lunedì 13 giugno 2016

Arming the nature – La natura come arma


L’uso passivo dell’ambiente come tattica militare per intrappolare il nemico in un terreno sfavorevole è un’antica strategia di combattimento. Ma non è di questo che parla il libro “Arming mother nature” (Armare madre natura).

L’autore Jacob Darwin Hamblin espone l’evoluzione di questo concetto che vede nella strumentalizzazione di fattori ambientali l’arma principale per ottenere posizioni di supremazia.

La guerra ambientale rispetto a mezzi militari convenzionali ha un immenso vantaggio, l’aggressione è mascherata, quindi non viene percepita ma riconosciuta come evento naturale.

Da tempo si adoperano fattori ambientali-naturali come strumento di guerra: molto prima della scoperta dei germi si sapeva della diffusione di malattie da soggetti affetti a soggetti sani. Bastava catapultare animali morti e cadaveri sui muri dell’abitato, oppure contaminare le sorgenti di acqua, e così via.

Un esempio di guerra ambientale con gravi conseguenze risale al 1938. I cinesi fecero saltare gli argini del fiume Huang, con l’intento di creare un’alluvione per impedire l’invasione ai giapponesi (The 1938 yellow river flood ). L’alluvione riuscì fin troppo bene, ma l’effetto sui giapponesi fu minimo, morirono invece circa 500.000 cinesi a causa delle inondazioni.

Le tesi esposte da Hamblin nel suo libro sono frutto di intense ricerche e spingono l’immaginazione del lettore, nutrendola con dati impressionanti dal passato, verso “un futuro in cui gli scienziati cercano di aiutare i governi a causare, non a prevenire o attenuare, catastrofi naturali”.

E’ stato il mondo militare a coniare il termine “guerra ambientale” negli anni ‘60 ed a far entrare il concetto in molti progetti. Parallelamente si sviluppò in forma esplicita l’ambientalismo. Hamblin traccia connessioni tra questi due filoni e sostiene che gran parte del pensiero ambientalista moderno abbia radici nell’elaborato di scienziati e strateghi militari durante i giorni bui della guerra fredda.

Alcuni personaggi rappresentano bene gli intrecci o i doppi coinvolgimenti:
Jay Forrester del MIT modellava sistemi di difesa per l’esercito degli Stati Uniti prima di costruire il modello di analisi del “Giorno del giudizio” (Doomsday) che sta alla base di un libro-pilastro del Club of Rome del 1972, “I limiti dello sviluppo” (The limits to growth).

Herman Kahn rappresenta l‘unthinkable, l’impensabile: futurologo di alto livello, con accesso a informazioni di primo piano (sostenuto dal Pentagono), sviluppò scenari apocalittici di post-olocausto per la RAND Corporation. Forse era lui la figura ispiratrice per il Dr Strangelove (Dott. Stranamore) della “Bland Corporation” nel film del 1967 di Stanley Kubrick (altri indicano E.Teller). Kahn era considerato un ambientalista ottimista e criticò ferocemente “The limits to growth”.

Scienziati militari teorizzavano un “inverno nucleare”, molto prima che Carl Sagan rendesse popolare l’idea negli anni ’80, valutando in che modo i razzi potessero modificare lo strato di ozono.

Gli studi di Harry Wexler prevedevano di diminuire lo strato di ozono per aumentare la temperatura superficiale dell’Artico.

Albert Gore, padre di Al Gore jr., ha fatto una proposta particolare durante la guerra di Corea; i consiglieri americani hanno preso in considerazione il suggerimento del deputato di spruzzare scorie di plutonio riprocessato sulla Corea creando in questo modo una “cintura di morte”.

Gordon Macdonald era un personaggio di spicco in questo elenco.

Due progetti (tra molti altri) erano:
– Spargere milioni di tonnellate di fuliggine per sciogliere la calotta polare artica.
– Irrorare città sovietiche e mettere in ginocchio le popolazioni con la febbre gialla.
Hamblin esamina moltissimi dati e svela ambizioni oscure. Scopre che i soldi governativi hanno finanziato la scienza ambientale al fine di sfruttare i processi naturali, non di rado con il proposito di uccidere più persone possibile.

Durante la Guerra Fredda gli scienziati si sono dedicati sempre più a pensare globalmente e a concretizzare un nuovo potere: alterare l’ambiente, inclusa l’atmosfera. Non c’era linea di confine tra mondo militare e scienza civile, anzi, una prima ricerca post-guerra sul cambiamento climatico è stata in gran parte finanziata dai militari americani.

