Fino
a un paio d’anni fa sigla pressoché sconosciuta ai più, oggi ha
occupato di prepotenza le prime pagine dei giornali e dilaga nei
dibattiti di tutti i media del mondo; l’ISIS è diventato il nuovo ‘Impero del male’ un nome che terrorizza i popoli.
In suo nome vengono commessi stragi ed esecuzioni, decapitazioni e crocifissioni che sembrano riportare indietro l’orologio della storia direttamente al medioevo.
In suo nome vengono commessi stragi ed esecuzioni, decapitazioni e crocifissioni che sembrano riportare indietro l’orologio della storia direttamente al medioevo.
Ma a fronte di azioni terroristiche mostruose e di proclami non meno deliranti, non sembra che vi sia nell’opinione pubblica una reale conoscenza di questo fenomeno, a cominciare dalla sua nascita per continuare con la sua storia, ma soprattutto dei fondamenti ideali su cui si basa.
C’è chi lo considera – come il presidente Obama – ‘non islamico’ mentre altri lo ritengono la vera incarnazione dell’Islam più puro.
Una gran confusione dunque, eppure ISIS – sigla che sta per Islamic State of Iraq and ash-Sham o Islamic State of Iraq and Syria o anche ISIL, Islamic State of Iraq and the Levant o, ancora, Daesh – oggi controlla un territorio in cui vivono oltre 10 milioni di persone, tra Iraq e Siria, oltre ad aree più limitate all’interno di Paesi come Libia, Afghanistan e Nigeria.
Il 24 giugno del 2014 questo gruppo si è autoproclamato califfato mondiale ed ha indicato come capo supremo, o califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, proclamando la propria autorità religiosa, politica e militare su tutti i fedeli dell’Islam del mondo ed affermando che “la legittimità di tutti gli emirati, i gruppi, gli Stati e le organizzazioni, è resa nulla a fronte dall'espansione dell’autorità del Khilafah [califfato] e dell’arrivo delle sue truppe nelle loro aree”.
Da quel momento, dunque, ISIS ha cessato di essere un movimento o un’organizzazione più o meno clandestini, ma si autodefinisce un vero e proprio Stato, con una propria organizzazione, una propria legge e una propria economia.
Nel giugno di quest’anno il califfato aveva già occupato Mosul in Iraq, di fatto governando un’area vasta circa come l’Italia.
Ma cos’è un califfato?
Si tratta di una forma di governo, che risale all’Islam più antico, guidata da un califfo. Il termine deriva da Khilafah (successione) e si propone di realizzare l’unità di tutti i musulmani o Umma.
Come ha ripetutamente sottolineato Al-Baghdadi nel suo sermone di Mosul, riportare in vita il califfato è un dovere per ogni musulmano e, al tempo stesso, un veicolo di salvazione.
Il califfo è un vero e proprio successore di Maometto che, pur avendo una connotazione più politica che religiosa, può essere considerato – peraltro come il papa nella tradizione cristiana - un rappresentante di Allah sulla terra.
La nozione di califfato ha precisi riferimenti storici che tendono a restaurare le antiche glorie dell’Islam spazzate via dalla modernità ma soprattutto dal nuovo ordine del Medio Oriente voluto dall’Occidente all’inizio del secolo scorso.
L’ultimo califfato della storia risale, infatti, ai tempi dell’Impero Ottomano, quando venne spazzato via da Kemal Atatürk, il padre della moderna Turchia nel 1924.
Che grado di conoscenza abbiamo oggi in Occidente di questo fenomeno che rischia di provocare delle profonde trasformazioni nelle nostre società?
Ebbene, con tutta probabilità l’Occidente ha sino a oggi male interpretato, frainteso e sottovalutato una realtà che la drammatica attualità di questi giorni sta portando prepotentemente alla ribalta dell’opinione pubblica mondiale, suscitando invero reazioni scomposte, che nella maggior parte dei casi si basano solo sulla mancata comprensione dei fatti.
Il fenomeno, infatti, viene frainteso da almeno due punti di vista fondamentali.
