Da tempo Cina e Federazione Russa hanno
capito, così come altre nazioni, che il ruolo del dollaro come
principale valuta di riserva mondiale è il loro tallone d’Achille
economico. Finché Washington e Wall Street controllano il dollaro, e
finché la maggior parte del commercio mondiale richiede dollari per i
pagamenti, le banche centrali come quelle di Russia e Cina saranno
costrette ad accumulare dollari sotto forma di “obbligazioni” del debito
del Tesoro USA, come riserva di valuta per proteggere le economie dalla
guerra valutaria che la Russia ha subito a fine 2014, quando
l’appropriatamente denominato ufficio su terrorismo e intelligence
finanziaria del Tesoro degli Stati Uniti e Wall Street scaricarono il
rublo con l’accordo USA-Arabia Saudita per far crollare i prezzi
mondiali del petrolio. Ora Russia e Cina sono dirette verso l’uscita dal
dollaro.
Il bilancio dello Stato della Russia dipende fortemente dai
profitti delle esportazioni di petrolio. Ironia della sorte, a causa del
ruolo del dollaro, le banche centrali di Cina, Russia, Brasile e altri
Paesi diametralmente opposti alla politica estera degli USA, sono
costrette a comprare debito del Tesoro USA in dollari, di fatto
finanziando le guerre di Washington, con cui mira a danneggiarli. Ciò
sta cambiando. Nel 2014 Russia e Cina firmarono due accordi colossali
30ennali sul gas russo per la Cina. I contratti hanno precisato che lo
scambio sarà in rubli e renminbi, non in dollari. È l’inizio di un
processo accelerato della de-dollarizzazione in corso oggi.
Renminbi nelle riserve russe
Il 27 novembre la Banca Centrale della Russia annunciava di annettere il
renminbi cinese nelle riserve ufficiali della banca, per la prima
volta. Al 31 dicembre 2014, la banca centrale della Russia aveva riserve
costituite per il 44% da dollari, il 42% di euro e la sterlina inglese
per poco più del 9%. La decisione d’includere renminbi o yuan nelle
riserve ufficiali della Russia aumenterà l’uso dello yuan nei mercati
finanziari russi, a scapito del dollaro. Lo yuan ha iniziato a essere
commercializzato come valuta, anche se non ancora pienamente
convertibile in altre, nella Borsa di Mosca dal 2010. Da allora il
volume delle compravendite yuan-rublo è cresciuta enormemente.
Nell’agosto 2015 i cambiavalute russi e le aziende acquistarono 18
miliardi di yuan, circa 3 miliardi di dollari, con un aumento del 400%
rispetto all’anno precedente.
Il rublo d’oro è in arrivo
Ma le azioni di Russia e Cina per sostituire il dollaro quale valuta di mediazione negli scambi commerciali, un commercio il cui volume è notevolmente aumentato dalle sanzioni di USA e UE nel marzo 2014, non sono le ultime. L’oro è in procinto di un drammatico ritorno sulla scena monetaria mondiale da quando Washington unilateralmente stracciò il trattato di Bretton Woods, nell’agosto 1971. A quel punto, su consiglio dell’emissario personale di David Rockefeller al Tesoro, Paul Volcker, Nixon annunciò che Washinton si rifiutava di onorare gli obblighi del trattato rimborsando i dollari detenuti all’estero con l’oro della banca centrale degli Stati Uniti.
Ma le azioni di Russia e Cina per sostituire il dollaro quale valuta di mediazione negli scambi commerciali, un commercio il cui volume è notevolmente aumentato dalle sanzioni di USA e UE nel marzo 2014, non sono le ultime. L’oro è in procinto di un drammatico ritorno sulla scena monetaria mondiale da quando Washington unilateralmente stracciò il trattato di Bretton Woods, nell’agosto 1971. A quel punto, su consiglio dell’emissario personale di David Rockefeller al Tesoro, Paul Volcker, Nixon annunciò che Washinton si rifiutava di onorare gli obblighi del trattato rimborsando i dollari detenuti all’estero con l’oro della banca centrale degli Stati Uniti.
Da quel momento, voci insistettero che di
fatto le casseforti di Fort Knox siano vuote; se ciò venisse verificato,
significherebbe la fine del dollaro come valuta di riserva. Washington
sostiene categoricamente che la Federal Reserve possiede 8133 tonnellate
di riserve auree. Se fosse vero, sarebbe di gran lunga superiore alla
seconda, la Germania, le cui riserve auree ufficiali sono indicate dal
FMI a 3381 tonnellate. Nel 2014 un evento bizzarro emerse alimentando i
dubbi sulle statistiche ufficiali dell’oro statunitense. Nel 2012 il
governo tedesco chiese alla Federal Reserve di restituire alla
Bundesbank, la banca centrale tedesca, l’oro “in custodia” della FED.
