Così, Signor Presidente, la sera del 31 Dicembre comparirà – come sempre
– a reti unificate per il messaggio di fine anno, al quale staranno già
febbrilmente lavorando i suoi collaboratori, perché quest’anno è dura
raccontare balle, pure fingersi moralizzatore. Nemmeno sposare la causa
dei “più umili” servirà, poiché i più umili fra gli umili hanno perduto
l’umiltà e non si fanno più infinocchiare.
Il suo gradimento fra gli italiani scende a picco come i consumi (caduti
di 4,2 miliardi a Natale), come l’occupazione giovanile che in certe
regioni tocca oramai il 50%, come gli artigiani che chiudono bottega, le
serrande abbassate, i licenziamenti per motivi “economici” e
quant’altro che non stiamo a ricordarle.
Siamo sicuri che – di fronte a questo sfacelo – lei rinnoverà il suo
messaggio di speranza: ne abbiamo sentite tante, dai mille “sol
dell’avvenire” alle “fine del tunnel”, sempre evocate e sempre deluse,
con la china che diventa ripida e scende in un abisso senza soli né
avvenire né, tanto meno, sbocchi all’aria pura. Sempre tenebre e treni
contro i quali andare a sbattere.
Lei cosa c’entra? Glielo riassumo in due righe: lei è uno stalinista
patentato, mai un dubbio le ha sfiorato la mente, sin dai tempi
dell’Ungheria.
Le do una rinfrescata di quegli eventi, tanto perché non dica che noi “non sappiamo”.
La fonte è inappuntabile: Veljko Micunovič, ambasciatore jugoslavo a
Mosca durante il cosiddetto periodo della “destalinizzazione” ad opera
di Nikita Sergeevič Chruščëv. La testimonianza è contenute in “Soggiorno
a Mosca” edito a Belgrado nel 1977 (Moskovske godine).
Ai primi di Novembre del 1956, si compiva il destino di Imre Nagy: non
entriamo nel merito della vicenda, bensì fermiamoci agli aspetti
diplomatici.
Ben sapendo che all’esterno del blocco filo-sovietico ci sarebbero state
due nazioni contrarie – Cina e Jugoslavia – Chruščëv tentò un ultimo
approccio con Tito e scese, ai primi di Novembre, all’aeroporto di Pola
(Pula) per cercare un accordo con il leader jugoslavo.
Josif Broz sapeva che la Jugoslavia, da sola, non sarebbe stata in grado
d’opporre più che una resistenza di bandiera allo strapotere sovietico,
ma tentò comunque una via per salvare – almeno – la faccia di fronte al
massacro che già s’intravedeva..
Tito era a Brioni – sua residenza abituale in Istria – che è una piccola
isola a due passi dalla costa ed i due illustri ospiti (c’era anche
Molotov) furono imbarcati su un cacciatorpediniere della Marina
Jugoslava il quale ebbe l’ordine – direttamente da Tito – di raggiungere
almeno un punto a metà fra l’Istria e la costa italiana prima di
tornare indietro e sbarcarli a Brioni.
L’Adriatico era in tempesta: la prima bora della stagione era scesa su Trieste ed il mare era terribile.
Dopo un paio d’ore su quel caccia, i due scesero a Brioni dopo aver
vomitato anche l’anima e trovarono un Tito allegro ad attenderli, che
salutava calorosamente i due “compagni” sovietici, i quali erano verdi
come ramarri.
Nella cena che Tito offrì – ed alla quale i due ospiti non fecero molto
onore – si parlò del destino di Nagy e Tito prospettò la disponibilità
della Jugoslavia per ospitare i dissidenti magiari, così da non creare
un caso internazionale. In quel momento, la sopravvivenza di Nagy non
era in discussione.
