giovedì 7 maggio 2015

Le Scie Chimiche ed il Sublime

 
L’argomento ‘scie chimiche’ rientra nella sfera dedicata alla teologia, all’estetica, all’aspetto teoretico delle scienze umane. La loro appartenenza all’elemento ‘aria’ ne accantona perentoriamente la sede propria nelle pertinenze del sublime. La loro apparente lontananza dagli aspetti pittoreschi del vivere comune, ne fa oggetto di scherno, ironia, derisione, disinteresse, paura.

Le scie chimiche così si rivestono di quel senso sottile proprio delle teofanie. Questa marcatura perentoria del cielo ricade in una zona fisicamente interdetta agli uomini da tempi immemori. La coltre di silenzio che le riveste appartiene alla liturgia ed al suo corollario del senso del sacro, con tanto di sacerdoti, maggiordomi e sgherri.

La dimensione delle scie chimiche, risiede quindi in un contesto apollineo decisamente minimale ed al contempo tetro ed oppressivo. La luce filtrata dalle cappe chimiche ormai perenni satura l’atmosfera donandole un sapore apocalittico, gelido, ferale.

Al di sotto, la vita vernacolare prosegue il suo cammino verso un declivio lento ed imperioso.

Nelle catacombe, nei grandi santuari della romanità, al riparo dalle spesse ed eterne mura divenute poi scudi per altre genti e funzioni, le scie chimiche sono lontane. L’aria sospesa al loro interno appare senza tempo ed i silenzi talmente profondi da stordire. Appena al di fuori, i cipressi esangui ci ricordano della mattanza in corso, quella della vita, vegetale ed animale. Le vetrate di sottile alabastro velano il tutto di caldo silenzio. 

Scie chimiche, nell’alveo del sublime e dell’apollineo (nella loro accezione sterile e spietata) indicano con chiarezza il motivo per cui non possono divenire argomento popolare. La lunga mano dei signori del pianeta incombe e le scie chimiche sono solo un graffio sulla superficie della sfera, un sigillo etereo che cala sopra tutti noi con una ineluttabilità propria del fato o, meglio, del volere degli dei.
 
 

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