Anche gli economisti della Banca dei Regolamenti
Internazionali di Basilea hanno cercato di dare una spiegazione al fatto
che, mentre l’economia americana rappresenta meno di un quarto del Pil
mondiale, le riserve mondiali in dollari sono ancora più del 60% del
totale. Questo livello si è mantenuto negli anni, nonostante che dal
1978 la quota del Pil americano sul totale mondiale si sia ridotta del
6% e nonostante che il dollaro sia diminuito in media del 24% rispetto
alle maggiori valute.
Ciò, secondo gli analisti della
Bri, dipenderebbe dalla dimensione non dell’economia statunitense bensì
della “zona del dollaro”.
Quest’area rappresenterebbe
ancora oltre la metà dell’economia mondiale. In essa rientra, ad
esempio, tutta quella parte di economia e di commercio dei vari Paesi
del mondo che viene contrattata in dollari. Per cui componenti
significative delle riserve di molti Paesi sono tenute in dollari in
quanto gli interventi nei mercati dei cambi vengono gestiti in dollari,
cioè nella divisa con la quale si negozia maggiormente la moneta
nazionale.
Confrontando l'attuale situazione anche con
le tendenze storiche riguardanti il ruolo di moneta di riserva della
sterlina tra le due passate guerre mondiali, la Bri conclude che le
quote delle varie valute nei panieri delle riserve monetarie potrebbero
in futuro modificarsi molto rapidamente.
Una delle
principali ragioni di tale cambiamento potrebbe essere la decisione
della Cina di negoziare una parte crescente del suo commercio in
renminbi o in monete di altre nazioni. Se il renminbi evidenziasse un
movimento sostanzialmente indipendente rispetto alle principali valute e
se le monete dei Paesi vicini e dei partner commerciali della Cina
condividessero un tale movimento, si potrebbe determinare una “zona del
remninbi” simile a quella del dollaro. In tal caso, i gestori delle
riserve ufficiali potrebbero scegliere di detenere una quota
considerevole di renminbi, forse non troppo diversa dal peso delle
rispettive monete all’interno della citata zona.
Dopo le
sanzioni, anche la Russia sta pensando di rendersi, per quanto
possibile, sempre meno dipendente dal dollaro e dalle riserve in
dollari. Prima dell'inizio della crisi ucraina ne deteneva circa 90
miliardi. Il comportamento dell’Europa purtroppo non aiuta, per il
momento, all’individuazione dell’euro come principale moneta di riserva
alternativa da parte della Banca Centrale russa.
Anche
la recente decisione della Banca Nazionale Svizzera di sganciarsi dal
cambio fisso con l’euro e di lasciare fluttuare liberamente il franco
sta creando dei terremoti all’interno del sistema monetario
internazionale. In poche ore il franco si è rivalutato di circa il 20%
nei confronti dell’euro e del 17% rispetto al dollaro.
La
decisione della Bns è avvenuta il 15 gennaio scorso, esattamente il
giorno dopo il parere espresso da un rappresentante del consiglio degli
avvocati della Corte di Giustizia dell’Ue secondo cui le cosiddette
operazioni monetarie sui titoli (omt) annunciate da Draghi nel 2012 non
violerebbero le leggi europee.
In altre parole ci si aspetta che il
quantitative easing della Bce dovrebbe essere sbloccato. Ciò comporterà
l’acquisto da parte della Bce di titoli europei e l’allargamento dei suo
bilancio. Di conseguenza una maggiore circolazione di euro avrebbe
portato ad una fortissima pressione per una rivalutazione del franco
rispetto alla moneta europea.
Come è noto, dopo la
decisione svizzera del 6 novembre 2011 di fissare il cambio a 1,20
franchi per 1 euro, la Bns ha dovuto costantemente comprare euro nel
tentativo di mantenerne tale livello senza rivalutare. Così nel tempo ha
accumulato 220-240 miliardi di euro di riserve. Con il QE di Draghi la
Bns avrebbe dovuto accrescere e di molto gli acquisti di euro. Ha invece
deciso di gettare la spugna prima anche se ciò ha fatto perdere decine e
decine di miliardi sul valore delle sue riserve in euro e anche in
dollari. A seguito della rivalutazione della sua moneta la Svizzera teme
anche di perdere una grossa fetta delle sue esportazioni con effetti
recessivi sulla sua economia. Adesso altre monete, a cominciare dalla
corona danese, sono sotto simili enormi pressioni.
A
questo punto le continue sortite della stampa ufficiale tedesca, anche
se smentite in verità in modo poco convincente, secondo cui Berlino
avrebbe cambiato opinione circa la volontà di tenere la Grecia
nell’euro, non giovano alla stabilità della moneta europea e di quella
dell’intero sistema monetario internazionale.
Tenuto
conto della crescente e preoccupante instabilità geopolitica, la
volatilità monetaria rischierebbe di portare il mondo verso una crisi
inimmaginabile, di sicuro molto rischiosa per l’economia e per gli
equilibri politici. Per questa ragione è urgente che i Paesi del G20
inizino a lavorare per la costruzione di un nuovo sistema monetario
internazionale multipolare basato su un paniere di monete importanti.
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