Sono nato sulle Colline
Nere, le montagne madri del mio popolo. Mi chiamarono Lento, ma sapevo
che un giorno, mi sarei conquistato un altro nome. Allora non sapevo
neppure dell'esistenza dei bianchi. Ero un Indiano, e prima ancora di
essere indiano, ero un Lakota, e tra i Lakota appartenevo alla tribù
guerriera più valorosa: gli Hunkpapa.La nostra fierezza era immensa. I
nostri guerrieri erano temuti da tutte le tribù vicine. Il nostro
territorio di caccia era enorme, nel cuore delle grandi pianure. Avevamo
molti cavalli e il nostro popolo non conosceva la fame da molte lune.
Sì, posso dirlo, ero fiero di essere un Lakota, fiero di essere un
Hunkpapa (...).
A quattordici anni non volli più essere un
ragazzo. Non ero molto alto, ma ero forte e vigoroso. Mi sentivo un uomo
e tutta la tribù doveva sapere quanto ero coraggioso. Era già passato
molto tempo da quando avevo abbattuto da solo il mio primo bisonte, con
un arco costruito da mio padre. Così vidi che un gruppo si guerrieri si
stava preparando per un'escursione, seppi che era giunto il tempo per
farmi notare (...).
Guardai i guerrieri che si allontanavano due a
due per recarsi al loro appuntamento e quando gli ultimi lasciarono
l'accampamento, li seguii senza farmi notare. Ma sulla collina dove si
erano radunati, non ero atteso...che cosa ci facevo là? Gli uomini mi
ignorarono in silenzio. Come dovevo essere ridicolo, col mio piccolo
arco buono solo per cacciare uccellini. Mio padre mi si avvicinò;
tenendo il mio pony per la criniera gli dissi "Veniamo anche noi". Vidi
nel suo sguardo che era fiero di me. Mi disse solo: "Hai un buon
cavallo. Cerca di fare qualcosa di valoroso". Quindi mi diede un
'bastone da colpi', una lunga asta con l'estremità ricurva, sulla quale
erano attaccate delle piume d'aquila. Era l'arma suprema del coraggio
(...).
Avevamo cavalcato a lungo, quando un esploratore ci
avvertì che una banda di Crow stava venendo verso di noi. Quindi ci
appostammo dietro una collina per prepararci al combattimento. Dipinsi
il mio corpo di giallo e il mio pony col rosso di guerra. Gli altri non
prestavano attenzione a ciò che facevo. Alcuni coprivano la bocca e le
narici dei loro cavalli con l'erba di medicina per renderli veloci come
il vento. Altri, con lo scudo al braccio e il corpo nudo attendevano il
segnale. "Hoka Hey!". Spronando il mio pony coi talloni, sfrecciai
dritto verso i nemici, col mio bastone da colpi in mano. Dopo un attimo
di stupore, anche i guerrieri della nostra banda caricarono per non
restare indietro. Ma avevo un buon vantaggio e la mia cavalcatura era
veloce. Ero in testa al gruppo. Ci stavamo avventando sui Crow; colti di
sorpresa, si diedero alla fuga.
Mi lanciai all'inseguimento come un
pazzo, incosciente come poteva esserlo un giovane Hunkpapa. Uno dei
nemici capì che l'avrei raggiunto presto e scese a terra per incoccare
una freccia. Ma nel mio cuore e nella mia testa non m'importava nulla di
quell'arco e quella freccia! Avevo sete di gloria, sete di combattere.
Mi scagliai su di lui, mi porsi e lo colpii violentemente
all'avambraccio nel momento in cui tese il suo arco. La freccia volò in
cielo. Io gridai e urlai a pieni polmoni; "On hey! Io, Lento, l'ho
battuto!". Altri guerrieri riuscirono a raggiungere dei Crow in fuga e
quel giorno vi furono famosi combattimenti. Poi radunammo i trofei,
prima di rientrare al nostro accampamento. Giunti in prossimità dei
tipì, ci fermammo per attendere l'alba, quindi, con frastuono di
zoccoli, il nostro gruppo entrò nell'accampamento gridando vittoria.
I
cavalli girarono attorno alle capanne e ogni valoroso gridò a voce alta
le azioni brillanti di cui era stato capace. Io restai indietro,
perché non ero ancora un vero guerriero, ma mio padre venne a cercarmi.
Mi mise tra i capelli una penna d'aquila - la penna che ha già toccato
le nuvole! - e mi ricoprì da capo a piedi con i colori della vittoria.