L’ex corrispondente per The Independent (Londra) Jan Mc Girk, impegnato su temi ambientali e disastri in Asia, America Latina e Medio Oriente ha recensito il libro di Hamblin intitolando il suo articolo:

Il lato violento dell’ambientalismo (The violent side of environmentalism)

di Jan Mc Girk

Un nuovo libro sostiene che l’ambientalismo abbia radici nei piani fatti durante la guerra fredda per manipolare la natura a scopi militari

Armare Madre Natura: La nascita dell’ambientalismo catastrofico
Darwin Jacob Hamblin
OUP USA, 2013

 

Come la guerra fredda ha generato il movimento ambientalista

 


Gli scienziati del clima lo hanno messo in chiaro dalla prima “Giornata della terra” nel 1970, se ignoriamo i segnali di pericolo di Madre Natura sarà a spese nostre: le conseguenze dell’inazione potrebbero rendere il nostro pianeta inabitabile. Arming Mother Nature è un importante nuovo libro. Jacob Darwin Hamblin fornisce una prospettiva storica spesso ignorata sulle incongruenze nel dibattito sui cambiamenti climatici di oggi.

“La scoperta del riscaldamento globale sarebbe stata impossibile senza progetti scientifici finanziati dai militari americani”, afferma l’autore. Le soluzioni di geo-ingegneria per la compensazione delle emissioni di carbonio, come il dumping di fosfato di ferro in mare per stimolare la fioritura di plancton, sono l’eredità di questo primo lavoro di squadra.

Hamblin, un professore della Oregon State University, è un esperto delle dimensioni globali della scienza, della tecnologia e dell’ambiente durante la Guerra Fredda. Egli ci ricorda che i progenitori politici dei cosiddetti scettici del clima di oggi, che mettono in ridicolo il concetto di riscaldamento globale antropogenico, erano desiderosi di manipolare l’ambiente per scopi militari. 
Egli sottolinea che i conflitti in Malesia e Vietnam erano stati utilizzati per testare armi di modificazione ambientale, vietati infine nei tardi anni ‘70. Il tentativo di dominare interi sistemi fisici, come i monsoni, è stato un punto centrale nella ricerca militare americana. L’obiettivo era quello di esplorare le possibilità di guerra biologica e radiologica con l’intento di massimizzare le vittime in una guerra totale.

Successivamente è stata la CIA a ritenere che il riscaldamento globale avesse un probabile impatto negativo per i raccolti del grano sovietico, quindi dando all’occidente un vantaggio con la sua gamma di colture di cereali. Gli sforzi di mitigazione sono stati messi da parte perché il danno avrebbe colpito i sovietici più duramente e il libero mercato avrebbe permesso all’occidente di riprendersi più rapidamente.

Rinforzando l’eventualità di una terza guerra mondiale post-atomica, i leader occidentali cercarono armi di nuova generazione che potessero scatenare “malattie, fame e distruzione fisica”. La possibilità di invalidare temporaneamente le popolazioni nemiche con droghe psichedeliche come l’LSD è stata concepita addirittura come un approccio più umano alla guerra , ma gli effetti si dimostrarono imprevedibili.

Molti dei sistemi utilizzati hanno provocato vaste trasformazioni ambientali: alterando il corso delle correnti oceaniche per sciogliere le calotte polari e inondando le città costiere, o defoliando vaste regioni con il fuoco o sostanze chimiche per cambiare drasticamente il meteo. Una volta che la tecnologia informatica per l’elaborazione di calcoli numerici era adeguata, prendere di mira interi ecosistemi è stato visto come una ricerca di punta. Così le forze geo-tettoniche sono state sfruttate per stimolare eruzioni vulcaniche o terremoti. Una bomba nucleare correttamente posizionata, per esempio, potrebbe scatenare uno tsunami artificiale per spazzare via un porto nemico (in definitiva, le autorità militari hanno concluso che solo bombardare il nemico sarebbe più economico e più efficace).

Hamblin mostra come la biodiversità non è stata una nozione “hippie”, ma una propaggine (offshoot) dell’angoscia dell’era atomica. Gli scienziati consideravano essenziale la “conservazione della varietà” in caso di guerra totale, e cioè che eventuali superstiti riuscissero a strisciare fuori dai loro rifugi per affrontare un inverno nucleare.

