“Sii calmo nell’attività e attivo nella calma.”
(Paramhansa Yogananda)
Un giorno chiesero a Paramhansa
Yogananda: “Il sentiero spirituale ha una fine?” e lui rispose: “Niente
affatto. Si va avanti finché non si raggiunge l’infinito.” Troppo spesso
viviamo pensando di poterci riposare oppure crediamo che saremo felici
solo dopo aver raggiunto un certo obiettivo, solo dopo aver comprato
qualcosa, solo dopo aver trovato un nuovo amore, solo dopo aver risolto
un problema… insomma, saremo felici solo dopo qualcosa che bisogna
raggiungere.
E così rinforziamo l’idea che
c’è qualcosa che ci impedisce di essere in pace e di poter godere quello
che già abbiamo. Questo atteggiamento non facilita il percorso
spirituale perché non ci permettiamo di riposare perciò anche la nostra
ricerca spirituale diventa uno stress. Questo ci accade perché non
sappiamo che la regola d'oro della vita pratica e della ricerca
spirituale è quella di non essere impaziente.
Per riuscire nella ricerca è
necessario prepararsi con calma e avanzare con passo lento ma più
sicuro. Nel mondo spirituale non si ammettono errori e anche la più
piccola distrazione può causare un disastro. L'impazienza e la
distrazione non vengono perdonati. Non dobbiamo permettere che
l’impazienza ci renda tesi, perché il vero progresso spirituale non si
potrà mai forzare.
Non dobbiamo permettere che il
nostro ego imponga il suo ritmo, perché è l’ego ad imporre la sua
impazienza, è lui che vuole avere subito e tutti i frutti del suo
lavoro. Il problema è che, più cerchiamo il riposo dopo l’azione più
diventiamo irrequieti. Il riposo va ricercato e apprezzato durante
l’azione, perché il percorso di miglioramento non ha mai fine.
Ma questo è il concetto che
viene compreso con più facilità solo dalla mente che è abituata a
meditare. Il maggiore ostacolo per il progresso spirituale è che la
mente subconscia limita la comprensione della vita. Il subconscio è il
terreno che spesso ci dimentichiamo di curare e di seminare, perché la
mente occidentale considera l'inconscio cioè un luogo non cosciente.
In realtà questo terreno è tutto
fuorché che incosciente, perché è solo un luogo della coscienza di cui
non siamo dinamicamente coscienti. In questo luogo si accumulano i
pensieri, le azioni, le memorie ed i sedimenti della società perciò
tutti questi condizionamenti sono presenti e attivi, sebbene nascosti.
Sono non elaborati, ma esercitano un potente influsso, anzi, spesso
condizionano le decisioni che prendiamo.
Tutte le abitudini che
sviluppiamo ci portano a vivere con molta automaticità, perciò la nostra
attenzione e la nostra determinazione non riescono a restare
focalizzate sulla semplice azione che stiamo compiendo. L’abitudine è il
trucco più amato da una mente che non vuole faticare, perciò
l’abitudine è comoda ma non fa pensare.
Questo è il motivo per cui le
persone continuano a fare delle azioni che sanno non gli porteranno
nessun vantaggio. È la parte subcosciente che spinge ad agire
automaticamente perciò diventiamo inconsapevoli anche della nostra
limitata libertà. Ma ci sono molti modi per dominare l’azione dei
pensieri e delle abitudini dannose che salgono dal subconscio. Un modo è
quello di darsi solo ordini buoni facendo solo azioni giuste e
coltivando solo dei pensieri elevati.
L’altro modo è quello di privare
il subconscio degli impulsi distruttivi o negativi perciò di non
alimentare quei pensieri negativi e quelle azioni ingiuste. Quando
togliamo l'energia a qualcosa la indeboliamo. E, se togliamo il
nutrimento alle cose ingiuste e negative dovremo usare meno energia per
creare o rinforzare i pensieri giusti e le azioni positive.
Il modo migliore per purificare
il subcosciente è quello di rivolgersi verso l’alto cioè rivolgersi al
supercosciente, dice Yogananda. La mente cosciente è l'alleato più
affidabile per aiutarci nella battaglia per l’indipendenza dell’anima.
Le filosofie orientali indicano alcuni atteggiamenti che ci aiutano a
conquistare un cuore tranquillo e ci indicano dei passi concreti e
sicuri per raggiungere la pace della mente.
Gli insegnamenti vengono divisi
tra le cose che si devono fare e le cose che si devono evitare, e vanno
considerati come raccomandazioni piuttosto che come imposizioni. I
divieti vengono presentati per primi perché si crede che è preferibile
eliminare i difetti piuttosto che costruire su un terreno malsano,
perciò le prime attitudini sono dette “yama” ossia controllo.
Può sembrare strano che questi
principi vengano definiti come negativi, ma la ragione è che essi
diventano delle virtù quando si eliminano le loro qualità opposte cioè
quando si eliminano le caratteristiche al negativo. Ogni regola che
definisce un controllo ha lo scopo di favorire l’emergere della virtù
innata dell’essere perché yama ha lo scopo di eliminare la sporcizia
dell'essere.
La prima regola è quella che fu
diffusa dal Mahatma Gandhi cioè ahimsa che corrisponde alla
non-violenza. C’è una ragione per cui l’invito a sviluppare la
benevolenza per il prossimo è diffusa in negativo. Il motivo è che
dobbiamo eliminare dal nostro cuore l’impulso a fare il male, l’impulso
ad attaccare ed a nuocere al nostro prossimo. Solo se lo facciamo, la
benevolenza si manifesterà come una qualità che sorgerà naturale e
spontanea dal nostro cuore.