Quindi mi fece salire su un magnifico cavallo e mi portò con lui
gridando: "Mio figlio ha battuto il nemico. E' valoroso. Gli do il nome
di Tatanka Iyotake, Toro Seduto!". Non abbassai lo sguardo; al
contrario, guardai fiero davanti a me. Meritavo la ricompensa. Non ero
stato solo un valoroso che si era mostrato coraggioso, ero stato il
primo a toccare il nemico. Quella sera partecipai alla danza della
vittoria e mostrai molte volte come avevo battuto il Crow mentre puntava
la sua freccia su di me. Mio padre offrì due cavalli in mio onore. Il
mio cuore volava come il falco. Le grida delle ragazze, gli applausi
degli uomini, gli sguardi di tutti mi montarono la testa e mi
inebriarono (...).
Mi ero guadagnato un nuovo nome, Toro Seduto,
un nome sacro del quale mio padre mi aveva considerato degno. Pronunciai
questo nome nella testa e sentii penetrare dentro di me la forza e lo
spirito del bisonte, che da allora non mi lasciò più. Non era un nome
come gli altri. Era stato dato a mio padre da un bisonte che si era
avvicinato al bivacco allestito con tre compagni di caccia. Il vecchio
bisonte, col capo chino verso l'erba mormorava incessantemente: "Bisonte
Seduto, Bisonte che Salta, Bisonte che Monta, Bisonte
Solitario...rappresentano i quattro stadi della vita del bisonte". Mio
padre era anche uno sciamano rispettato e aveva una grande conoscenza
delle cose sacre. Prese per sé il nome di Bisonte Seduto, ma dopo la
prima prodezza lo donò a me, per chiamarsi poi fino alla morte Bisonte
che Salta. Nel mondo dello Spirito nulla viene lasciato al caso. So che
se mi è stato dato il nome del Bisonte, è per vegliare sul mio popolo
come il Sole-Bisonte veglia sugli uomini (...).
Dopo la mia prima
prodezza da guerriero, mio padre mi portò con sé sulle colline: "La
forza del braccio e il coraggio sono grandi cose, ma non sono nulla
senza l'aiuto di una 'visione'. Solo una visione ti concederà alleati
tra le creature del cielo, dell'acqua e della terra. Un uomo senza
visione è un uomo senza potere". Quindi mi condusse da Sognatore del
Sole, il più grande sciamano. Poteva trasformarsi in un animale, sapeva
predire il futuro e comandava la pioggia. Lui e mio padre mi prepararono
a quella che doveva essere la mia prima visione (...).
Poco a
poco, le pietre, gli alberi, gli animali, tutto il piccolo mondo che mi
circondava divenne propizio per la visione.Non lo vedevo con gli occhi
dell'abitudine. Avevo l'impressione di comprendere e di divenire di
volta in volta la potenza delle rocce, il tronco rugoso degli alberi o
le code rosse che volavano sui cedri. E' una cosa difficile da spiegare,
ma vedevo tutte le creature dell'universo in una maniera sacra. E
sentivo le loro voci che supplicavano con me. Il vento soffiava: "Verrà
la voce del Grande Mistero", e i rami che sterminavo ripetevano senza
sosta: "Si verrà, verrà, la voce sacra".Il sole si levò, ma non sapevo
più se era l'alba del primo o del secondo giorno. Il tempo sembrava non
esistere più, mentre la mia invocazione era diventata rauca come quella
di un animale.All'improvviso, un'aquila maculata apparve in cielo da
ovest e si mise a volteggiare sopra di me, come fossi stato la preda
sulla quale gettarsi.
Non era che un punto tra le nuvole, ma i miei
occhi potevano vedere ciascuna delle sue piume, il globo lucido del suo
occhio e i suoi artigli. Ogni cerchio che compiva mi aspirava sempre
più, finché mi trascinò con sé in cielo. Non sapevo più se ero io stesso
o se ero l'aquila. Tra le mie braccia sentivo il fruscio dell'aria e
vidi le quattro pertiche ornate coi nastri sacri allungarsi a dismisura.
L'aquila e il vento cantavano all'unisono: "Mio padre mi ha donato
questa Nazione; è un duro compito proteggerla!", e la mia bocca ripeteva
le stesse parole. Pronunciandole, sentii il 'potere' invadermi e
sommergermi, spingendo su di me come la pelle nuova di serpente. I miei
occhi risplendevano di lacrime, mentre comprendevo il significato
profondo di quelle parole. Sapevo che quella sarebbe stata la gloria, ma
sarebbe stato anche dolore (...).
Come il bisonte, l'aquila è un
animale sacro. Le sue piume sono paragonabili ai raggi del sole e le
sue ali le permettono di volare così in alto da poter avvicinare Wakan
Tanka ed esserne messaggera. Quel giorno, con al voce dell'aquila, il
Grande Spirito mi confidò il destino del mio popolo. M'avvertì in
anticipo che sarebbe stata una missione difficile (...).