Albert Gore, padre del Nobel per la pace Al Gore, nel 1951 ha esortato il Congresso degli Stati Uniti a creare una zona cuscinetto col plutonio degradato, così la situazione di stallo tra Corea del Nord e Corea del Sud poteva essere sbloccata, senza ampliare la guerra, bombardando la Cina. La sua idea è stata accantonata, ma pochi mesi dopo un’epidemia di vaiolo e peste su larga scala in Asia è stata l’occasione per accusare gli Stati Uniti di aver provocato una guerra biologica. I timori che l’arsenale della super-potenza potesse distruggere le coltivazioni con una guerra batteriologica e nucleare non sembrarono infondati.

Hamblin scrive: “Ciò che è notevole nelle risposte a queste accuse è che, mentre molti si precipitarono a scagionare gli americani, pochi dubitavano che si poteva fare. E se si poteva fare, quanto era vulnerabile il resto del mondo ad un eventuale attacco? ” 
Sei anni dopo, nel 1957 è stato dichiarato l’International Geophysical Year. E ‘stato annunciato come un importante passo avanti per la cooperazione scientifica tra 67 nazioni che univano le loro conoscenze.

Letture basilari di tutto, dai livelli di radiazione del fondo marino alla profondità del permafrost, sono state necessarie per la modellazione informatica e la “game theory”. Hamblin approfondisce le politiche che hanno incoraggiato gli apparati a militarizzare le scoperte: droni civili e moderne tecniche di cloud-seeding erano solo una questione di tempo. 
I primi test nucleari atmosferici rendevano molte persone nervose circa gli effetti indesiderati sul meteo, per non parlare del potenziale fallout nucleare. “L’Operazione Argus – serie di bombe ad alta quota, test segretamente effettuati nel Sud Atlantico degli Stati Uniti – ha illustrato quanto le azioni umane possano influenzare l’atmosfera”, scrive Hamblin. 

Si supponeva che con l’accordo internazionale i dati dovessero essere condivisi tra tutti i partecipanti dell’Anno Geofisico Internazionale, ma il New York Times rivelò che già nel 1958 l’America “ha steso una cortina sottile di radiazioni intorno alla terra, avvolgendo l’intero abitato del mondo ‘per un periodo di tempo la cui durata è ancora segreto ‘”. Quando queste bombe atomiche esplosero dentro la Van Allen Radiation Belt (cintura Van Allen), un effetto Halo era chiaramente visibile dagli aeri in volo.
”La radiazione generata dalle esplosioni era rimasta intrappolata nel campo magnetico terrestre, allargandosi e circondando la terra nel giro di un’ora o più. 

Questa alterazione della composizione del campo magnetico terrestre … poteva durare per anni “, fa notare Hamblin. “E’ una evidenza inconfutabile che le energie prodotte da esseri umani possono avere un effetto visibile e duraturo sul clima”. Edward Teller, lo scienziato principale dietro la bomba ad idrogeno, nel 1962 vantava: “Sappiamo come possiamo modificare la ionosfera. Lo abbiamo già fatto”.

L’analisi della Guerra Fredda di Hamblin, sia negli archivi in Europa che negli Stati Uniti, è equilibrata e ampia, e in ultima analisi agghiacciante. Scova uno studio classificato militare del gruppo d’Elite JASON, in cui il geofisico Gordon MacDonald della University of California, Los Angeles, ha scritto un capitolo intitolato senza mezzi termini: “COME DEVASTARE L’AMBIENTE “. La riduzione dell’ozono e i cambiamenti climatici vi hanno un posto di rilievo.

Arming mother nature richiama un’epoca precedente ai dibattiti astiosi e catastrofici tra verdi e conservatori. Hamblin caratterizza la situazione concisamente: “Cassandra incontra Geremia”.


Traduzione NoGeoingegneria

VEDI ANCHE

JACOB DARWIN HAMBLIN

Environmentalism for the atlantic alliance: NATOS EXPERIMENT
As new environmental programs, organizations, and laws proliferated in the
late 1960s and 1970s, U.S. President Richard Nixon began using environmental
cooperation as part of his foreign policy. But his decision to pair
global environmental action with the most powerful military alliance in
history—NATO—puzzled nearly everyone, including the NATO allies. Recently
 scholars have pointed out the role of the Nixon administration in inaugurating
“environmental diplomacy,” raising the status of environmental accords and
winning approbation for global environmental leadership. But most studies have
glossed over the role of NATO as Nixon’s principal vehicle for East-West
cooperation, and have neglected entirely the views, resistance, and downright
hostility of the allies to the American style of environmental leadership. In presenting
these views, this essay provides a counterweight to existing studies on global
environmental action in the years leading up to the United Nations Conference on
the Human Environment in 1972. The essay shows how Nixon’s use of NATO deepened
 political animosities between East and West, and between North and
South, hastening the bloc-to-bloc politicization of global environmental issues.


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