Proteste in Danimarca contro la UE
Marine Le Pen ha tutte le ragioni nel sostenere che il Brexit
(l’uscita dell Regno Unito dalla UE) sarà la pietra tombale dell’Unione
Europea ma gli eurocrati fingono di non sentire il sinistro
scricchiolio di tutta la costruzione europea che si percepisce dopo il
no secco della Danimarca (al referendum pro Europa) a cui si è aggiunto
il risultato delle elezioni regionali in Francia.
Si poteva pensare che gli eurocrati avrebbero deciso di rispondere in qualche modo allo straordinario successo del Front National della Le Pen alle elezioni regionali in Francia. Nessuna reazione significativa viene registrata, piuttosto si finge indifferenza, come se nulla fosse accaduto. Per l’eurocrazia di Bruxelles la costruzione europea è un dogma di fede e di quelle che sono le preoccupazioni ed il malumore della gente dei paesi europei non è questione che interessi più di tanto i responsabili delle Istituzioni europee.
D’altra parte si sa che, per gli eurocrati di Bruxelles, il principale problema è mantenere le loro posizioni di potere ed i loro lucrosi stipendi, oltre ai privilegi ed ai favori dalle grandi lobbies che popolano gli uffici della UE.
Al contrario ci sono esponenti politici, euro entusiasti, i quali sostengono, come se nulla fosse accaduto che, contro il prepotente sorgere della contestazione e della rivolta alle politiche dell’Unione Europea, bisogna rispondere opponendo lo slogan “più Europa” e più cessioni di sovranità alle Istituzioni Europee. Questo è stato ad esempio il discorso fatto da Laura Boldrini, presidente della Camera dei Deputati in Italia, nel corso di una intevista al quotidiano La Stampa. Vedi: La Stampa
Bisogna tenere conto che, negli ultimi 30 anni ci sono stati vari referendum che si sono svolti in un certo numero di paesi dove gli elettori hanno sempre respinto i progetti per ampliare la portata delle istituzioni europee, nel caso dell’Irlanda si è chiesto agli elettori di ripensare il loro no secco. Quando invece è stato un grande paese come la Francia a respingere le proposte, la soluzione fu quella di predisporre delle proposte in forma di trattato e proseguire nel percorso dell’integrazione con o senza l’approvazione degli elettori.
Tuttavia è passato del tempo ed il fallimento dell’Unione Europea è diventato evidente specialmente in Francia, uno dei paesi fondatori dell’Unione, tanto che non è più possibile fare finta di nulla. Non a caso il Front National ha segnato il suo successo, con il diventare il primo partito francese, grazie alla sua aperta contestazione delle regole e delle direttive della UE, ad iniziare da quelle economiche ed a proseguire da quelle di politica estera.
Le politiche di austerità neoliberiste, praticate ed imposte dalle istituzioni europee, oltre ad affondare l’economia dei paesi europei, avvantaggiando esclusivamente la Germania a spese di tutti gli altri, hanno affossato il livello di fiducia che esisteva anche nei paesi maggiormente propensi a sostenere l’integrazione europea.
Dall’opinione pubblica dei paesi europei che più hanno sofferto della politica di austerità che ha favorito i grandi potentati finanziari e che ha consentito il gigantesco surplus finanziario della Germania, dominatrice del sistema, da tempo era sorta spontanea la domanda: perchè si deve continuare con questa politica disastrosa?
Piuttosto che rispondere a questa semplice domanda, l’establishment europeo, attraverso i suoi organismi, si è arroccato in una dinamica autoritaria, opaca e ostile ad ogni proclamazione di verifica popolare su tali temi, senza nascondere la propria contrarietà.
Esemplare a questo proposito la risposta che Jean C. Junker diede in una intervista a “Le Figaro” il 29 Gennaio del 2015: ….”non ci può essere una opzione democratica contro i trattati europei”; si riferiva a quei trattati che non sono stati votati da alcun popolo e che anzi sono stati rifiutati in alcuni casi sotto forma di referendum per la Costituzione europea e subito vanificati dall’oligarchia europea.
A tutto questo si è aggiunto il disastro dell’immigrazione di massa che ha invesitito l’Europa e l’incapacità della UE di fare fronte al fenomeno, ha ulteriormente minato questa fiducia creando piuttosto un sentimento di rivolta negli strati popolari dei paesi europei che hanno visto nelle politiche di apertura praticate dalla UE una grave minaccia alla stabilità sociale ed una pericolosa deriva nella situazione della sicurezza e delle condizioni di lavoro per l’arrivo di una massa di mano d’opera di riserva pronta ad ogni forma di sfruttamento e di concorrenza.
Il paradosso è quello che l’Istituzione della UE, che fu creata dai padri fondatori con l’idea di smantellare poco a poco la sovranità degli Stati nazionali per smontare i nazionalismi, indicati come causa prima delle guerre nella Storia del continente, oggi sta producendo le stesse condizioni per la risorgenza di forme di nazionalismo ed estremismo incontrollato come avviene in Francia, in Austria, in Germania, in Olanda ed in molti altri paesi del continente.
