"Bobi, che su nel cielo muovi la coda a Dio,
essere amato e amare è stata la tua sorte
in vita come in morte.
Ora, ti prego,
insegnaci a varcar quella porta
mentre si fa più corta la nostra attesa;
e un filo di luce dal tuo pelo
ci guidi a ritrovarti nel prato di asfodelo."
(Paolo De Benedetti)
Due
giorni fa è morto Paolo De Benedetti, il teologo e biblista conosciuto
per la sua difesa dei "diritti spirituali" degli animali, poiché: «Lo
stesso Messia sofferente appare negli occhi di un cane che muore». De
Benedetti era di padre ebreo e madre cattolica, perciò ironicamente si
definiva «marrano» che è il termine usato per gli ebrei sefarditi
spagnoli, e che proviene dall'arabo "maḥram" che equivale a "porco" cioè
"cosa proibita."
De
Benedetti crede che: «Si tratta di vedere, nel rapporto tra uomini e
animali, una scelta che risale a Dio. Non si può annullare uno dei due.
Sempre Dio desidera, sente il bisogno di diffondere la sua vita su tutto
il creato, a qualsiasi grado. Se uno legge attentamente i racconti
della creazione, si rende conto che Dio ha bisogno del creato. Non nel
senso che altrimenti sparirebbe, niente di questo, ma nel senso che Dio
ha bisogno di un “tu” che siamo noi».
«Il
credente deve avere la consapevolezza che sia la vita dell’uomo sia la
vita dell’animale sia la vita dell’albero sono tutte forme che
dimostrano come Dio, nei rapporti con il creato, abbia come strumento
fondamentale - direi addirittura come scettro di governo - la
responsabilità dell’uomo verso il creato».
Nell'opera:
"In Paradiso ad attenderci" fa suo il monito di Sergio Quinzio:
«Guardate gli occhi di un cane che muore e vergognatevi della vostra
presuntuosa filosofia» e poi ricorda il canto XVII dell'Odissea dove si
racconta del vecchio cane Argo, che in fin di vita perché ormai
vecchissimo, abbandonato e pieno di zecche, riconobbe Ulisse che
ritornava travestito da mendicante e mosse la coda per la gioia, drizzò
le orecchie perché non riusciva ad alzarsi, e morì.
Argo
morì felice perché aveva rivisto il suo padrone. De Benedetti afferma
che questa pagina di Omero è sublime e che andrebbe meditata anche da un
punto di vista religioso. Questo lo dovrebbe fare soprattutto la Chiesa
cattolica che tranne pochissime eccezioni - il massimo esempio è quello
di san Francesco che ha definito gli animali "i nostri fratelli
minori"- ha sempre colpevolmente trascurato gli animali, in base a un
«delirio antropocentrico».
Teologia degli animali (di Paolo De Benedetti)
“Nell’ultimo
giorno, quello che darà inizio ai tempi nuovi, come nel primo, quello
in cui ha avuto origine la nostra storia, il destino degli uomini è
associato a quello degli animali. Nel racconto biblico della creazione,
l’uomo e la donna sono venuti al mondo, a immagine di Dio, lo stesso
giorno, il sesto, in cui sono stati plasmati alla vita «bestiame,
rettili e bestie selvatiche» (Gn 1,24). Per cui quello che uomini e
bestie potrebbero celebrare insieme è una sorta di compleanno.
Così
come l’ultimo giorno, il giorno della consolazione e della salvezza,
della pacificazione e della celebrazione, non solo le bestie feroci
dimoreranno accanto a quelle miti, i lupi insieme con gli agnelli, ma i
cuccioli dell’uomo non avranno timore a trastullarsi sulla buca
dell’aspide, a mettere la mano nel covo dei serpenti velenosi (Is 11,8).
In
mezzo, però, nei millenni della storia, è corsa una grave dimenticanza
di questa fraternità e sororità tra uomini e bestie, di questo sogno
finale di un regno nel quale sia data a tutti uguale ospitalità e uguale
possibilità di espressione del bene di cui ciascuno è capace.
