lunedì 13 giugno 2016

Crescono le tensioni nel Mar Cinese orientale: la Russia come mediatrice

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Il conflitto per le isole contese nella regione dell’Asia-Pacifico ancora una volta finiscono sotto i riflettori dei media internazionali. Tokyo protesta a Pechino dopo che una fregata cinese è entrata nelle acque dell’arcipelago contestato nel Mar Cinese orientale. 

Il portavoce del Ministero della Difesa giapponese Yoshitomo Mori ha detto che un cacciatorpediniere della Marina giapponese ha rilevato la nave cinese che entrava nella zona contigua, un’area di 24 miglia nautiche oltre le acque territoriali, delle isole Senkaku, note anche come Diaoyu, il 9 giugno. 

Il Viceministro degli Esteri Akitaka Saeki convocava l’ambasciatore della Cina Chen Yonghua, presentando una protesta “dalla grave preoccupazione” e la domanda che la nave militare cinese lasciasse immediatamente la zona. 
Siamo preoccupati che questa azione aumenti le tensioni”, aveva detto il capo di gabinetto del Giappone Yoshihide Suga in conferenza stampa a Tokyo. “I ministeri correlati lavorano per affrontarlo e lavoreremo a stretto contatto con gli Stati Uniti”, 
osservava Suga. Il Ministero della Difesa cinese rispondeva che la Marina Militare ha tutto il diritto di operare in acque cinesi. L’incidente avviene mentre Giappone, Stati Uniti ed India lanciano l’importante esercitazione navale congiunta Malabar, dal 10 giugno, nel vicino Pacifico occidentale.

Mentre gli Stati Uniti non approvano le rivendicazioni territoriali di Tokyo sulle isole, hanno detto che il territorio controllato dai giapponesi rientra nel trattato di sicurezza con Tokyo che obbliga Washington a difendere il Giappone da un attacco. I rapporti tra Cina e Giappone sono tesi per la contesa territoriale. 

Le isole hanno una superficie totale di circa 7 kmq e si trovano a nord-est di Taiwan, ad est della Cina continentale e a sud-ovest della più meridionale prefettura del Giappone, Okinawa, e sono controllate dal Giappone. Il territorio ha un peso trovandosi vicino importanti rotte, ricche zone di pesca e potenziali giacimenti di petrolio e di gas. Le isole sono anche in una posizione strategicamente significativa, nella crescente concorrenza tra Stati Uniti e Cina per il primato militare nella regione Asia-Pacifico.
 
Senkaku_Diaoyu_Tiaoyu_Islands_blog_main_horizontal_risultatoIl Giappone prese il controllo delle isole nel 1894-1895 durante la prima guerra sino-giapponese, attraverso la firma del Trattato di Shimonoseki che assegnava le isole alla città di Ishigaki nella Prefettura di Okinawa. Dopo la scoperta di potenziali giacimenti di petrolio sottomarini nel 1968 e il trasferimento nel 1971 del controllo amministrativo delle isole dagli Stati Uniti al Giappone, la Cina sostiene che le isole sono parte del territorio cinese almeno dal 1534, affermando che la Dichiarazione di Potsdam (che il Giappone accettò col trattato di pace di San Francisco) chiedeva che il Giappone rinunciasse al controllo di tutte le isole, ad eccezione delle isole di Honshu, Hokkaido, Kyushu e Shikoku, affermando che ciò significa che il controllo delle isole Senkaku dovrebbe passare alla Cina. Il governo giapponese non accetta tale controversia, affermando che le isole sono parte integrante del Giappone. Tokyo ha respinto i reclami che le isole fossero controllate dalla Cina prima del 1895 e che fossero contemplate dalla Dichiarazione di Potsdam o dal trattato di pace di San Francisco. 

La disputa ebbe toni relativamente tranquillamente per decenni. Ma nell’aprile 2012, nuovi reclami si ebbero dopo che il governatore di destra di Tokyo, Shintaro Ishihara, disse apertamente che avrebbe usato il denaro pubblico per comprare le isole dal proprietario, un privato giapponese. Il governo giapponese raggiunse un accordo per acquistare tre delle isole dal proprietario per bloccare il piano più provocatorio di Ishihara. Questo fece arrabbiare la Cina, innescando proteste pubbliche e diplomatiche. Da allora le navi del governo cinese navigano regolarmente in ciò che il Giappone dichiara acque territoriali delle isole. Il rischio di un conflitto nella regione è significativo. 