Non è stato sufficiente l’aver creato la “psicosi del terorrismo”, per effetto degli attacchi terroristici di Parigi, per far risalire nei sondaggi i partiti europeisti, come non sono bastati gli appelli all’unità nazionale ed alla “vigilanza” fatti propri dal presidente Hollande e da premier Manuel Valls. Il successo della principale forza di opposizione al governo socialista ed euroservo di Hollande e Valls è stato imponente e significativo.
In Danimarca la scorsa settimana, gli elettori hanno respinto una proposta del governo che voleva dare ai giudici europei l’ultima parola su questioni giurisdizionali interne, per una maggiore integrazione su giustizia e sicurezza e sull’immigrazione. Il referendum ha avuto come risultato la netta vittoria del fronte dei contrari, capeggiato dal Partito Popolare, formazione euro-scettica e anti-immigrati, seconda forza in Parlamento, contraria ad altre cessioni di sovranità alla UE.
Paese membro dell’Unione Europea dal 1973, la Danimarca è lo stesso paese che aveva detto anche no anche al Trattato di Maastricht. In virtù della clausola di esclusione, come il Regno Unito ed è attualmente fuori da qualsiasi obbligo relativo al ricollocamento dei migranti.
Questo risultato è arrivato nonostante le pressioni a cui erano stati sottoposti gli elettori con il bombardamento di tutti i media filo europei che prevedevano fosche conseguenze se il paese non si fosse adeguato alle indicazioni di Bruxelles. Anche in Danimerca, come in altri paesi d’Europa, gli elettori hanno perso qualsiasi fiducia nelle promesse dei politici ed in grande maggioranza ritengono che la UE non sia una difesa contro il terrorismo, la criminalità internazionale, l’immigrazione di massa ma al contrario ne sia la causa.
In vista del prossimo referendum in Gran Bretagna, quello che potrebbe dare il colpo di grazia all’Unione Europea, si prospetta un nuovo vertice della UE sulle richieste fatte dalla Gran Bretagna alla UE per rimanere nell’unione:
Di fatto la linea britannica si caratterizza per una linea contraria alla tendenza accentratrice dell’Unione Europea ed alla visione del “Super Stato Europeo”.
La Marine Le Pen ha dichiarato che una prossima uscita britannica dalla UE, preannunciata come una possibilità dal premier David Cameron, sarebbe come la caduta del muro di Berlino nel suo impatto geo politico sulle conseguenze per tutti gli altri paesi e si può essere sicuri che questa non sia una esagerazione.
Si poteva pensare che gli eurocrati avrebbero deciso di rispondere in qualche modo allo straordinario successo del Front National della Le Pen alle elezioni regionali in Francia. Nessuna reazione significativa viene registrata, piuttosto si finge indifferenza, come se nulla fosse accaduto. Per l’eurocrazia di Bruxelles la costruzione europea è un dogma di fede e di quelle che sono le preoccupazioni ed il malumore della gente dei paesi europei non è questione che interessi più di tanto i responsabili delle Istituzioni europee.
D’altra parte si sa che, per gli eurocrati di Bruxelles, il principale problema è mantenere le loro posizioni di potere ed i loro lucrosi stipendi, oltre ai privilegi ed ai favori dalle grandi lobbies che popolano gli uffici della UE.
Al contrario ci sono esponenti politici, euro entusiasti, i quali sostengono, come se nulla fosse accaduto che, contro il prepotente sorgere della contestazione e della rivolta alle politiche dell’Unione Europea, bisogna rispondere opponendo lo slogan “più Europa” e più cessioni di sovranità alle Istituzioni Europee. Questo è stato ad esempio il discorso fatto da Laura Boldrini, presidente della Camera dei Deputati in Italia, nel corso di una intevista al quotidiano La Stampa. Vedi: La Stampa
Bisogna tenere conto che, negli ultimi 30 anni ci sono stati vari referendum che si sono svolti in un certo numero di paesi dove gli elettori hanno sempre respinto i progetti per ampliare la portata delle istituzioni europee, nel caso dell’Irlanda si è chiesto agli elettori di ripensare il loro no secco. Quando invece è stato un grande paese come la Francia a respingere le proposte, la soluzione fu quella di predisporre delle proposte in forma di trattato e proseguire nel percorso dell’integrazione con o senza l’approvazione degli elettori.
Tuttavia è passato del tempo ed il fallimento dell’Unione Europea è diventato evidente specialmente in Francia, uno dei paesi fondatori dell’Unione, tanto che non è più possibile fare finta di nulla. Non a caso il Front National ha segnato il suo successo, con il diventare il primo partito francese, grazie alla sua aperta contestazione delle regole e delle direttive della UE, ad iniziare da quelle economiche ed a proseguire da quelle di politica estera.
Le politiche di austerità neoliberiste, praticate ed imposte dalle istituzioni europee, oltre ad affondare l’economia dei paesi europei, avvantaggiando esclusivamente la Germania a spese di tutti gli altri, hanno affossato il livello di fiducia che esisteva anche nei paesi maggiormente propensi a sostenere l’integrazione europea.