Avendo
perso di vista il compito affidatoci all’origine, di governare con
cura, come governa Dio, «sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, e
su ogni essere vivente, e che striscia sulla terra» (Gn 1,28 ), e
avendo smesso di attendere con forza la visione di una solidarietà tra
tutti gli esseri viventi, noi uomini ci siamo fatti predatori di tutto
ciò che abbiamo potuto predare, animali e piante, indifferenti al fatto
che, come noi, animali e piante sono portatori di un alito di vita, come
noi nascono, esistono, muoiono, come noi conoscono crescita e malattia,
pienezza e debolezza.
Per
elaborare una “teologia” che non abbia più al proprio centro soltanto
l’uomo, ma, insieme a lui, l’animale e ogni essere vivente, occorre
spostare il centro della propria attenzione dalla creatura umana, di cui
l’uomo nella sua altezzosità si è sempre limitato a occuparsi, alle
creature “minori”, che non hanno mai cessato di stare ai margini.
Occorre
cioè eliminare una dottrina arrogante e viziata dalla consuetudine, in
virtù della quale l’uomo si considera al centro dell’universo, e
ricominciare a pensare la questione della fede e del senso della vita a
partire da un ridimensionamento del soggetto umano, da una sua
spoliazione dal ruolo di signore del mondo, per ridargli uno spazio più
adeguato, quello di creatura tra le creature.
Pensare
che anche per gatti e cani, leoni e serpenti, formiche e asini, api e
tartarughe, pinguini e galline (ma anche foreste e ghiacciai, fiumi e
fili d’erba) possa esserci un senso dell’esistere più articolato di
quello che siamo soliti attribuire loro, più degno di rispetto, richiede
da parte nostra un riguardo radicale anche per la loro vita, una
considerazione etica che li comprenda, un’educazione sentimentale ad
accogliere anche loro nel nostro orizzonte, una grammatica diversa da
quella che siamo abituati a usare.
Ma
parlare di “teologia degli animali” non significa semplicemente
richiamare a una piena responsabilità nei confronti di ogni individuo,
nella consapevolezza che ciascuna creatura ha, al pari dell’uomo,
diritto a una esistenza vissuta in libertà e al raggiungimento di una
propria pienezza. E non significa neppure fare di ogni animale una
vittima della crudeltà umana.
Ogni
“bestia” è capace, sia pure per sopravvivere, di sopraffazione violenta
nei fronti di un suo simile, ma in ogni animale vi è una intrinseca 24
av129 fragilità, che si fa via via più visibile a mano a mano che la
loro vita si avvicina a quella dell’uomo: sia nel caso che un’empatia da
vicinanza permetta di decifrare il linguaggio della loro sofferenza
muta, sia nel caso che gli uomini, nella loro avidità e nella loro
ferocia, arrivino a sfruttare o torturare animali per propria utilità o
sfogo bestiale.
In
tali situazioni, lo sguardo dell’animale che patisce è pari a quello
del bambino che soffre, dell’uomo che muore, del perseguitato inerme. E
proprio partendo da queste brevi premesse, vorrei dire che l’attesa è
forse lo stato d’animo in cui tutti gli esseri viventi sono accomunati:
non solo l’uomo, non solo gli animali, ma anche le piante, con i loro
germogli protesi verso la luce.
È
un’attesa, diciamo pure una speranza, che trova la sua realizzazione
talvolta nella vita, talvolta nella morte, e che fa dell’uomo il “messia
impotente” a cui guardano gli animali. Forse, il rapporto uomo-animale
raggiunge la sua forma più sublime proprio nella morte: l’«Agnello di
Dio» è l’immagine che meglio rappresenta l’unione tra il divino e
l’animale attraverso la morte. Ma sono innumerevoli, nella Bibbia, i
riferimenti, i precetti, i simboli legati al mondo animale, a partire
dal racconto della creazione, in cui Dio, dopo aver creato «tutti gli
esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro
specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie, […] vide che
era cosa buona. Dio li benedisse: “Siate fecondi e moltiplicatevi […]”»
(Gn 1,21-22).
Si
potrebbe dire che la benedizione divina degli animali perdurerà dalla
creazione fino alla fine dei tempi, quando ritroveremo gli animali nella
vita eterna. Infatti, anche se la teologia ha gravemente trascurato
questo aspetto, occorre riconoscere con fede piena la resurrezione di
tutto ciò che ha avuto la vita, animali e piante. Se ciò non avvenisse,
bisognerebbe riconoscere che la morte è più potente di Dio, che la morte
vince in eterno la vita.