Chruščëv e Molotov annuirono ed accettarono: nulla sarebbe successo a
Nagy senza che gli jugoslavi non fossero preventivamente avvertiti. A
Tito parve un successo diplomatico ma, appena tornati in Patria i due
cambiarono opinione: e se la Jugoslavia avesse sfruttato a fini politici
la generosa ospitalità fornita ai magiari?
Come andò a finire lo sappiamo: Nagy fu impiccato in gran segreto.
All’epoca della crisi era a Mosca anche Palmiro Togliatti, come
rappresentante in seno al PCUS dei comunisti italiani. Micunovič appunta
sul suo diario: “Oggi c’è stato il discorso del rappresentante
italiano, Palmiro Togliatti. Non avevo mai assistito ad un discorso così
servile e zeppo di piaggeria nei confronti del padrone di casa, l’URSS:
non vi è nulla da riportare.”
Quel “nulla da riportare” – nel linguaggio diplomatico – significa che
non conti niente, non hai detto nulla, non hai pensato niente: in altre
parole, che non sei nessuno. Altro che “il migliore”.
Lei, all’epoca, era già un dirigente del PCI e si lasciò andare a
dichiarazioni (1) le quali, al minimo, sarebbero dovute essere un
ostacolo insormontabile per la sua elezione alla Presidenza: posso
capire il suo accettare la ferrea legge della Guerra Fredda (chi è di
qua, chi di là), ma lo sterminio compiuto dai sovietici rimane
abominevole. Ma veniamo all’oggi.
E’ di pochi giorni fa la scoperta del “diario” (2) – in realtà una
semplice serie d’annotazioni – di Padoa Schioppa, il quale – da buon
montanaro veneto – non comprendeva il lavorio sotterraneo di Napolitano
contro il governo Prodi. Perché ogni volta che chiediamo la fiducia ci
convoca (me o Prodi) al Quirinale per protestare, mentre successivamente
con Berlusconi non fiata? Questo è – in estrema sintesi – il pensiero
di Padoa Schioppa.
L’obiettivo non era semplicemente disarcionare Prodi, bensì creare le
condizioni per le ben note “larghe intese”, alle quali – già all’epoca –
lei lavorò alacremente, ma Prodi preferì cadere piuttosto che
rinunciare all’alternanza di governo. Non importa: saldò il conto con
Romano Prodi nel 2013, all’atto dell’elezione alla presidenza.
Dopo venne l’ennesimo governo Berlusconi: un disastro, ma una sciagura
piatta come un gelido mare invernale, quasi una rovina annunciata
dall’incompetenza, dall’incompiutezza di una pletora di sergenti
nominati generali e colonnelli. Con Berlusconi nei panni di un
pletorico, ma esangue, Napoleone.
E venne finalmente il suo momento: la nomina di un governo mai eletto
eppure perfettamente costituzionale, se si eccettua che la legge
elettorale era fasulla dal principio. Ma – guarda a caso – l’aveva
promulgata Ciampi, non lei.
Molti – io compreso – la chiamano oramai vezzosamente Re Giorgio ma non
ritengo che questo epiteto sia consono al suo rango: le sta molto meglio
quello di segretario del PCUS, perché quello è il suo modello. L’Italia
è diventata molto simile all’URSS di “nonno Breznev”, l’ultimo vero
sovrano sovietico: un luogo asfittico dove tutto era già scritto, dove
la casta militare dettava leggi, dove la magistratura era logorata dai
tempi e dai cavilli, dove l’industria era solo di Stato. Ma con le
dovute differenze.
La corruzione, all’epoca in URSS, era tollerata poiché era di piccolo
cabotaggio: a quel tempo, piuttosto che aspettare (le famose “liste” per
ogni cosa), il cittadino sovietico cui s’era rotto il motore del
frigorifero preferiva ricorrere al cognato del cugino – il quale
lavorava nelle riparazioni degli elettrodomestici – per avere il pezzo,
piuttosto che aspettare mesi. In cambio, cosa offriva? Dipendeva dal suo
mestiere: se lavorava alle rinomate “officine Lenin” qualcosa di
meccanico, oppure le solite derrate alimentari provenienti dalla dacia,
ecc.