Dall’opinione pubblica dei paesi europei che più hanno sofferto della politica di austerità che ha favorito i grandi potentati finanziari e che ha consentito il gigantesco surplus finanziario della Germania, dominatrice del sistema, da tempo era sorta spontanea la domanda: perchè si deve continuare con questa politica disastrosa?
Piuttosto che rispondere a questa semplice domanda, l’establishment europeo, attraverso i suoi organismi, si è arroccato in una dinamica autoritaria, opaca e ostile ad ogni proclamazione di verifica popolare su tali temi, senza nascondere la propria contrarietà.
Esemplare a questo proposito la risposta che Jean C. Junker diede in una intervista a “Le Figaro” il 29 Gennaio del 2015: ….”non ci può essere una opzione democratica contro i trattati europei”; si riferiva a quei trattati che non sono stati votati da alcun popolo e che anzi sono stati rifiutati in alcuni casi sotto forma di referendum per la Costituzione europea e subito vanificati dall’oligarchia europea.
A tutto questo si è aggiunto il disastro dell’immigrazione di massa che ha invesitito l’Europa e l’incapacità della UE di fare fronte al fenomeno, ha ulteriormente minato questa fiducia creando piuttosto un sentimento di rivolta negli strati popolari dei paesi europei che hanno visto nelle politiche di apertura praticate dalla UE una grave minaccia alla stabilità sociale ed una pericolosa deriva nella situazione della sicurezza e delle condizioni di lavoro per l’arrivo di una massa di mano d’opera di riserva pronta ad ogni forma di sfruttamento e di concorrenza.
Il paradosso è quello che l’Istituzione della UE, che fu creata dai padri fondatori con l’idea di smantellare poco a poco la sovranità degli Stati nazionali per smontare i nazionalismi, indicati come causa prima delle guerre nella Storia del continente, oggi sta producendo le stesse condizioni per la risorgenza di forme di nazionalismo ed estremismo incontrollato come avviene in Francia, in Austria, in Germania, in Olanda ed in molti altri paesi del continente.
Non è stato sufficiente l’aver creato la “psicosi del terorrismo”, per effetto degli attacchi terroristici di Parigi, per far risalire nei sondaggi i partiti europeisti, come non sono bastati gli appelli all’unità nazionale ed alla “vigilanza” fatti propri dal presidente Hollande e da premier Manuel Valls. Il successo della principale forza di opposizione al governo socialista ed euroservo di Hollande e Valls è stato imponente e significativo.
In Danimarca la scorsa settimana, gli elettori hanno respinto una proposta del governo che voleva dare ai giudici europei l’ultima parola su questioni giurisdizionali interne, per una maggiore integrazione su giustizia e sicurezza e sull’immigrazione. Il referendum ha avuto come risultato la netta vittoria del fronte dei contrari, capeggiato dal Partito Popolare, formazione euro-scettica e anti-immigrati, seconda forza in Parlamento, contraria ad altre cessioni di sovranità alla UE.
Paese membro dell’Unione Europea dal 1973, la Danimarca è lo stesso paese che aveva detto anche no anche al Trattato di Maastricht. In virtù della clausola di esclusione, come il Regno Unito ed è attualmente fuori da qualsiasi obbligo relativo al ricollocamento dei migranti.
Questo risultato è arrivato nonostante le pressioni a cui erano stati sottoposti gli elettori con il bombardamento di tutti i media filo europei che prevedevano fosche conseguenze se il paese non si fosse adeguato alle indicazioni di Bruxelles. Anche in Danimerca, come in altri paesi d’Europa, gli elettori hanno perso qualsiasi fiducia nelle promesse dei politici ed in grande maggioranza ritengono che la UE non sia una difesa contro il terrorismo, la criminalità internazionale, l’immigrazione di massa ma al contrario ne sia la causa.
In vista del prossimo referendum in Gran Bretagna, quello che potrebbe dare il colpo di grazia all’Unione Europea, si prospetta un nuovo vertice della UE sulle richieste fatte dalla Gran Bretagna alla UE per rimanere nell’unione:
Prima richiesta; «una dichiarazione esplicita» di Bruxelles che garantisca a Londra di potersi sottrarre a qualunque passo verso «un superstato europeo».
Seconda: «una dichiarazione esplicita» che escluda in futuro l’euro come moneta unica dell’intera Ue.
Terza: l’adozione di un «cartellino rosso» che permetta a Londra di respingere la legislazione europea su alcune materie.
Quarta: una nuova struttura di governo che tuteli di più i 9 paesi fuori dalla moneta unica rispetto alla maggioranza «automatica» degli altri 19. Vedi: Da Cameron quattro richieste a Bruxelles per non uscire dall’Unione Europea
Di fatto la linea britannica si caratterizza per una linea contraria alla tendenza accentratrice dell’Unione Europea ed alla visione del “Super Stato Europeo”.
La Marine Le Pen ha dichiarato che una prossima uscita britannica dalla UE, preannunciata come una possibilità dal premier David Cameron, sarebbe come la caduta del muro di Berlino nel suo impatto geo politico sulle conseguenze per tutti gli altri paesi e si può essere sicuri che questa non sia una esagerazione.
Luciano Lago
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