Nei
giorni difficili non sono i forti a soffrire di più, ma i deboli, che si
ritrovano ogni giorno sempre più bisognosi. Un capo deve sapere
ascoltare la sua gente, soprattutto i più indifesi. E' a loro che deve
pensare, non alla sua gloria personale. Io, che ero pazzo per la guerra,
calmo ora la mia collera e la mia sete di combattere per diventare poco
a poco un seguace della pace (...).
La pace con l'uomo bianco è
durata circa otto anni, perché l'uomo rosso è paziente. I bianchi hanno
rispettato solo a metà le parole del trattato e noi abbiamo chiuso un
occhio (...).
Io, Toro Seduto, so sopportare con pazienza, ma
quando la misura è colma, guai a chi mi ha fatto salire il fuoco alla
testa! Ho riunito il Gran Consiglio, ho chiamato tutta la mia gente alla
guerra e ho inviato messaggeri ovunque: "Siamo in guerra, unitevi a me
al mio accampamento, uniamoci per una grande battaglia contro i
soldati!". Dalle colline, dalle montagne, dai confini della prateria, i
guerrieri mi raggiunsero a migliaia. Al di là delle nostre differenze,
siamo tutti fratelli, e i fratelli si radunano per cacciare il lupo
quando si avvicina troppo al tipì. Gli Oglala di Cavallo Pazzo, I
Minniconjou di Luna Nera, i Cheyenne di Cavallo Piccolo, gli Arapaho,
gli Yanktonais, i Piedi Neri, i Cheyenne del Sud...gli indomiti Santee
di Inkpaduta e anche alcuni Brulè che disconobbero il loro capo Coda
Maculata. Tutti risposero all'appello della guerra. Giovani valorosi
bramosi di combattere, vecchi guerrieri dal passato glorioso e intere
famiglie lasciate a morire di fame nelle 'agenzie' dell'uomo bianco.
Solo gli Oglala di Nuvola Rossa furono sordi al richiamo, ma Jack,
figlio del capo, ci raggiunse senza ascoltare suo padre. L'accampamento
non smetteva di crescere e non si contavano le danze e le feste che si
tenevano ogni giorno. Gli amici si ritrovavano.
Bande di ragazzini
andavano e venivano sui loro pony. Le ragazze cercavano quadrifogli
nella prateria, come portafortuna per quando i giovani cercano la loro
compagna. Eravamo come sciami d'api ronzanti e ogni arrivo di un nuovo
gruppo era salutato dagli annunci degli urlatori e dal chiasso di coloro
che si ritrovavano.Ma venne il momento di affilare i coltelli e di
fabbricare punte per le frecce. Venne il momento di prepararci a
combattere. Due Lune venne scelto per comandare i Cheyenne, mentre io
avrei guidato i Lakota. Così decise il Consiglio. Poco dopo feci
trasferire l'accampamento in un luogo propizio per una grande Danza del
Sole. Era l'epoca in cui il Sole è più alto e tutte le forze della vita
sono più potenti. Vi erano tutte le condizioni per una buona Danza che
rafforzasse il mio popolo.
Fui designato per guidare la cerimonia e fu
senza dubbio una delle più grandi Danze del Sole mai eseguite dalla mia
gente. La fierezza invase il mio cuore vedendo il gran numero di
guerrieri ai quali venivano dipinti di rosso mani e piedi. Avendo fatto
voto di offrire al Grande Mistero una copertura scarlatta, avanzai a
torso nudo fino al luogo sacro. Là, davanti a tutti, mio fratello
Bisonte che Salta procedette con l'offerta. Con un coltello e un
punzone, tagliò cinquanta pezzi di carne da ciascuna delle mie braccia,
mentre salmodiavo delle preghiere.
L'offerta del proprio corpo è l'unica
che possiamo fare a Wakan Tanka, perché solo il nostro corpo ci
appartiene. Possiamo sacrificare degli animali o far bruciare del
tabacco e delle erbe. Ma non sono cose che ci appartengono veramente.
Ecco perché il Grande Spirito ascolta coloro che gli offrono la loro
carne. In questo modo, nulla di buono viene senza dolore. Non vi è
primavera senza il freddo dell'inverno che purifica il terreno. Per
germogliare, il seme deve perforare il suolo. Quindi danzai fissando il
Sole, mentre il sangue colava dalle mie ferite. Ho danzato fino al
crepuscolo, tra il frastuono dei tamburi e dei sonagli, in compagnia di
tutti i giovani valorosi che offrivano la loro sofferenza per la vita
della Nazione.Ho danzato tutta la notte e tutto il giorno seguente, fino
all'ora in cui il sole si trovava dritto sopra gli uomini.
