Non ci accontentiamo mai del presente. Anticipiamo il futuro perché tarda a venire, come per affrettarne il corso, o richiamiamo il passato per fermarlo, come fosse troppo veloce; così, imprudentemente, ci perdiamo in tempi che non ci appartengono e non pensiamo al solo che è il nostro, e siamo tanto vani da occuparci di quelli che non sono nulla, fuggendo senza riflettere il solo che esiste.Blaise Pascal, Pensieri
La mente è uno strumento eccezionale se utilizzata nel modo giusto. Usata nel modo sbagliato diventa però molto distruttiva. Per essere più precisi, il punto non è tanto che voi utilizzate la mente in modo sbagliato, quanto che non la usate affatto. È la mente che vi usa. Questa è la malattia. Voi credete di essere la vostra mente. Questa è l’illusione. Lo strumento si è impadronito di voi. È quasi come foste posseduti senza saperlo, per cui scambiate per voi stessi l’entità che vi possiede.
Eckart Tolle, Il potere di adesso.
Ieri è storia, domani è mistero, oggi è un dono e per questo si chiama presente.
Kung Fu Panda
Quante volte ci è già capitato di impazzire nella
ricerca affannosa di qualche oggetto che ci serve nell’immediato, come
ad esempio gli occhiali o le chiavi della macchina, per non aver fatto
attenzione a dove li abbiamo lasciati? O di dover uscire di nuovo in
tutta fretta per comprare l’unica cosa veramente urgente che abbiamo
dimenticato di inserire nella spesa appena portata a casa, di ritorno
dal supermercato? «Ma dove avevo la testa?», ci chiediamo allora con un
moto di stizza.
Fin qui, a parte incresciose perdite di tempo, i danni
della nostra deconcentrazione non sono poi così gravi.
Ma quanti
incidenti drammatici o addirittura mortali, avvengono ogni giorno nel
mondo, imputabili a momenti di distrazione di qualcuno? Le cronache ce
ne forniscono immancabilmente delle liste da incubo: bambini morti in
automobile, dimenticati per ore e ore al caldo cocente da qualche adulto
che non ci stava con la testa, disastrosi scontri frontali fra
automobili, treni deragliati con centinaia di vittime, bisturi
dimenticati nel corpo di qualche paziente in sala operatoria… Tutto
questo e molto altro ancora può accadere se invece di stare concentrati
su quello che si sta facendo, si innesca il pilota automatico lasciando
vagare altrove i propri pensieri.
Ma anche senza doverci riferire a casi estremi come
quelli appena evocati e focalizzandoci semplicemente sul grado di
consapevolezza che dovrebbe accompagnare tutte le azioni che compiamo
nello stato di veglia, dobbiamo riconoscere con un po’ di allarme che la
nostra mente è in continua fuga da ciò che andrebbe svolto con
attenzione.
In una recente ricerca, applicata a più di mille persone e apparsa su una prestigiosa rivista internazionale, Science,
gli esperti hanno tracciato una mappa delle divagazioni della nostra
mente: ne risulta che ben oltre la metà del tempo in cui siamo svegli,
la trascorriamo pensando ad altro rispetto all’attività a cui –
apparentemente – ci stiamo dedicando.
Sono veramente poche le occasioni in cui siamo
concentrati sul qui e ora, su quello cioè che stiamo vivendo nel
presente: tali occasioni si verificano in genere per momenti di intensa
emozione, nel caso di certi incontri particolari o quando si è di
fronte a un pericolo. Assai più spesso per molti di noi, la divagazione è
il modo operativo dominante del cervello e si instaura in automatico
quando proprio non siamo costretti a impegnarci: mentre lavoriamo,
mentre conversiamo, mentre ci spostiamo da un luogo ad un altro.
Dove ci conduce la mente? Le piace molto vagare sulla
nostra linea del tempo e così ci proietta sul passato, su ciò che ormai
è accaduto e compiuto, o sul futuro, cioè su quello che potrebbe
accadere ma di cui non vi è alcuna certezza, facendoci perdere,
perversamente, la capacità di vivere e di goderci il presente che è
invece l’unico tempo reale e certo.
È così che, distogliendo la nostra attenzione da
quello che stiamo facendo in un preciso momento, il tiranno spietato di
cui siamo preda – la mente appunto – ci sballotta tra processi di
pensiero meccanici e compulsivi.
E se talvolta ci induce a rimuginare su
qualche fatto o emozione gradevole ormai conclusi, o a sognare eventi
idilliaci che forse non accadranno mai, molto più spesso i suoi
andirivieni tra passato e futuro ci inquinano i pensieri di spazzatura
psichica: malinconie, sospetti, pettegolezzi, criticismi, paure,
ossessioni, rancori, gelosie, invidie, rabbie, bramosie, insensate
disperazioni.