In primo luogo in Occidente si tende a considerare il jihadismo (da Jihad, guerra santa agli infedeli) come qualcosa di unitario, minimizzando le enormi differenze esistenti al suo interno. Questo ha portato ad attribuire all’ISIS la stessa logica di Al-Qaeda, organizzazione che il califfato ha, negli ultimi anni, decisamente surclassato ed emarginato. È pur vero che Osama Bin Laden riteneva il proprio impegno terroristico come propedeutico al califfato ma la sua organizzazione era flessibile e basata su cellule largamente autonome. Lo Stato islamico, al contrario, per essere legittimo ha necessità di radicarsi al territorio, che suddivide in provincie, tramite una filiera di comando che si articola in due rami: civile e militare.
Il secondo errore interpretativo – diffusosi in relazione alle azioni di Al-Queda – è quello di considerare i jihadisti dei combattenti moderni, con intenti strategici altrettanto moderni, se pur rivestiti di sembianze religiose di stampo medievale.
Ora quello che poteva valere per il terrorismo binladiano non ha più nessuna parentela con lo Stato Islamico, che intende trasporre in pratica i dettami del più rigoroso insegnamento del Corano.
Nel mondo occidentale le guerre di religione appartengono a un remoto passato e forse per questo la mentalità europea fa molta fatica a comprendere le spinte e le motivazioni che sono alla base di questo nuovo attore sul palcoscenico internazionale.
Si tende a non mettere in collegamento le azioni dell’ISIS con la base teologica coranica e questo è sicuramente comprensibile, ma altrettanto errato.
Il fatto che un movente religioso all’azione abbia poco significato a Washington o a Londra, sicuramente non vale a Raqqa o Mosul, dove chi sta decapitando un uomo al grido di Allahu akbar lo fa – nella maggior parte dei casi - per motivazioni religiose se pur malintese.
ISIS è islamico o è costituito solo da una banda di criminali?
ISIS non solo è islamico, ma lo è in modo assolutamente integralista e letterale.
Ogni pronunciamento della sua dirigenza, ogni legge, ogni documento, si richiama alla metodologia del Profeta in modo letterale, vale a dire che i dettami del Corano vengono seguiti puntigliosamente e con la massima precisione sin nei dettagli.
I dettagli, evidentemente, di un libro scritto circa 14 secoli fa.
Un po’ come se si pretendesse di seguire oggi alla lettera la Bibbia quando parla di schiavitù o di lapidazione o di taglio delle mani e dei piedi.
Pertanto, pur non potendo affermare che non abbia nulla a che fare con l’Islam, affermare che ISIS rappresenti l’Islam sarebbe un errore colossale; sarebbe come identificare il Cristianesimo con l’Inquisizione o l’Ebraismo con il Sionismo più estremo.
La storia ha abbondantemente insegnato che ogni religione, così come ogni libro sacro, sono soggetti a differenti interpretazioni – spesso estremamente divergenti - e il Corano non fa certo eccezione.
D’altra parte liquidare ISIS come non-islamico sarebbe un errore interpretativo di notevoli proporzioni, considerando che i precetti che il califfato mette in pratica sono apertamente espressi nelle surah coraniche. È evidente che la gran maggioranza dei musulmani riconosceranno che la schiavitù oggi non è praticabile e anche la crocifissione è leggermente demodé, tuttavia non potranno negare che tali indicazioni, rivolte ai nemici dell’Islam, si trovano nero su bianco nel Corano. Il fatto è che se un fedele dell’Islam ritiene che determinate indicazioni coraniche oggi non sono più valide, per i seguaci dell’ISIS egli, a rigor di logica, compie ipso facto un atto di apostasia e dunque merita la morte.
Nel novembre di quest’anno lo Stato Islamico ha riconosciuto, in un video di propaganda, che la propria origine risale a Bin Laden, passando per Abu Musa’b al Zarqawi, a capo di Al-Qaeda fino alla sua morte avvenuta nel 2006, cui è succeduto Ayman al Zawahiri, il quale tuttavia non ha giurato fedeltà al califfato, creando così una spaccatura tra le due organizzazioni.
Sia Zawahiri che il suo maestro, il religioso giordano Abu Muhammad al Maqdisi, considerato la mente di Al-Qaeda, appartengono ad un’ala jihadista dei sunniti detta Salafismo, che prende il nome da al salaf al salih, vale a dire ‘pii padri fondatori’, cioè il Profeta ed i suoi primi seguaci.