Come
scrisse Giovanni Calvino, «non vi è alcun elemento né alcuna particella
del mondo che, quasi consapevole della sua presente miseria, non speri
nella resurrezione». Anche sotto questo aspetto, c’è una comunione di
origine e destino tra l’uomo e gli animali, che deve essere vissuta
nell’esistenza quotidiana. Ecco perché sono fondamentali tutti i
precetti che nella Bibbia riguardano il nostro rapporto con gli animali,
e che non sono soltanto affermazioni teologiche, ma regole per la vita
di ogni 25 av129 giorno.
Alcuni
esempi: «Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino
dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico
accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con
lui ad aiutarlo» (Es 23,45; cfr. Dt 22,13); «Sei giorni faticherai e
farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo
Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il
tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né
alcuna delle tue bestie, né il forestiero che sta entro le tue porte...»
(Dt 5,13- 14; cfr. Es 20,10);
«Quando
nascerà un vitello o un agnello o un capretto, starà sette giorni sotto
la madre; dall’ottavo giorno in poi, sarà gradito come vittima da
consumare con il fuoco per il Signore» (Lv 22,26-27; cfr. Es 22,28-29);
«Non scannerete vacca o pecora lo stesso giorno con il suo piccolo » (Lv
22,28); «Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre» (Es
23,19; cfr. Es 34,26; Dt 14,21); «Non devi arare con un bue e con un
asino aggiogati insieme» (Dt 22,10); «Non metterai la museruola al bue,
mentre sta trebbiando» (Dt 25,4).
Queste
e molte altre norme contenute nella Torah mostrano un rispetto per gli
animali che tuttavia non ne esclude l’uso alimentare. Però la Torah e
tutta la tradizione ebraica successiva vietano nel modo più assoluto
l’uso del sangue degli animali: «Quanto si muove e ha vita vi servirà di
cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Soltanto non
mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue» (Gn 9,3-4).
Poiché
il sangue, come qui è detto, contiene la vita, cioè l’anima, è
riservato a Dio: ciò significa che, pur consentendo dopo il diluvio di
cibarsi di carne (e questo è un segno del pessimismo divino verso
l’uomo), Dio si riprende l’anima degli animali macellati. Anche per essi
c’è dunque un’altra vita. Ma occorre anche aggiungere che la
macellazione deve compiersi senza la sofferenza dell’animale: in caso
contrario è vietato nutrirsene.
E
l’uomo non deve comunque consumare il proprio pasto senza prima aver
dato da mangiare all’animale (Berakhot 40a). Proprio il nutrire gli
animali, secondo un midrash (al salmo 37), è stato, per Noè e la sua
famiglia nell’arca, il merito che ne ha determinato la salvezza. Secondo
una leggenda, Noè è uscito salvo dall’arca per la carità praticata
verso gli animali da 26 av129 27 av129 lui ospitati: «Non dormivamo, ma
davamo a ciascuno il suo cibo durante tutta la notte».
Ma
che tutta la Torah ci spinga a considerare gli animali (e le piante,
aggiungo io) come nostro prossimo emerge anche da un passo talmudico, in
cui gli animali sono non solo nostro prossimo, ma nostri maestri: «Se
non ci fosse stata data come guida la Torah, avremmo potuto imparare la
modestia dal gatto, l’onestà dalla formica, la castità dalla colomba, e
le buone maniere dal gallo» (Eruvin 100b).
Del
resto, nelle Lettere ai Romani (8,19 ss.), san Paolo afferma: «Tutta la
creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto». Proprio
per questo il Paradiso è una meta per tutto ciò che respira, per la
mosca contro il vetro come per il mistico, per il fiore come per la
colomba (a sua volta immagine divina). Mi sia consentito concludere
citando una breve poesia che ho scritto per la morte di un cane:
Bobi, che su nel cielo muovi la coda a Dio,
essere amato e amare è stata la tua sorte
in vita come in morte.
Ora, ti prego,
insegnaci a varcar quella porta
mentre si fa più corta la nostra attesa;
e un filo di luce dal tuo pelo
ci guidi a ritrovarti nel prato di asfodelo.”
(Articolo è tratto dal volume “Collaboratori del creato. La scelta vegetariana nella vita del cristiano” a cura di Guidalberto Bormolini e Luigi Lorenzetti, Libreria Editrice Fiorentina)
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/12/e-morto-il-teologo-degli-animali.html
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