadendo. Grazie, Wall Strett Journal, per aver informato gli italiani.
L'Italia di fatto è coinvolta in azioni di guerra, altro che "missioni difensive". Nel silenzio più allarmante dei politici intanto i droni decollano. Per fare il punto della situazione, Sputnik Italia ha raggiunto Antonio Mazzeo, giornalista da tempo impegnato nei temi della pace e della militarizzazione.Sigonella, l'aeroporto di Pantelleria, il Muos di Niscemi, la Sicilia intera è un laboratorio di guerra e sembra oramai appartenere totalmente agli americani. I droni armati di cui si parla tanto oggi, in realtà, erano dislocati a Sigonella già da anni. Ebbene, il governo italiano, anticipato in modo imbarazzante dal WSJ, è costretto ora a parlarne, ma resta poco chiaro.
Antonio Mazzeo, giornalista da tempo impegnato nei temi della pace e della militarizzazione - ©
Foto: fornita da Antonio Mazzeo
— I droni armati americani dislocati a Sigonella potranno volare sulla Libia per effettuare, come dice il governo italiano, "missioni difensive". Secondo lei si tratterà veramente di sole missioni difensive e come si potranno distinguere da quelle offensive?
— Chi conosce le strategie di guerra, sa che ormai non esistono più frontiere tra il difensivo e l'offensivo. Le nuove tecnologie puntano a essere armi di distruzione di massa e soprattutto armi da first strike, cioè armi da "primo colpo". Significa di annientare prima che gli avversari possano effettuare qualsiasi tipo di risposta. Anche i droni non armati, come i Global Hawk presenti a Sigonella da 9 anni non hanno assolutamente una funzione difensiva, hanno il compito di monitorare e individuare obiettivi, poi segnalarli ai cacciabombardieri con sistemi missilistici ed eventualmente trasmettere anche gli ordini di attacco. Anche i sistemi che non imbarcano missili, sono armi d'attacco, di distruzione a primo colpo.
In realtà non è una notizia quella di cui parlano questi giorni i media, perché i droni armati operano a Sigonella ininterrottamente dalla primavera del 2011, da quando è stato consentito agli americani di trasferire alcune batterie che partivano direttamente per incursioni in Libia.
— Quindi i droni armati americani partivano già da Sigonella verso la Libia?
— Operavano già da tempo, è confermato dagli Stati Uniti d'America nella primavera del 2011. Hanno già pubblicato anni orsono un dossier che è stato prodotto per il parlamento italiano dal Centro Studi Strategici italiani, che faceva espresso riferimento, cosa mai smentita, ad un accordo bilaterale sottoscritto nell'inverno del 2013 tra l'Italia e gli Stati Uniti. L'accordo consentiva il dislocamento a Sigonella fino a 6 Predator, cioè i droni killer di cui si parla oggi per operare sullo scacchiere africano, non soltanto nel conflitto libico, parliamo anche dell'Africa Sub sahariana, il Niger, il Mali, il Corno d'Africa, dove da anni vengono effettuati veri e propri bombardamenti con i droni. Quindi purtroppo non si tratta di una novità. Oramai Sigonella è un vero e proprio trampolino per operazioni di attacco, distruzione e ovviamente di morte.— Queste informazioni arrivano agli italiani d'oltreoceano, come dal Wall Street Journal. I negoziati tra Italia e Stati Uniti sui droni armati in realtà duravano da mesi. Perché il governo italiano non ne ha parlato, non c'è stato un dibattito?
— Non è neanche questa una novità. In tutta la storia del processo di militarizzazione e delle strutture militari concesse agli americani, le informazioni venivano dall'estero. Ho pubblicato centinaia di articoli, sempre ed esclusivamente le mie fonti sono state le informazioni ufficiali del governo statunitense, del Pentagono. Non c'è mai stata una comunicazione in parlamento.
I cittadini italiani sono stati privati del loro diritto di informazione, perché non sanno che cosa succede sul territorio italiano. La cosa più grave a mio avviso e che rappresenta di fatto una violazione profonda della Costituzione italiana è che l'informazione riguardante l'uso di basi militari in Italia date in concessione agli americani di fatto è un argomento su cui anche in Parlamento c'è il silenzio assoluto.
L'inizio delle esercitazioni Trident Juncture in Sicilia -©
AFP 2016/ MARCELLO PATERNOSTRO
— La Sicilia con le sue numerosissime basi strategiche americane di fatto appartiene agli Stati Uniti e pare di capire che la politica italiana stessa sia esclusa da ogni tipo di informazione e decisione, no?
— La Sicilia ha avuto un'escalation del processo di militarizzazione già dagli anni '70, è la regione che ha ospitato 112 testate nucleari, dei missili Cruise nella guerra fredda nucleare che si giocò negli anni '70 e '80 tra gli Stati Uniti, la NATO e l'ex Unione Sovietica. La Sicilia non ha soltanto Sigonella, abbiamo anche la vicenda del Muos di Niscemi, che venne rivelata anche questa volta da giornalisti che utilizzarono fonti statunitensi. Parliamo di una vicenda negata anche dallo stesso governo italiano. Purtroppo in Sicilia ci sono enormi sistemi di comunicazione e intercettazione radar nell'isola di Lampedusa.
Grazie a fonti tunisine, poi il governo italiano ha dovuto ammetterlo, abbiamo scoperto l'uso dell'aeroporto di Pantelleria per operazioni di voli spia e contractor con il compito di individuare possibili obiettivi tra la Tunisia e la Libia. Tutto nell'assoluto silenzio del governo e in assenza di qualsiasi tipo di intervento parlamentare.
— Con una presenza militare americana così massiccia si va ad intaccare anche l'indipendenza dell'Italia? Pare un sintomo abbastanza grave.
— È un sintomo molto grave denunciato da tempo da costituzionalisti anche nelle sedi accademiche, perché presenta un'enorme violazione non soltanto dell'articolo 11, uno degli articoli fondamentali della Costituzione italiana, dove si parla di rifiuto e di ripudio della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali. Vorrei ricordare gli articolo 80 e 87 in cui i trattati internazionali, la messa a disposizione del territorio italiano a unità militari straniere dovrebbe sempre essere sottoposta a un voto parlamentare e ratificato dal presidente della Repubblica.
Nella base di Aviano sono addirittura dislocate testate nucleari statunitensi, come nella base di Ghedi.— Le missioni con i droni armati verso la Libia di cui si parla oggi, secondo lei sono il preludio di una guerra con la partecipazione dell'Italia?
— Credo basti vedere cos'è successo dalla prima guerra del Golfo ad oggi. Tutte le guerre sul campo con la presenza massiccia di forze statunitensi sono sempre state preparate attraverso una serie di bombardamenti. Le guerre moderne prevedono una prima fase della distruzione di obiettivi sia di tipo militare sia di infrastrutture strategiche come i ponti e le ferrovie. Il momento in cui metti in ginocchio il sistema economico militare a quel punto partono le operazioni di terra. È successo nella prima guerra del Golfo, in Iraq, è successo con caduta di Saddam Hussein, poi in Afghanistan, nei Balcani e in Libia nel 2011. L'intensificarsi dei bombardamenti precede il prossimo passo, tra l'altro richiesto dall'amministrazione Obama, ovvero sia della presenza sul campo di forze terrestri. Stupidamente l'Italia si propone come il Paese che dovrebbe guidare quest'eventuale coalizione. Su questo Renzi non nasconde la sua volontà di proiettare l'Italia molto più direttamente in questo conflitto libico.
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