I salafiti sono ugualmente rispettosi della lettera del Corano, tuttavia danno la priorità alla purificazione personale rimandando il progetto del califfato e della Jihad a tempi più maturi. Essi ritengono che i musulmani debbano dedicarsi piuttosto al perfezionamento della propria vita personale.
Nonostante il Salafismo non possa essere definito Islam moderato – anzi per la sua coerenza e intransigenza viene considerato estremo dalla maggior parte dei musulmani - esso fornisce comunque una alternativa a chi voglia rifarsi alla lettera del Corano ma non si riconosca nella strategia dello Stato Islamico, i cui seguaci condannano i salafiti senza appello e se ne fanno gioco in ogni possibile modo.
Lo Stato Islamico, con il suo riferirsi alla lettera del Corano, naturalmente ripudia le pratiche degli sciti, sostenendo che esse non si basano sulla dottrina coranica. Ciò significa niente di meno che 200 milioni circa di sciti vanno condannati a morte in quanto giudicati traditori e dunque più spregevoli dei kuffar, o infedeli. Stesso giudizio e stessa condanna per tutti quei capi di stato musulmani che hanno promulgato leggi che contraddicano la Shariah, l’unica legge che, in quanto divina e non umana, può essere rispettata da un vero musulmano. Costoro sono da condannare, pertanto, in quanto hanno messo delle leggi umane al di sopra di quella divina e sono pertanto takfir o apostati.
Ora la dottrina takfir professata dallo Stato islamico vuole conseguire una purificazione dell’umanità attraverso l’uccisione di un gran numero di persone, di fatto attraverso veri e propri genocidi. Questo sta avvenendo quotidianamente attraverso esecuzioni singole o di massa, da cui cristiani e anche ebrei – in quanto adoratori del Dio unico – sono risparmiati solo se si sottomettono alle leggi del califfato e pagano una tassa speciale, la jizya.
I militanti dello Stato Islamico, nella loro strategia geopolitica, si richiamano alla lettera delle regole di guerra del Corano. Questo spiega il motivo per cui azioni che l’occidentale moderno considera barbare e incomprensibili come la decapitazione o la crocifissione o il ridurre donne e bambini in schiavitù, sono per i combattenti del califfato regole da seguire.
In qualche modo si può dire che essi facciano rivivere rigorosamente il medioevo con tutte le sue atrocità nell’età moderna. Il Corano infatti indica la crocifissione come una delle poche punizioni consentite nei confronti dei nemici dell’Islam, così come la tassa ai cristiani è stabilita dalla surah Al-Tawba, nel nono capitolo del Corano, la quale stabilisce che si devono combattere ebrei e cristiani fino a che questi non si sottomettano e paghino la jizya.
Dato che fu il Profeta a decretare queste leggi e a possedere schiavi, gli attuali apostoli del califfato ne seguono puntigliosamente i dettami e i precetti, riportando in vita usi e tradizioni vecchi di secoli.
“Noi conquisteremo la vostra Roma, spezzeremo le vostre croci e ridurremo in schiavitù le vostre donne”ha scandito Adnani, il portavoce del califfato in uno dei suoi messaggi all’Occidente e “se non vedremo noi quel momento lo vedranno i nostri figli e nipoti e saranno loro a vendere i vostri figli al mercato degli schiavi”.
Non si tratta di semplici parole, visto che ad esempio la riduzione in schiavitù delle donne e bambini Yazidi viene attuata da tempo. “Ridurre in schiavitù le famiglie dei kuffar (infedeli) e prendere le loro donne come concubine è un aspetto ben preciso della Shariah che se qualcuno vuole ridicolizzare o negare significa che sta ridicolizzando o negando il Corano e la rivelazione del profeta ed è quindi un apostata dell’Islam” sostiene recentemente l’anonimo articolista di un gruppo di studio di studiosi islamici.
Qual è la novità fondamentale dell’ISIS nel panorama dei movimenti estremistici islamici degli ultimi anni?