Scioccando il mondo, la banca centrale statunitense rifiutò di
restituire alla Germania il suo oro, con la flebile scusa che la Federal
Reserve “non poteva distinguere i lingotti tedeschi da quelli degli Stati Uniti…”
Forse dobbiamo credere ai revisori dell’US Federal Reserve per cui
l’oro fu escluso dai tagli al bilancio degli Stati Uniti? Nello scandalo
che ne seguì, nel 2013, gli Stati Uniti rimpatriarono 5 misere
tonnellate di oro tedesco a Francoforte e annunciarono di dover
attendere il 2020 per completare il richiesto rimpatrio delle 300
tonnellate. Altre banche centrali europee iniziarono a riprendersi il
loro oro dalla FED, sempre più sfiduciati verso la banca centrale
statunitense.
In tale dinamica, la banca centrale della Russia accumulò
drammaticamente le riserve auree ufficiali, negli ultimi anni, dato che
la crescente ostilità con Washington s’era accelerata di molto. Dal
gennaio 2013, l’oro ufficiale della Russia è aumentato del 129%,
arrivando a 1352 tonnellate al 30 settembre 2015. Nel 2000, alla fine
del decennio del saccheggio degli Stati Uniti della Federazione Russa,
durante i bui anni di Eltsin, le riserve auree della Russia erano pari a
343 tonnellate. Le casseforti della Banca centrale russa che, al
momento della caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 avevano circa 2000
tonnellate di oro ufficialmente, furono spogliate durante il controverso
mandato del capo della Gosbank, Viktor Gerashenko, che disse a
una Duma sorpresa che non sapeva spiegare dove fosse l’oro russo.
Oggi è
un’epoca diversa di certo. La Russia ha di gran lunga sostituito il
Sudafrica come terzo Paese per miniere d’oro al mondo e per tonnellate
annue estratte. La Cina è la numero uno. I media occidentali hanno
propagandato molto il fatto che le sanzioni finanziarie guidate dagli
Stati Uniti abbiano ridotto in modo significativo le riserve di dollari
della banca centrale russa. Ciò che non segnalano è che la banca
centrale in Russia ha acquistato oro, molto oro. Le riserve della Russia
in dollari USA si sono ridotte recentemente, per le sanzioni, di 140
miliardi dal 2014, in parallelo al crollo del 50% del prezzo del
petrolio, ma la disponibilità di oro è aumentata del 30% dal 2014, come
indicato.
La Russia detiene il maggior numero di once d’oro per gli exchange-traded funds (ETF). Solo a giugno, aggiunse il 12% della produzione mondiale annuale delle miniere d’oro, secondo seekingalpha.com.
Il governo russo adottò la proposta molto sensata dell’economista russo
e consigliere di Putin, Sergej Glazev, vale a dire che la Banca
Centrale di Russia acquistasse ogni singola oncia di oro russo estratto
ad un prezzo interessante in rubli, garantendosi l’aumento delle riserve
auree dello Stato, evitando anche che la Banca Centrale comprasse oro
sui mercati internazionali in dollari.
La bancarotta dell’egemone
Alla fine degli anni ’80, osservando la grave crisi bancaria degli Stati
Uniti assieme al netto declino del loro ruolo, dal dopoguerra ,di
nazione industriale leader mondiale e alle multinazionali degli Stati
Uniti che esportavano la produzione nei Paesi dai bassi salari come
Messico e Cina, gli europei cominciarono a concepire una nuova moneta
per sostituire il dollaro come riserva e creare gli Stati Uniti d’Europa
per rivaleggiare con l’egemonia statunitense. La risposta europea fu la
creazione del trattato di Maastricht al momento della riunificazione
della Germania, agli inizi degli anni ’90.
La Banca centrale europea e
l’euro più tardi, costruiti dall’alto e gravemente compromessi, ne
furono il risultato. Una sospetta scommessa vincente da miliardi di
dollari dello speculatore degli hedge fund George Soros, nel 1992,
contro la Banca d’Inghilterra e la parità della sterlina, respinse Regno
Unito e City di Londra dall’emergente alternativa europea al dollaro.
Qualcuno ci guadagnò facilmente con gli stessi hedge fund colpendo
l’euro nel 2010 attaccandone il tallone d’Achille, la Grecia, seguita da
Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna. Da allora l’Unione europea,
obbiettivo di Washington e incatenata alla NATO, non minaccia più
l’egemonia statunitense.
Tuttavia, sempre dal 2010, mentre Washington
tentava d’imporre la Full Spectrum Dominance del Pentagono sul mondo
sotto forma dei cosiddetti cambi di regimi arabi manipolati dalla
Tunisia all’Egitto alla Libia e ora, con scarsi risultati, in Siria,
Cina e Russia si sono avvicinate. L’alternativa russo-cinese al dollaro,
sotto forma di rublo d’oro e renminbi o yuan d’oro, potrebbero avviare
la reazione a catena dell’uscita dal dollaro statunitense, e quindi
avviare un serio declino nella capacità degli Stati Uniti di utilizzare
il dollaro quale riserva per finanziare le guerre con i soldi altrui.
Ciò potrebbe avvantaggiare un mondo in pace rispetto alle guerre
dell’egemone perdente, gli Stati Uniti.
F. William Engdahl New Eastern Outlook
F. William Engdahl
è consulente di rischio strategico e docente, laureato in Scienze
Politiche all’Università di Princeton, è autore di best-seller su
petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2015/12/06/la-russia-accelera-luscita-dal-dollaro/
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