L’impulso a fare il male si
ritorce contro l'anima e danneggia l’ambiente in cui si vive: è un
prodotto molto inquinante. Essa ci aliena dalla vita dell’anima e
alimenta tutte le illusioni dell’ego. L’importante non è quello che
diciamo ma è l’atteggiamento interiore, perciò il vero ricercatore
spirituale deve coltivare sempre un atteggiamento non-violento. Inoltre,
la volontà di fare il male agli altri produce una forte tensione
interiore che contrasta la pace interna.
L’altro atteggiamento da
coltivare è quello di evitate la menzogna, e anche questo viene indicato
in negativo. La ragione è che abbiamo la tendenza naturale a essere
sinceri se non cedessimo al desiderio di distorcere la realtà per
assecondare i nostri desideri, infatti diventiamo bugiardi. La verità è
sempre benefica anche se dire qualcosa può causare delle conseguenze
positive o negative.
Se vediamo che rivelare qualcosa
produce più male che bene dobbiamo capire se quella è una verità
elevata. Ma se diventa impossibile essere sinceri perché l’altro può
soffrire dobbiamo preferire il non dire nulla. La perfezione
dell’astensione dalla bugia sviluppa un potere mentale che produce la
chiarezza, una limpida intuizione e la piena comprensione. Ogni nostra
affermazione deve essere positiva e sempre gentile, o almeno a livello
di intenzione.
L’altro ammonimento è la
non-avarizia dove l’avarizia è intesa come desiderio di guadagno o
profitto. Un ricercatore spirituale deve rinunciare al desiderio di
avere quello che nono ha conquistato con i suoi meriti. L’aspetto
positivo è il rinforzo della convinzione che se non meritiamo qualcosa
non potremo attrarla.
L’altro aspetto positivo è
quello che dobbiamo agire senza essere stressati perciò possiamo agire
senza essere attaccati al risultato del nostro agire. Le cose si
ottengono faticando, perciò il rimedio non è quello di volere tutto
senza avere fatto nulla ma quello di agire e di sentirsi in pace sapendo
di aver fatto al meglio.
Il desiderio di avere porta la
mente verso l’esterno e gli impedisce di percepire la pace del Sé
interiore. La qualità che sviluppa la non-avarizia quando viene
sviluppata al sommo grado è il potere magnetico di attirare tutto senza
fare alcuno sforzo. La conseguenza è che la persona non deve
preoccuparsi che qualche bisogno non venga soddisfatto, perché sa con
certezza che tutto questo avverrà.
La prescrizione che si
accompagna alla non-avarizia è la non-accettazione che qualcuno traduce
come il fatto di non accettare doni perché questo comporterebbe la
contrazione di un debito karmico. Il potere che si conquista quando la
prescrizione viene portata alla perfezione è la capacità di ricordare le
vite passate.
Yogananda diceva che per
ricordare le vite passate è necessario ritirare la nostra coscienza e la
nostra energia dal corpo ed entrare in uno stato di supercoscienza.
Quando l’anima non è più identificata con il presente può ricordare le
sue passate identità. Non-avarizia e non-accettazione sono collegate
perché non-avarizia è non essere attaccato a ciò che è nostro, invece
non-accettazione è non essere attaccato a quello che riteniamo essere
nostro.
L’altra prescrizione al negativo
riguarda l’autocontrollo ossia il brahmacharya cioè il fluire con
Brahma. E questa è una delle raccomandazioni più fraintese perché è
stata sempre stata riferita all’astinenza sessuale anche se il senso non
è solo questo perché la sua applicazione è molto più ampia.
La raccomandazione è controllo
di ogni appetito inferiore, infatti l’insegnamento è un invito a vivere
identificati con lo Spirito Supremo e di realizzare se stessi come anima
e non come ego rivolto a soddisfare gli istinti del corpo. La
raccomandazione è quella di dirigere lo sforzo gradualmente verso l’alto
cioè verso il cervello anche durante il godimento stesso.
Il ricercatore deve essere
padrone e non servo dei suoi istinti, perciò il piacere deve scaturire
dalla sua stessa sorgente cioè il Sé. Il potere che si ottiene è
l’accesso ad un’energia illimitata che alimenterà il nostro entusiasmo e
la nostra creatività, perché essi fluiscono senza ostacoli e senza
delle condizioni che provengono dall’esterno. L’energia è illimitata
perché proviene dalla stessa fonte della vita che scorrono dentro di
noi.
I precetti che vengono offerti
lungo i sentieri della ricerca spirituale sono cinque come le
raccomandazioni e sono: purezza, appagamento, austerità, introspezione
cioè studio di sé e devozione al Signore Supremo. Ma ancora una volta
esse vanno comprese con profondità e in modo sottile. La purezza è
quella del cuore che deve affiancare la purezza del corpo.
L’appagamento è l’atteggiamento
che dobbiamo conservare anche davanti alle sventure della vita senza
indulgere nel vittimismo. L’austerità è rivolta al distacco dalle
vicissitudini esterne, l’introspezione è il tempo che dobbiamo dedicare
alla nostra autoconoscenza e all’autoanalisi.
La devozione al Signore Supremo è
riferita alla devozione che deve essere rivolta all’interno e non
ostentata con vuoti rituali. Ma la cosa più interessante è notare come i
precetti siano strettamente correlati alle prescrizioni opposte di cui
sono complementari. Ma entrambi sono necessari per quelli che percorrono
i sentieri spirituali.
Non esiste strada più sicura per
arrivare al Divino, anche se il cammino è infinito. Questo percorso fu
quello che venne indicato dall’antico saggio Patanjali, e viene
considerato come il primo dei due stadi del sentiero spirituale. Perciò
dobbiamo perfezionare prima di tutto questo percorso se vogliamo
avanzare verso livelli più alti.
Buona erranza
Sharatan
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