Ebbene, è proprio la realizzazione del Khilafah – il fatto che esso esista esteriormente come stato - che permette la piena esecuzione della Shariah. Senza il califfato come entità realizzata fisicamente anche i fedeli non sarebbero tenuti a seguire pedissequamente le regole della legge islamica. Invece la stessa esistenza del califfato è ipso facto condizione sufficiente alla piena applicazione della Shariah. Non solo, in teoria tutti i musulmani sarebbero tenuti a trasferirsi nelle regioni dove la Shariah viene applicata.
Sino a oggi gli unici che avevano in qualche modo mantenuto una rigorosa fedeltà ai dettami coranici originari erano i wahabiti dell’Arabia saudita, ma presso i sauditi la Shariah si è concentrata nella parte punitiva (frustate, lapidazioni, decapitazioni), perdendo alcune caratteristiche fondamentali, ad esempio la giustizia economica e sociale, vale a dire le leggi che prescrivono il diritto ad avere una abitazione gratuitamente, cibo e abbigliamento per tutti, leggi che il califfato vuole introdurre e che evidentemente sono motivo di grande appeal per molti giovani che da tutto il mondo ingrossano le file di questo stato nello stato.
Chi sono coloro che abbracciano questa ideologia e migrano incessantemente verso i territori occupati dal califfato?
Mi sono già occupato di questo fenomeno – e delle sue ragioni più profonde – in un precedente articolo, in cui ho cercato di grattare la superficie dei luoghi comuni che dilagano sui media occidentali a proposito dei giovani che abbracciano la macabra macchina di morte dell’ISIS. Si tratta di 30.000 militanti provenienti da tutto il mondo (2.000 foreign fighters solo dall’Europa) i cui arrivi, nei territori occupati dall’ISIS, dopo il discorso di Baghdadi, hanno avuta una intensificazione esponenziale.
Come testimonia Jürgen Todenhöfer, il giornalista tedesco che ha passato recentemente alcune settimane con i militanti dello Stato Islamico al confine con la Turchia il ritmo di arrivo era di 50 giovani al giorno, provenienti da vari Paesi del mondo occidentale.
Ora personalmente credo che solo la comprensione dei motivi che spingono questi giovani a lasciare le comodità e la sicurezza della modernità per emigrare verso zone di guerra e di massacri, spesso desiderando ardentemente il martirio, sia condizione necessaria, quantunque non sufficiente, per comprendere meglio le istanze dello Stato Islamico che Todenhöfer definisce, nel suo reportage, estremamente sottostimate da parte dell’Occidente.
Basti pensare alla definizione del presidente Obama fatta al new Yorker solo un anno fa secondo la quale ISIS sarebbe “un partner più debole di Al-Qaeda”.
Ma veniamo alla domanda fondamentale: che cosa vuole veramente l’ISIS?
Come si è vito, i motivi teoretici alla base della costituzione del Khilafah non mirano tanto alla conquista del Medio Oriente ed eventualmente di altri Paesi, quanto ad una ‘pulizia religiosa’ di proporzioni bibliche. A parte i credenti del Dio unico, vale a dire cristiani ed ebrei, ISIS si propone apertamente di annientare non credenti ed eretici e di ridurre in schiavitù le loro donne e i loro figli.
Praticamente – osserva Todenhöfer – si tratta di una condanna a morte per tutti gli sciti, gli yazidi, gli indù, gli atei ed i politeisti del mondo. Ai seguaci di queste visioni del mondo si aggiungono coloro – anche se musulmani – che credono nei valori della democrazia.
Il motivo?
Semplice; costoro, seguendo le leggi democratiche pongono di fatto una legge umana al di sopra della legge divina, la Shariah, commettendo dunque apostasia. Qualcosa che neppure Pol Pot o Hitler o Stalin hanno mai immaginato nelle loro menti diaboliche.
Come salvarsi? Solo convertendosi all’Islam prima della conquista del territorio in cui si vive da parte delle schiere del califfato.
In politica estera – ammesso che questo concetto sia applicabile al Khilafah – la legge islamica prevede la possibilità di trattati di pace temporanei, che non superino una decina d’anni ma non riconosce per definizione confini di sorta tra gli Stati.
Nel 2013 Abu Mohammed Al-Adnani ha dichiarato che il movimento era pronto per “ridisegnare il mondo nei termini della metodologia del califfato, indicata dal Profeta” individuando pochi mesi dopo il proprio obiettivo nella “costituzione di uno Stato Islamico che non riconosca confini di sorta, coerentemente con l’insegnamento del Profeta”.