Il mio
spirito non mi apparteneva più e volò oltre le nuvole. Vidi le giubbe
blu che arrivavano come un branco di locuste, con la testa in basso
perdendo i loro capelli. Caddero proprio nel nostro accampamento. Una
voce parlò alla mia testa: "Te li regalo, perché non hanno orecchi".
Sorrisi, poi morii in un istante. Credo sia stato Luna Nera che mi stese
a terra e mi spruzzò con acqua fresca. Quando ritornai tra i vivi,
raccontai la mia visione e tutti si rallegrarono. Se i bianchi erano a
testa in giù significava che sarebbero morti. Wakan Tanka aveva
accettato la mia offerta; eravamo sotto la sua protezione. Ma avvertii i
miei: i bianchi che sarebbero morti in battaglia erano un dono del
cielo. Non avremmo dovuto spogliarli, né prendere i loro cavalli,
altrimenti la maledizione si sarebbe abbattuta su di noi. Guai a chi
brama le ricchezze dell'uomo bianco! (...)
Poco dopo, vi fu una
grande battaglia in cui massacrammo le truppe di Capelli Lunghi (Custer,
n.d.e). Ancora oggi, i bianchi cercano di capire perché abbiamo vinto
quel giorno, ma io so che la protezione del Grande Spirito ci guidò e
che il nostro popolo si batté per una giusta causa. Le giubbe blu non
sono uomini come noi. Combattono perché è il loro mestiere e non hanno
nulla da difendere (...).
A Forte Buford ho ceduto le armi e i
cavalli...quei cavalli sui quali ho galoppato a lungo, battendo i miei
nemici. Non ho avuto il coraggio di farlo da solo. E' stato mio figlio
Piede di Corvo che l'ha fatto per me (...).
Qualche luna fa ho
visitato la città più grande dell'uomo bianco e i prodigi che può
offrire mi hanno riempito di ammirazione. Ma per le vie della città ho
visto dei bambini che tendevano la mano come mendicanti. E' stata una
visione così miserabile che il cuore mi doleva e ho dato loro i pochi
soldi che avevo in tasca. Come potranno i bianchi prendersi cura
dell'uomo rosso se lasciano morire in miseria i loro stessi figli?
Sembra che a loro interessino solo il potere e il denaro! Il loro
appetito non ha limiti. A loro non basta prendere le nostre colline e le
nostre praterie, vogliono rubarci anche l'anima. Mandano i nostri figli
nelle loro scuole affinché imparino a vivere come loro. Vogliono che
ascoltiamo le parole del loro Dio scritte in un libro, ma il nostro
libro sacro sono il vento, la pioggia e le stelle. Vogliono che
diventiamo contadini che lavorano per loro.
Porto il nome del bisonte e
non sarò mai come un animale domestico rinchiuso. Vogliano che
dimentichiamo il potere del cerchio per vivere nelle loro case quadrate;
che rinunciamo alle nostre danze e alla nostra 'medicina'. E alcuni dei
nostri sono così disperati che si prestano ad abbandonare la 'via
rossa' I nostri fratelli dimenticano le forze che sono state in nostro
potere: il bisonte, la pipa e il cerchio. E quelle forze ci
abbandonano... Il mondo dell'uomo bianco ha l'insolenza dei guerrieri
vittoriosi. Ma solo la pietra dura nel tempo. Può darsi che un giorno il
'potere' dell'uomo bianco rinasca, come un albero congelato che
ricresce dalle sue radici...
Toro Seduto (1830-1890)
Nacque
a Hunkpapas, lungo il Grande Fiume, nel Dakota. Fu uno dei capi
principali che negoziarono il Trattato di Fort Laramie, nel 1868, con il
quale gli Stati Uniti si impegnavano ad abbandonare diversi forti e a
rispettare l'area sacra delle Black Hills.Toro Seduto era noto come un
grande guerriero e in tarda età divenne una guida spirituale. Nel giugno
1876, eseguì la Danza del Sole per trentasei ore consecutive e al
termine ebbe una visione secondo la quale le truppe del generale Custer
sarebbero state sconfitte nella famosa battaglia di Little Bighorn, in
cui il settimo cavalleria fu annientato. Egli disse della battaglia:
"Non dite che fu un massacro. Vennero per ucciderci e invece furono loro
ad essere uccisi". Toro Seduto ebbe un vasto consenso da parte del suo
popolo e rappresentò un ostacolo enorme per gli sforzi dei bianchi di
assoggettare i Sioux. Dopo varie vicissitudini, che videro
progressivamente ridursi le concessioni ottenute con anni di lotte, Toro
Seduto fu assassinato con un colpo alla testa, mentre quarantatre
poliziotti indiani rinnegati cercavano di arrestarlo, nel dicembre 1890,
pochi giorni prima del massacro di Wounded Knee.
Fonte:
www.saggezzapellerossa.it
http://altrarealta.blogspot.it/
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