La grande corruzione era, invece, appannaggio della grande politica, ma
c’era un deterrente: la pena di morte combinata con le agguerrite
camarille politiche, le lotte per la successione...insomma, in URSS
qualcosa – per la corruzione – si rischiava.
Qui, invece, lei è a capo di un’Armata Brancaleone dedita alla piccola
razzia: tutti rubano quel che riescono a portar via, si fanno corrompere
secondo il livello. Si va dai piccoli assessori che mettono insieme
10.000 euro per volta di mazzetta ai grandi boiardi di Stato, i quali
sono parte di una “casta nella casta” ed i cui nomi ricorrono da
un’inchiesta all’altra e, quando riesci a beccarne uno, salta pure fuori
il ministro della giustizia a negare tutto.
Già, si tratta di suo figlio “testimone inattendibile poiché
reticente”...nella famosa storia di Ligresti? No...caso Parmalat, dieci
anni or sono, Piergiorgio Peluso (figlio della ministra) era già in
pista (3) insieme alla solita ghenga...Geronzi, Arpe, Tanzi,
Ciarrapico...e tutta la banda del buco che ben conosciamo.
Molto divertente il caso dell’assessore che pretendeva la “marchetta
settimanale” dalla sua segretaria: degno della miglior pruderie, da
letteratura d’appendice francese fin de siècle (4).
Perché si lascia che tali notizie diventino di pubblico dominio?
Per riuscire a giustificare l’ingiustificabile e legittimare governi che
non hanno più nessuna legittimità costituzionale: sono – al più –
supplenti nell’attesa che, con una nuova legge elettorale (che non fanno
mai), torni qualche titolare. Insomma, ci sono le mele marce e quelle
buone, raccontano.
Rimane, quindi, una sorta di “proscenio” dove la rappresentazione va in
mostra – con tutti gli attributi del caso – perché qualcosa da dare in
pasto alla gente bisogna pure trovarlo: oggi, i personaggi della
politica nostrana sono il nostro panem et circenses, anche se poi
c’incazziamo e diventiamo furibondi. Non importa: il popolo continua ad
arrabbiarsi ma non può far nulla, che si diverta a motteggiare.
Poiché si lascia che l’Italia vada in malora – dai treni soppressi alle
autostrade fatiscenti, dalla viabilità oramai segnata dalle mille frane,
ai supermercati ed alle aziende che licenziano col fiato corto, ecc –
mentre voi fate orecchie da mercante? Sembra che abitiate in un altro
Paese.
Poiché i veri burattinai stanno dietro le quinte: conoscete Carlo Cottarelli?
E’ semplicemente l’inviato del FMI per l’Italia, ed è il vero signore e
padrone dell’economia: dopo che Letta ed i suoi gonzi si saranno
trastullati a dovere con Finanziarie, Leggi di Stabilità e
Milleproroghe, arriverà lui con la vera Finanziaria, la Spending Review.
Stupendo il modo di procedere di questo governo di farabutti e di
venduti: non la chiamiamo più “Finanziaria”, bensì “Legge di Stabilità”.
Tutti d’accordo? Dai Saccomanni, non dormire, alza ‘sta mano! Poi,
quello che non ci sta dentro perché non siamo d’accordo, lo buttiamo nel
cest...anzi, no...lo mettiamo in un decreto “Milleproroghe” – è un
vecchio istituto, lo usavano già i democristi – che è una “Summa” di
tutte le facezie e gli intrighi che hanno ancora qualche nodo da
scogliere. Per noi, ovviamente.
Quindi, una notte qualunque alle tre – quando tutti dormono – approviamo
qualcosa ed il resto lo lasciamo lì, a “prorogarsi” ad libitum.