Al tempo stesso nessun organismo internazionale – come, ad esempio, le Nazioni Unite – può venir riconosciuto dal Khilafah, in quanto significherebbe riconoscere una autorità che non sia Allah. Se, per avventura, il califfo lo facesse, questo rappresenterebbe shirk, vale a dire politeismo, e dovrebbe portare alla condanna per apostasia e relativa rimozione del califfo.
Qual è allora la missione dell’ISIS?
Nel breve termine – come dichiarato all’indomani dell’eccidio di Charlie Hebdo, dall’organo officiale di ISIS, la rivista online Dabiq, “i musulmani in Occidente si troveranno presto di fronte ad un bivio” visto che l’effetto dell’attacco è stato quello di polarizzare le reazioni della società, eliminando la “zona grigia” rappresentata da coloro che professano la pacifica coesistenza di culture e religioni diverse.
In sostanza l’organizzazione ha inteso dichiaratamente estremizzare le posizioni dei fedeli, mirando a far sì che la reazione della popolazione cristiana faccia sentire i musulmani non più benvenuti nei Paesi che li ospitano. Insomma il califfato vuole spingere i musulmani che vivono nei Paesi occidentali o a rinnegare l’Islam o “a emigrare verso lo Stato Islamico per sfuggire alla persecuzione dei governi crociati e dei propri concittadini”. Con il secondo attacco di Parigi - peraltro già anticipato da Dabiq - si è in sostanza inteso manifestamente suscitare una sempre crescente ostilità tra i musulmani e le popolazioni di altre confessioni religiose all’interno dei Paesi occidentali in cui vivono.
Nulla di nuovo in questo, è una strategia che già aveva usato Al-Qaeda nell’Iraq post-invasione, favorendo lo scoppio della guerra civile.
In una lettera a Osama Bin Laden, Abu Musa’b al Zarqawi espressamente propose di provocare tale conflittualità, con un attacco alla maggioranza scita da parte della minoranza sunnita. “Se riusciremo a trascinarli - scriveva Zarkawi - nell’arena della guerra di sette sarà possibile risvegliare i sunniti visto che si sentiranno in pericolo imminente di annientamento e morte.”
La strategia sembra in parte funzionare, viste le reazioni di parte della cosiddetta società civile che ha iniziato a inneggiare all’espulsione o al non accoglimento dei profughi o alla demonizzazione dei musulmani in generale, nonostante la maggior parte di questi ultimi non nutra simpatia alcuna per le posizioni del Califfato.
Appare pertanto evidente come il cosiddetto ‘scontro di civiltà’ venga attivamente perseguito non soltanto dalle élite occidentali ma anche dalla strategia dello Stato Islamico.
Ciò conferma l’ipotesi di una convergenza d’interessi di coloro che stanno pianificando lo scontro tra l’Occidente materialista e l’Oriente dell’idealismo capovolto.
Qual è la visione millenaristica dell’ISIS?
Il califfato ha dato vita ad una struttura sociale all’insegna di obbedienza, ordine, disciplina e attesa di un destino di sangue e di morte.
Eppure i suoi seguaci ne sono attratti come da un abbraccio mortale. Il millenarismo implicito nella sua missione, la consapevolezza di combattere per la realizzazione di una profezia verso la quale si ha una fede incrollabile è il vero nucleo di questo fenomeno. Sebbene ogni musulmano sappia che solo Dio può conoscere il futuro, sa altresì che Allah ha in qualche modo dato delle indicazioni attraverso il Corano e le comunicazioni di Maometto. A differenza di altre correnti jihadiste, il Khilafah ritiene che tali indicazioni siano affatto centrali nei libri sacri. E, tra queste, la visione millenaristica, apocalittica, è uno dei leit-motiv più importanti della visione del mondo dell’ISIS.
Come altre visioni apocalittiche ricorrenti nella storia dell’uomo, i seguaci di Baghdadi attendono ansiosamente l’arrivo del Mahdi, una figura messianica che dovrà condurre le schiere islamiche alla vittoria sugli infedeli prima della ‘fine dei giorni’.
