Qualcuno le chiama “armi di distrazione di massa”, passatempi ricreativi
per distogliere l'attenzione delle masse dalle nefandezze messe in
opera dall'èlite che governa il pianeta e acquietarne il desiderio di
uguaglianza e giustizia. Il calcio, il gioco-idolo dell'età
contemporanea, si presta perfettamente a questo scopo. Con il suo giro
di affari che si aggira sui 9 miliardi di euro annui, il calcio
intrattiene e distrae circa 40 milioni di Italiani.
In fondo che cos’è il calcio? Un gruppo di 22 persone, suddiviso in due sottogruppi, che rincorrono una palla prendendola a calci su un prato per 90 minuti.
Intorno ad essi ci sono circa 80 mila persone che li guardano per due ore, più milioni di persone che li guardano in televisione.
Poi ogni partita, incredibilmente, spesso finisce sulle prime pagine dei giornali, alimentando discussioni e pettegolezzi per giorni e giorni.
Fin qui nulla di male. Certamente tutti gli sport sono divertenti da giocare e divertenti da guardare. Eppure, se si distoglie per un attimo lo sguardo dalla sua valenza ludica, si avverte quasi una sorta di regia occulta finalizzata a rendere il gioco del calcio uno dei maggiori business nazionali.
Secondo i dati diffusi dalla lega calcio, i ‘sostenitori’ italiani del gioco del calcio sono circa 37 milioni di persone, i quali contribuiscono, con soldi propri, ad alimentare un giro di affari (compreso l’indotto) che si aggira sui 7,5 miliardi di euro, quasi il 5% del PIL italiano. Degli 8 miliardi raccolti dalle scommesse, quasi il 90% delle puntate deriva dal calcio. Lo stato italiano, dall’industria del calcio, ricava più di 1 miliardo di euro.
Se i dati economici sono impressionanti, quello che sconcerta davvero è il fenomeno della tifoseria, o meglio, di quello che può definirsi a tutti gli effetti il ‘fanatismo calcistico’. I tifosi sono ovunque, provengono da ogni fascia socio-economica e sembrano moltiplicarsi di anno in anno.
Essi permettono che una partita di calcio condizioni le loro scelte di vita, regolando il loro tempo libero sui giorni e gli orari delle gare. Tutto sembra secondario: vita di coppia, educazione dei figli, acculturazione, aria aperta, vita sociale. Il primato spetta al nuovo idolo dei tempi moderni: il Dio Calcio che non ammette di essere messo in secondo piano.
Nonostante la grande maggioranza dei seguaci del culto del calcio appartenga alla classe impiegatizia e operaia, costoro piuttosto che scandalizzarsi dei milionari compensi delle 22 persone che stanno in mezzo al campo, contribuiscono con una parte del loro stipendio ad alimentare la passione per la squadra di calcio della propria città, che per il 95% è formata da gente che proviene dall’estero o da altre città italiane. E allora per cosa tifano?
Molti degli appassionati di calcio conoscono perfettamente il nome di ogni singolo giocatore di ogni squadra, sa esattamente quali sono le sue caratteristiche di gioco e sa perfettamente cosa sia successo in ogni singolo istante della partita, dall’inizio fino alla fine. Per questi, lo sport è più che un intrattenimento: è la loro ragione di vita. Con le nuove generazioni, il numero dei fanatici sportivi sembra aumentare in modo esponenziale.
Ancor più misterioso è l’interesse successivo a quello che è successo sul prato nei 90 minuti di gioco. Per un’intera settimana giornale e trasmissioni televisive discutono di quanto è avvenuto all’interno della partita, dando argomenti alle persone per discutere intere ore di… un gioco! E’ come se dopo una tornata di nascondino, i partecipanti discutessero delle varie strategie adottate durante il gioco. Magari litigando e spendendo soldi… ci si divertirebbe ancora così?
Infine, il fenomeno che più sconcerta e lascia interdetti è la violenza che il calcio è in grado di generare nell’animo dei tifosi. C’è la violenza manifesta, messa in opera da persone che in nome di un simbolo (quello delle squadra) che nemmeno gli appartiene, sfascia interi pezzi di città, si scontra con i propri ‘avversari (?) dandosele di santa ragione. Spesso si finisce in ospedale e qualche volta all’obitorio. Ogni partita, porta dietro di sé lo strascico di quello che si chiama ‘tifo violento’.
Ma c’è anche la violenza più sottile e strisciante delle cosiddette persone perbene, le quali pur non tirando sassi o sfasciando vetrine, non disdegna violenti improperi verbali generati da un animo esasperato, oppure mirabolanti bestemmie che lasciano anche gli atei a bocca aperta.
