Possediamo una concezione a dir poco bizzarra di noi stessi.
Crediamo di essere un corpo e quindi di essere nati dal
grembo di una madre, crediamo di soffrire e poi di dover morire. Ma non è
reale.
I concetti che si trovano a fondamento dell’odierna
antropologia vanno urgentemente riscritti. L’antropologia studia l’uomo dando
per assodato che l’uomo sia un apparato psicofisico: “Questo è ciò che vediamo
di lui, quindi questo è ciò che dev’essere.”
Il punto è che io – che pure sono un uomo, anche se non del
genere più comune – in questo momento, mentre sto scrivendo, non mi percepisco
come un apparato psicofisico, bensì come una calda e serena Consapevolezza,
qualcosa di più simile al vuoto – che io però sento come una pienezza – che a
un ammasso di carne, succhi gastrici, pensieri ed emozioni.
E non si tratta di quello che potrebbe essere definito “uno
stato alterato di coscienza”, perché la mia non è un’“esperienza”, non è uno
stato di coscienza – per quanto elevato possa essere – perché io sono l’Essere
stesso, che in ultima analisi io sento come Consapevolezza pura. Ma non
esperisco la Consapevolezza, la sono. Non è uno stato di coscienza perché è la
Coscienza stessa.
Ogni stato di coscienza fa riferimento e si fonda sul
rapporto soggetto/oggetto (“Io sento qualcosa”), questa “cosa” invece no, si
fonda solo su se stessa.
Se dovessero chiedermi “Chi sei tu?” non risponderei mai “Sono
un corpo e una mente”, perché io, a tutti gli effetti, sono l’Essere. Lo stesso
termine “io” per me è sinonimo di Essere, ossia Consapevolezza. Potremmo chiamarlo
Dio piuttosto che Individuo Assoluto – come faceva Julius Evola – ma l’essenza
di ciò che sono non cambia: non c’è l’“altro” al di fuori di me.
A questo punto sorge un problema: perché tu che leggi non
puoi affermare la stessa cosa? O, se lo fai, ti rendi piuttosto comico? Anche tu
sei l’Essere – poiché c’è solo l’Essere –, però non lo senti.
Se vuoi scoprire la tua essenza non puoi fare riferimento a
te stesso inteso come un insieme di corpo, emozioni e pensieri. Sto dicendo che
il tuo apparato psicofisico non può realizzare l’Essere. La Consapevolezza può
essere esperita (non ho un altro modo per dirlo) solo a partire dalla
Consapevolezza stessa, non a partire dall’apparato psicofisico che vuole
esperirla. È una questione ontologica non da poco: l’Infinito non può essere
conosciuto da ciò che è finito, per cui non hai speranza di arrivare un giorno a
conoscere l’Essere, puoi solo improvvisamente esserlo.
Fra il pensiero e l’Essere – ciò che tu veramente sei in
quanto uomo – c’è un divario incolmabile.
Nessuno sforzo potrà mai farti
transitare da uno all’altro. Solo un’intuizione istantanea, priva di tempo e
luogo, dovuta a una rinuncia completa ad ottenere qualcosa, può compiere il
miracolo.
L’intuizione fondamentale è che tu sei l’Essere già adesso e non ti
puoi né allontanare né avvicinare. Non c’è nulla da compiere. L’intuizione istantanea
permette di colmare uno iato che è di per sé incolmabile, ma l’intuizione non è
sotto il tuo controllo. E questo è un miracolo.
Il miracolo è ciò che non ha causa e tuttavia avviene. Niente
può causare l’Illuminazione, in quanto essa non è l’effetto di una pratica, di una
forte volontà... o di una causa qualunque. E tuttavia avviene, come una Grazia.
Questo è il miracolo.
Come avviene il passaggio dall’apparato psicofisico all’Essere,
ossia dalla mente con la quale ti trovi identificato adesso, mentre leggi, alla
pura Consapevolezza?
Non c’è passaggio. Ecco perché è un miracolo. Tu dimmi a che
distanza ti trovi da te stesso e io ti dirò che direzione prendere per colmare
quella distanza.
Sei l’Essere adesso.
Solo l’intuizione di questa verità può liberarti dall’illusione.
O lo hai intuito o non lo hai intuito. Saperlo a livello
mentale non cambia le cose. Tuttavia è importante che qualcuno te lo ricordi,
perché nella tua vita quotidiana tendi a dimenticarlo. Il cosiddetto Lavoro su
di Sé svolge la funzione di “preparare il terreno” alla ricezione della Verità,
proprio affinché questa non rimanga un concetto mentale che il praticante si
ripete all’infinito senza realizzarne l’intuizione.
Servono “pilastri spirituali” capaci di reggere l’onda d’urto del Fuoco che ogni giorno di più si riversa su questo pianeta allo scopo di purificarlo. Nei prossimi anni assisteremo a un incendio della personalità in favore della liberazione dell’anima. - Dall’Introduzione a Guerrieri Metropolitani, di S. Brizzi
Salvatore Brizzi
(occupazione: domatore di fiumi)
Nessun commento:
Posta un commento