domenica 3 maggio 2015

Italia, conti fuori controllo: a rischio le pensioni


l sistema pensionistico è da sempre la grande cassaforte dei governi italiani

Lo sanno bene quei cittadini che hanno subito a più riprese pesanti tagli all'assegno mensile, da un lato, e cambiamenti consistenti nei tempi di raggiungimento dell'agognato traguardo, dall'altro. Dal governo Ciampi in poi, i pensionati italiani sono stati continuamente spremuti per aggiustare i malridotti conti statali o per soddisfare le richieste dell'Ue e della Troika.


Ex ministri Fornero e Giovannini consideravano come pensioni ricche quelle di valore pari o superiore ai 2.800 euro lordi al mese.
 
Ex ministri Fornero e Giovannini consideravano come pensioni ricche quelle di valore pari o superiore ai 2.800 euro lordi al mese. 
 
Non è un caso che cognomi quali Amato, Dini, Prodi e Fornero (i ministri artefici di cruenti riforme pensionistiche) siano diventati nell'immaginario collettivo sinonimo di perdita di diritti acquisiti e di addio a una vecchiaia serena. Certamente, però, nessuno avrebbe mai pensato che, dopo la mazzata inferta dal governo Monti, un onorevole potesse ancora metter mano al sistema pensionistico per deviare un po' di quattrini. Nelle ultime settimane, invece, sta prendendo corpo la possibilità di una nuova riforma, con tanto di prelievo forzoso sulle pensioni più ricche.

Lo affermano ripetutamente il ministro del Lavoro Poletti e il presidente dell'Inps Boeri, senza specificare però che cosa si intenda con pensioni "cospicue". Sicuramente non si tratta di quelle d'oro, alla luce delle recenti pronunce della Corte Costituzionale che hanno difeso i privilegiati della pensione, ma soprattutto per via di una tendenza di certa politica italiana a considerare ricchi anche quei soggetti che ricchi non sono. L'emblema di questo filone è rappresentato dagli ex ministri Fornero e Giovannini, i quali determinarono il blocco dell'adeguamento degli assegni previdenziali al costo della vita considerando come pensioni ricche quelle di valore pari o superiore ai 2.800 euro lordi al mese. Per intenderci, l'equivalente di un assegno di indennità di circa 2.000 euro di pensione netta. Insomma, tutto fuorché una pensione ricca.
È quindi quasi certo che nella mente di Poletti e Boeri si prefiguri un nuovo ritocco al ribasso degli assegni pensionistici dai 2mila euro netti in su. D'altra parte i conti dello Stato sono traballanti, nonostante i demagogici proclami del premier Renzi e del ministro dell'Economia Padoan. Lo testimonia il terrore che si è subito sparso nei palazzi economici, Corte dei Conti e Banca d'Italia in testa, quando il Governo ha provato ad annunciare che avrebbe speso il cosiddetto "tesoretto" annunciato dal presidente del Consiglio, nato fra le pieghe del Documento di Economia e Finanze (Def) grazie al differenziale positivo pari allo 0,1% di Pil. Un differenziale comunque tutto da verificare, essendo in ambito di previsioni e visto che il Fondo Monetario Internazionale attesta un Pil minore dello 0,2% rispetto alle stime ottimistiche del governo italiano. Ma a prescindere dalla guerra sui numeri, resta il fatto che ancora una volta si pensi di intervenire sulla previdenza per aggiustare i danni combinati in fase di programmazione economica finanziaria. Siamo veramente sicuri di voler gettare di nuovo nel caos il sistema pensionistico dopo averlo già fatto sei volte negli ultimi vent'anni? A lasciare perplessi è poi la volontà di cucire delle pezze sul bilancio pubblico e persino di ridistribuire i fondi ricavati da queste riforme. Il presidente dell'Inps ha infatti ipotizzato di utilizzare il taglio delle pensioni e una parte del tesoretto per offrire un reddito minimo agli over55 che hanno perso un lavoro. Una proposta molto politically correct: peccato che, come si è affrettato a dichiarare lo stesso Boeri, metterebbe nelle mani dei disoccupati solo un'indennità molto piccola. Insomma una mancia che non cambia la vita a chi la riceve, ma che sottrae 2 o 3 miliardi di euro che potrebbero essere investiti per ridurre la tassazione sul costo del lavoro o sui redditi.
In Italia non si vuole proprio capire che di welfare puro non si sopravvive. Ogni anno si registra una progressiva riduzione negli incassi derivanti dalla tassazione, nonostante tutte le tariffe aumentino.

Questa è la dimostrazione pratica della curva di Laffer: oltre un certo prelievo fiscale l'attività economica non conviene più e il gettito fiscale si azzera. Ed ecco che, in un contesto del genere, continuare con la politica del tassa-e-spendi è autolesionistico, perché totalmente improduttivo. Se non si riduce drasticamente la tassazione (che secondo l'Istat aumenterà del +0,6% nel 2016), la proposta del reddito minimo è oggi per i disoccupati over55, ma domani sarà per gli over50 e dopodomani per gli over45. Peccato che i soldi non basteranno e lo spettro della Grecia è dietro l'angolo.

L'antica e placida vacca da mungere, il ceto medio, è ormai quasi scomparso: proprio come la visione di medio-lungo termine della politica italiana.

 
Marco Fontana


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