L’obiettivo sembra essere quello di dividere. Dice un vecchio adagio latino “dividi et impera”! Potrebbe essere proprio questo l’obiettivo malcelato degli illuminati? Dividere ed esasperare gli animi del popolo per evitare che scatenino la loro frustrazione contro il potere (da loro) costituito?
Ma come ha fatto il calcio a diventare così popolare tra tutte le classi della società? Per cercare di comprendere il fenomeno bisogna fare un balzo indietro nel tempo. La patria del calcio moderno è l’Inghilterra, e in particolare, i college britannici. Il calcio nacque infatti intorno al 1870 come sport riservato esclusivamente all’élite aristocratiche ed economiche del paese: il football fu inizialmente praticato dai giovani delle scuole più ricche e delle università.
Curiosamente, uno sport destinato ai ricchi aristocratici, nei pochi anni successivi si è poi diffuso a macchia d’olio alle bassi classi popolari ed operaie delle periferie industriali. E come se improvvisamente i contadini cominciassero ad interessarsi al gioco del polo. Eppure, questo passaggio immediato del calcio dalla classe più alta alla classe più bassa della società non è avvenuto senza uno scopo.
Prima che si affermassero l’era industriale, le nuove tecnologie e le fabbriche, gli uomini vivevano generalmente della loro terra. La rivoluzione industriale comportò un generale stravolgimento delle strutture sociali, attraverso una impressionante accelerazione di mutamenti che portò nel giro di pochi decenni alla trasformazione radicale delle abitudini di vita, dei rapporti fra le classi sociali, e anche dell’aspetto delle città.
Nasce così la classe operaia che riceve, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge anche il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira a incrementare il profitto della propria attività.
Alla fine del 19° secolo, c’era qualcosa che si diffondeva molto rapidamente nelle classi operaie europee: nasceva il movimento operaio generato dalle pessime condizioni lavorative. Queste associazioni si pongono generalmente l’obiettivo di migliorare – attraverso le lotte sociali e le riforme – i salari ed in generale le condizioni di vita, attraverso, fra l’altro, la riduzione dell’orario lavorativo, la tutela del lavoro minorile e femminile. Tutto ciò minava alla base lo strapotere dei capitalisti industriali e dell’èlite al potere.
Ed è in questo contesto che il gioco del calcio, meraviglie delle meraviglie, è diventato popolare. L’idea di fondo era quella di distogliere la rabbia dei lavoratori dalla schiavitù industriale e dai ricchi e convogliarla reciprocamente, creando una serie di squadre cittadine che si sfidassero in un gioco-sport capace di sublimare la frustrazione degli operai. A distanza di più di un secolo, possiamo affermare che la missione è riuscita perfettamente.
Viene da chiedersi allora se la passione sportiva sia un fenomeno naturale, o se gli appassionati sono stati indotti a desiderare lo sport? Il fanatismo sportivo è stato creato dall’èlite al potere per distrarre le persone mentre saccheggiano i nostri diritti e la nostra libertà, istupidiscono i nostri figli e devastano il nostro patrimonio naturale, culturale ed economico? Utilizzando tecniche di ‘distrazione di massa’, questi venditori di fumo focalizzano l’attenzione del pubblico altrove, mentre compiono il loro saccheggio.
E’ ovvio che non è lo sport in quanto tale ad essere il problema, ma il modo in cui viene manipolato da questa gente senza scrupoli, il cui solo obiettivo vitale è il potere, il controllo e la ricchezza. Il fanatico dello sport non si rende conto di essere uno ‘schiavo’. Non è difficile paragonare costoro agli animali del circo, che dopo un addestramento severo e serrato, dimenticano il loro habitat naturale e cominciano a saltare e ballare al comando dei loro padroni: sembra quasi che accettano la schiavitù, diventando una parodia della loro vera essenza naturale.
In altre parole, la nascita del fanatismo sportivo, e dei ricavi ad esso associati, sono volute e manipolate. L’èlite, a quanto pare, approfitta del largo consenso suscitato dallo sporto (come per la musica), costringendo le persone ad interessarsi primariamente di sport, piuttosto che di cultura, politica, economia, diritti e arte, tutte attività che elevano l’animo dell’uomo.
Quali sentimenti suscita invece uno sport così concepito?
Rabbia, odio, violenza, istupidimento, volgarità e divisione.
Nuovo strumento?
RispondiEliminaSecondo me è uno dei più antichi, pane et circense ...
ciao e buon fine anno