Nelle predizioni collegate alla fine del mondo si parla di un succedersi di 12 Califfi di cui Baghdadi sarebbe l’ottavo e delle ‘armate di Roma’ – e qui si può interpretare Roma con l’Occidente cristiano e moderno - che si scontreranno nella battaglia definitiva nella Siria settentrionale, dopo di che giungerà Dajjal, l’anti-messia, che si manifesterà a Gerusalemme dopo la conquista islamica.
Le profezie narrano che egli verrà dall’Iran orientale e ucciderà un gran numero di fedeli musulmani, fino a circondarne, a Gerusalemme, gli ultimi 5.000 sopravvissuti. Ma, allorché Dajjal si accingerà ad annientarli, si manifesterà il ritorno di Gesù - il secondo profeta più rispettato dell’Islam – che sconfiggerà Dajjal e condurrà i musulmani alla vittoria finale. Il luogo dello scontro tra le armate dei ‘crociati’ e quelle del Khilafah è la zona di Dabiq, vicino ad Aleppo, e questo spiega l’ostinazione e la tenacia con cui i soldati dello Stato Islamico hanno combattuto per occuparla. Lo scontro di Dabiq rappresenterà l’inizio del conto alla rovescia per l’Apocalisse, anche se nessuno può essere certo di quando la fine dei tempi avrà luogo.
Come fermare l’ISIS?
La forza dell’ISIS – il Khilafah realizzato – è anche la sua debolezza. Vale a dire che se un altro movimento, Al-Qaeda ad esempio, venisse sconfitto potrebbe comunque entrare in clandestinità e continuare a combattere in modo sotterraneo, mentre il califfato, basando la propria legittimità sul fatto di esistere come struttura operativa sul territorio, se perdesse il potere sulle zone che controlla evidentemente cesserebbe tout-court di essere un califfato. Di conseguenza anche i doveri morali e pratici dei seguaci verrebbero a cessare.
Naturalmente c’è da chiedersi come si possa oggi sconfiggere il Khilafahnei territori occupati se non a prezzo di migliaia di vittime innocenti.
Appare evidente che l’attuale politica di bombardamenti non stia sortendo gli effetti auspicati, né è pensabile che curdi o sciti potranno mai sottomettere un vastissimo territorio dove sono invisi alla maggioranza sunnita.
L’opzione, caldeggiata da alcuni, dei boots on the ground, vale a dire di un attacco militare con truppe di terra, è altrettanto da scartare considerando l’elevatissimo numero di vittime innocenti che porterebbe con sé, come si è visto con l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Non solo, ma per i motivi sopra trattati, anche vincendo la guerra si…perderebbe certamente la pace.
Nel frattempo gli attentati di Parigi hanno raggiunto dei risultati ben precisi. Come sostiene Fausto Carotenuto, dopo il bagni di sangue di venerdì 13 Novembre si è visto come siano, come per incanto, tutti pronti a fare qualsiasi cosa per fermare il nuovo ‘Impero del male’.
Era questo forse l’obiettivo che si voleva raggiungere, ricercato a lungo attraverso le cosiddette ‘primavere arabe’ e la detronizzazione dei capi di stato laici dei Paesi mediorientali con lo scopo di rimpiazzarli con quelli islamici, fautori del terrorismo.
Eppure già un contenimento della sua espansione sarebbe già un successo in quanto minerebbe alla base la forza profetica dei suoi obiettivi trionfali. L’ISIS non ha alleati, nessuno Stato appoggia apertamente la sua politica, anche se - per motivi estremamente complessi e occulti – ne finanzia la crescita; inoltre il territorio che controlla è estremamente povero e sottosviluppato, a parte le risorse petrolifere da cui sembra ricavare 1,5 milioni di dollari al giorno.
L’unico possibile intervento efficace – come alcuni sagaci commentatori politici sostengono - sarebbe quello di realizzare un efficace embargo intorno alle aree occupate dal califfato, privando i militanti di approvvigionamenti, armi ed energia.
Sarà possibile dunque sconfiggere l’ISIS?
Ma un tale embargo, come sappiamo, sarà di difficile realizzazione per un motivo ben preciso.