Finché restiamo dei “posseduti” dalla nostra mente,
per usare l’espressione di Eckart Tolle (che cito nel riquadro e dei cui
libri raccomando vigorosamente una lettura meditativa), non solo saremo
esposti al rischio di pericolose distrazioni, ma ci perderemo il meglio
della vita.
Vivendo in una vallata alpina, ho la gioia di godere
la bellezza, la maestosità, la sacralità della natura che mi circonda.
Conosco bene ormai tutte le sfumature di suono del torrente che scorre a
due passi da casa mia, il chiacchiericcio degli uccelli all’alba e al
tramonto di tranquille giornate estive, la festa di colori e di profumi
del bosco in autunno. Per godere queste cose la mente deve essere in
quiete.
Altrimenti si guarda ma non si vede, si ascolta ma non si ode,
si annusa ma non si sente.
Vengono a volte amici di città a trovarmi, ma
sono talmente prigionieri della loro mente, invasi da pensieri vecchi,
morti, da non riuscire a percepire questa bellezza. La verifica
deludente avviene ogni volta che chiedo a qualcuno di loro se sia
rimasto colpito dal tale o tal altro particolare ben evidente, durante
una visita del territorio. La risposta ormai scontata è quasi sempre: «A
dire il vero non l’ho notato!».
Volendo, le risorse non mancano per non essere più
tenuti in ostaggio dalla nostra mente e per disattivare i pensieri
automatici che ci tengono lontani da tutto quello che stiamo compiendo.
Fra le varie strategie da mettere in atto, la più semplice è quella di
correggere a poco a poco i nostri automatismi più comuni. Ad esempio, al
mattino, la cattiva abitudine di trangugiare in fretta e furia il
caffè, con la mente che è già arrivata al luogo di parcheggio della
macchina o fors’anche sul posto di lavoro, può essere modificata
decidendo di riservarsi dieci minuti per fare colazione seduti al
tavolo. In tal modo prendiamo consapevolezza di sensazioni non ben
analizzate in passato.
Ci concentriamo sui colori, le forme, i sapori, i
profumi, i suoni che percepiamo nella stanza, sulle sensazioni che ci
provoca l’assunzione del cibo e della bevanda. Relativamente agli altri
pasti che assumiamo nella giornata, si può decidere di lasciare la tv
spenta, facendo a meno delle ultime notizie. Quello che è accaduto non
si può cambiare; quindi ci si può concentrare sul gusto del cibo, sulla
gratitudine per chi ha preparato la mensa, sulla comunicazione con i
familiari o, se si è soli, sulla fortuna di potersi nutrire secondo i
propri gusti e il proprio appetito.
Un’altra strategia, da attuare in qualunque momento
della giornata e per pochissimi istanti, consiste nell’imparare ad
ascoltare le nostre sensazioni corporee che cambiano e ci danno gli
elementi per sentire le nostre emozioni e trasformarle in pensieri: il
mio respiro è calmo, mi sento bene, sono in pace col mondo intero; ho
una stretta allo stomaco, sento rabbia, questa situazione mi ha
stancato.
Chissà quante volte abbiamo percorso a piedi quel
certo tratto di strada che conduce a casa nostra, probabilmente assorti
in mille pensieri, dai più impegnativi ai più superficiali. Dalla
prossima volta decidiamo di portare l’attenzione su tutto quello che ci
sta intorno. Proviamo a descriverlo mentalmente come se parlassimo a un
compagno di strada non vedente. Gli diciamo i colori, la tipologia dei
negozi, gli descriviamo il giornalaio o la signora che ci ha venduto il
pane.
Ho lasciato per ultimo un esercizio di concentrazione
che io sperimento già da lungo tempo, con effetti molto benefici sul
mio pensiero, e che fa parte di una serie di cinque esercizi per la
crescita interiore, ideati da un grande maestro dello spirito: Rudolf
Steiner. Scopo fondamentale dell’esercizio, che avremmo tutto
l’interesse a far diventare una consuetudine quotidiana, è di aiutare a
farsi padroni del proprio pensiero.
Questo è del resto anche il mio
auspicio, che formulo in chiusura della presente riflessione.
Proporsi cinque minuti al giorno (non di più, anzi, all’inizio possono essere anche solo tre minuti), durante i quali si prende un oggetto di uso quotidiano, il più semplice possibile (un bicchiere, un chiodo, una matita…) e per quei pochissimi minuti ci si sforza di pensare soltanto pensieri inerenti a quest’oggetto. (p. e.: pensieri inerenti alla forma, al materiale di cui è fatto, all’utilità, agli usi che se ne possono fare, ecc. ecc.).
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