Cina, Taiwan, Vietnam, Malaysia, Brunei e Filippine competono su rivendicazioni territoriali e giurisdizionali, in particolare sui diritti di sfruttamento dei possibilmente grandi giacimenti regionali di petrolio e gas. La libertà di navigazione nella regione Asia-Pacifico è un’altra questione controversa, in particolare tra Stati Uniti e Cina, per il diritto delle navi militari statunitensi di operare nelle duecento miglia della zona economica esclusiva (ZEE) della Cina. A maggio, una nave da guerra statunitense navigò dimostrativamente entro 12 miglia da un’isola artificiale costruita dalla Cina nel Mar Cinese Meridionale, l’operazione doveva dimostrare che gli Stati Uniti si oppongono agli sforzi della Cina per limitare la navigazione nello specchio d’acqua strategico.

La soluzione alle insicurezze della regione può venire da Mosca. Data la crescente importanza della regione dell’Asia-Pacifico per la Russia quale potenza regionale, Mosca ha interessi fondamentali nell’impedire che in qualsiasi disputa nel Mar Cinese Meridionale vi sia l’escalation militare. L’influenza della Russia nella regione è in rapida ascesta. La Russia fa parte del vertice dell’Asia orientale, il forum in cui si discute della sicurezza marittima. 

Potrebbe svolgere un ruolo come membro del forum dei Ministri della Difesa dell’ASEAN, comprendente Cina e Stati Uniti. Mentre la tensione sale tra Cina e Stati Uniti e scontri si verificano tra Cina e Stati rivieraschi sulle isole contese, i Paesi della regione vedono il valore della partecipazione russa. Ciò accade proprio mentre gli statunitensi appaiano confusi sulla regione nonostante il loro cosiddetto Asia Pivot. Elizabeth Wishnick della Columbia University scrive nella sua nota dal titolo 
Russia: nuovo attore nel Mar Cinese Meridionale” che “Anche se la Russia è sostenuta dalla Cina nelle posizioni mondiali, a livello regionale i leader russi cercano di migliorare l’indipendenza del Paese agendo attraverso una sempre più variegata diplomazia nel sud-est asiatico, verso gli alleati tradizionali come il Vietnam, ma anche verso partner inattesi come le Filippine”. “È una strategia che richiederebbe alla Russia di non prendere posizione su chi ha cosa, ma che le consentirebbe di sostenere le azioni basate sul diritto internazionale riducendo le tensioni”, 
dice Carlos D. Sorreta, direttore dell’Istituto degli Esteri filippino. Il 14 aprile, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov in una intervista a media cinesi, giapponesi e mongoli illustrava la posizione della Russia sulle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Lavrov ha ribadito la posizione tradizionale di Mosca sulla questione, esprimendo sostegno a una soluzione diplomatica, l’impegno alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), e il rispetto della Dichiarazione del 2002 relativa alla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale (DOC). Accolse con favore la rapida conclusione di un codice di condotta vincolante (COC) e toccò anche il tema dell’internazionalizzazione della controversia sul Mar Cinese Meridionale dicendo: 
La nostra posizione è decisa dal desiderio, naturale per qualsiasi Paese normale, di vedere una composizione delle liti direttamente tra i Paesi interessati, in maniera politica e diplomatica, senza alcuna interferenza da terzi o qualsiasi tentativo d’internazionalizzare tali controversie”. 
Il maggiore vantaggio della Russia è che non ha rivendicazioni territoriali nel Sud-Est Asiatico. E, a differenza degli Stati Uniti che cercano d’estendere la loro influenza nella regione dell’Asia-Pacifico e che in realtà preparano freneticamente un futuro scontro, l’interesse della Russia risiede nella redistribuzione di potere nella regione. La Russia non si oppone a nessuno nella regione dell’Asia-Pacifico. 

Si sforza di sviluppare buone relazioni con Cina, Giappone, Vietnam, Sud e Nord Corea, così come altri Stati della regione. La Russia è un attore internazionale che non si schiera. È un mediatore perfetto capace di abbattere le tensioni e trovare una soluzione al problema. In ogni caso, i colloqui sono l’unico modo per risolvere le controversie regionali.


Peter KorzunStrategic Culture Foundation 11/06/2016
 
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La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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