Questa è la prassi della politica italiana, giunta oggi al parossismo.
E così, il nostro “zampolit” d’annata (5), ci ha condotti in una terra
incognita – che, però, lui conosceva bene – dove ogni cosa si può fare,
basta trovare il cavillo costituzionale, basta che gli “atti” siano a
posto. Così, una Corte Costituzionale dichiara incostituzionale una
legge elettorale per i suoi aspetti più rilevanti (qualcuno s’azzarda a
dire “ma non l’hanno mica bocciata tutta”...Ah, Ah, Ah...) 7 anni dopo
che è stata promulgata. E che i suoi danni li ha fatti per bene.
Qualcuno pensa all’impeachment, ma questo istituto giuridico non esiste
in Italia e la costituzione italiana è radicalmente diversa da quella
americana. Gli americani hanno ricalcato i poteri del presidente da
quelli del vicerè inglese dell’epoca: per questa ragione la sincerità
verbale è della massima importanza (quella che, per una fellatio
extramatrimoniale, ha rischiato di far decadere Clinton) mentre in
quella italiana (di quasi due secoli più giovane) si parla “per atti”,
seguendo il vecchio adagio “verba volant, scripta manent”. Tutto il
diritto di derivazione latina non ammette come prove ciò che è,
invece,di frequente ammesso nel diritto anglosassone.
E questo Napolitano lo sa benissimo: scartando le dichiarazioni verbali –
che possono essere interpretate, “condite” con qualche aggettivo che ne
depotenzia l’impatto devastante, ecc, (avete notato che fine ha fatto
l’inchiesta Napolitano-Mancino?) – rimane qualcosa dei suoi atti per
sostenere la tesi dell’art. 90?
“Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti
nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per
attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.”
Qualcuno ravvisa, negli atti emanati da Napolitano, una di queste
accuse? Il governo Monti era perfettamente legittimo e costituzionale e
non c’è un atto dove sia rintracciabile l’intervento (che esiste –
beninteso – ed è pesante e determinante) nella politica italiana? Dalla
quale, come tutti sanno, il presidente dovrebbe star fuori?
Sarebbe come se un cittadino sovietico (od un appartenente alla Duma) si
fosse alzato una mattina ed avesse chiesto l’incriminazione di Breznev
per qualsivoglia motivo, anche fondato: ve lo immaginate cosa sarebbe
successo? Al minimo gli avrebbero riso in faccia, dopo averlo portato in
Psichiatria.
Gorbačëv – ricordiamo – non cadde: si disintegrò la nazione che presiedeva!
Perciò, mi sento di ricordare ai vari “speranzosi” del “impeachment” in
salsa italiota che i mezzi per far cadere questo ludibrio al quale
assistiamo sono altri, a cominciare dalle lotte per il lavoro: è sul
welfare che questo governo sta mancando, ed è sul welfare che si può
delegittimarlo.
Le proposte sono tante ed il governo non ne fa una sua, mai: chiedi il
reddito di cittadinanza e loro rispondono “spostando” al 2017
l’abolizione (ma quando mai...) dei rimborsi elettorali.
Il nostro piccolo Breznev sorride: ridi, che la mamma ha fatto gli gnocchi. Finché ti riesce.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.it/
Link: http://carlobertani.blogspot.it/2013/12/raccontane-unaltra-leonid-napolitanskj.html
(1) http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/comunismo_nel_mondo/est_europa/ungheria_1956/articolo.php?id=732
(2) http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/05/quirinale-cosi-napolitano-ha-sabotato-il-governo-prodi/801838/
(3)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/05/testimone-inattendibile-il-figlio-della-cancellieri-secondo-i-giudici-di-parma/767688/
(4)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/19/il-contratto-tra-lassessore-e-la-segretaria-farai-sesso-con-me-4-volte-al-mese/819451/
(5) Commissario politico in russo.
visto su: http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=2907
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