Vale a dire per il fatto che l’ISIS è in realtà una creatura dell’Occidente, creata, organizzata e finanziata con lo scopo di mantenere alto il livello di paura e di insicurezza di interi popoli, pronti a rinunciare a porzioni sempre maggiori di libertà ed autonomia.
Attraverso la manipolazione mediatica si vuole palesemente ottenere determinati effetti, si vuole alimentare l’odio e la paura e, al tempo stesso, far ingrassare sempre più le corporation delle armi che oggi dispongono di budget stratosferici, che altrimenti, senza un nemico da combattere, sarebbero palesemente ingiustificabili di fronte all’opinione pubblica mondiale.
Per capire meglio il Big Game, basti pensare a chi ha appoggiato e finanziato questi movimenti:
Arabia Saudita - Nel 2006, su mandato USA, ha organizzato Al-Qaeda in Iraq per impedire che l’Iraq si riavvicinasse all’Iran. Ha armato la maggior parte degli estremisti islamici in Siria.
Turchia - Ha consentito il passaggio dei foreign fighters nella Siria settentrionale. Insieme all’Arabia Saudita ha organizzato quest’anno dei gruppi armati di Al-Qaeda per invadere la Siria. Ha dato ospitalità ai leader islamici ed ha coordinato le vendite del petrolio sottratto dall’ISIS.
Qatar - Tra il 2011 e il 2013 ha trasferito milioni di dollari a gruppi islamici collegati con i Fratelli musulmani e successivamente ha appoggiato le azioni di Arabia Saudita e Turchia.
Israele - Fornisce armi e assistenza medica ai ‘ribelli’ islamici compresi Al-Nusra e ISIS. Coordina i transiti sulle alture del Golan.
Francia e Gran Bretagna - Forniscono armi ai ‘ribelli’ islamici che poi le trasferiscono ad Al-Qaeda.
Stati Uniti - Gli USA sono il vero e proprio ‘cervello’ di tutta questa operazione. Dopo aver causato, con l’invasione dell’Iraq del 2003, ma soprattutto con l’eliminazione – dalla sera alla mattina – di tutti i quadri dell’esercito iracheno, che sono passati armi e bagagli alle schiere dei ribelli, ha consentito l’uso delle proprie basi militari in Turchia, Giordania, Qatar, Iraq e Arabia Saudita. Arma i cosiddetti ‘ribelli siriani’ che poi passano all’ISIS.
Senza parlare di testimonianze di ufficiali iracheni che sostengono che l’aeronautica USA rifornisca l’ISIS con lanci di materiali ed armi dal cielo.
Le azioni di questi Paesi, affiancati dalla manipolazione mediatica e dai servizi segreti collusi ha reso possibile ai cittadini dell’Occidente la percezione di una nuova contrapposizione tra due blocchi avversari, procedendo nel percorso verso un Nuovo Ordine Mondiale nel quale una sempre maggiore egemonia dei superstati sostituirà le autonomie delle nazioni e i margini di libertà dei popoli.
E l’ISIS è un prezioso alleato in questo percorso.
Perché dovrebbero privarsene?
Ultim’ora.
Mentre sto concludendo questo articolo mi giungono le inquietanti notizie dell’abbattimento di un aereo russo da parte dell’aviazione turca, che, purtroppo, tendono a confermare quest’analisi dei fatti.
C’è chi sta coscientemente cercando di innalzare il livello dello scontro in modo da creare un punto di non ritorno, coinvolgendo non solo i Paesi Nato ma anche la Russia che, da alcune settimane, è intervenuta in modo evidentemente troppo efficace nello scacchiere mediorientale con i suoi bombardamenti delle roccaforti dell’ISIS.
Questo incidente che Putin ha chiamato “una coltellata alle spalle” potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili, considerando che un’aggressione a un Paese Nato – quale è la Turchia – rischierebbe di coinvolgere tutta l’alleanza atlantica.
Se così avvenisse la proxy war che è stata innescata in Siria potrebbe sfociare in un conflitto diretto tra potenze nucleari, con esiti disastrosi.
Speriamo che la ragionevolezza sappia sventare gli oscuri disegni di chi vuole ancora una volta precipitare il mondo in guerra.
Piero Cammerinesi
Fonte: http://www.liberopensare.com/articoli/1043-nel-nome-dell-isis
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