Neutralizzare lo Stato, lasciarlo senza soldi e imbrigliarlo in una
rete sempre più fitta di vincoli. Sta avvenendo da tempo.
Obiettivo:
disarticolare le funzioni pubbliche sovrane, a vantaggio di un
super-potere esterno – dominante, affaristico, privatizzatore.
Dietro a
politiche regolarmente insufficienti, deludenti e in apparenza
incomprensibili, c’è un orizzonte chiarissimo, chiamato
iper-globalizzazione.
Funziona così: la catena produttiva delle merci è
spezzettata e subappaltata nelle regioni del mondo dove il lavoro costa
meno. Così, le istituzioni nazionali – completamente svuotate – anziché a
tutelare i propri cittadini sono chiamate essenzialmente a facilitare
il nuovo business, rimuovendo ostacoli e regole.
Quello che ormai
abbiamo di fronte, sostiene Christophe Ventura, è una integrazione
mondiale delle élite, come «super-classi oligarchiche mondializzate».
Sono “avanti” anni luce: hanno di fronte sindacati inoffensivi, politici
compiacenti e media colonizzati. L’area nazionale, con le sue crisi economiche, è solo l’ultimo livello, ormai irrilevante, del grande gioco planetario.
Nonostante la crisi finanziaria del 2008 e la conseguente riduzione della domanda negli Usa, in Cina e in Europa, nel 2012 il volume mondiale del commercio
è aumentato del 2% contro il 5,1% del 2011, e ci si aspetta un
incremento del 2,5% per il 2013. Il trading ormai rappresenta il 33% del
Pil mondiale. Questo inedito aumento della combinazione commerciale
planetaria, secondo gli economisti Arvind Subramanian e Martin Kessler
costituisce la prima caratteristica della iper-mondializzazione che ci
sta letteralmente travolgendo.
Lo dice il Wto: tra il 1980 e il 2011, il
volume delle merci scambiate su scala globale si è quadruplicato. E
ogni anno il commercio cresce due volte più rapidamente della
produzione. La nuova mappa mondiale della merci, annota Ventura in un
post ripreso da “Come Don Chisciotte”,
rivela una clamorosa frammentazione geografica della produzione e della
disgregazione delle funzioni produttive su scala mondiale: «I flussi
commerciali si inscrivono attualmente in “catene internazionali di
valore” che organizzano i processi di produzione secondo distinte
sequenze, realizzate (spesso contemporaneamente) in differenti luoghi
del pianeta, secondo logiche di ottimizzazione del territorio».
Tutto questo, aggiunge Ventura, è in funzione della strategia delle
multinazionali: fisco, organizzazione sociale, salari, dimensione
finanziaria, sviluppo tecnologico e persino educazione e assetti
istituzionali. Così, negli ultimi vent’anni abbiamo assistito alla
nascita di uno schema consolidato: la proprietà delle società, dei
brevetti e dei marchi, incluse ricerca e sviluppo, si concentrano al
centro dell’economia mondiale (specialmente nei paesi della Triade – Usa, Europa
e Cina), mentre la creazione e l’assemblaggio dei prodotti si
realizzano in paesi minori (Asia, America Latina, Africa, Oriente)
attraverso aziende alle quali si subappalta questa funzione, come anche
la distribuzione, la vendita e i servizi post-vendita (nel Maghreb o in
India, per esempio).
In questo modo, riassume Ventura, le 80.000
multinazionali registrate nel mondo (che assorbono i due terzi del commercio internazionale) controllano la manodopera del pianeta.
Secondo la Cepal, organismo economico delle Nazioni Unite, a trainare
il business mondiale sono tre grandi reti di produzione: la “fabbrica
America” guidata dagli Usa, la “fabbrica Europa”
con a capo la Germania e la “fabbrica Asia”, di cui Pechino ha assunto
la leadership, superando Tokyo. «Queste tre “fabbriche” si
caratterizzano per l’alto livello del commercio intra-regionale, che a
sua volta si organizza attorno alla produzione di beni intermedi per
questi stessi centri».
Secondo le stime del ministero per il commercio
francese, nel mondo la metà del valore delle merci esportate è composta
da parti e componenti importati. «In Francia la proporzione è del 25%.
Nei paesi in via di sviluppo è del 60%. L’iPhone e la Barbie sono i
simboli di questo mercato “Made in the World”». Ne emerge un contesto
dove si nota come, a partire dal 2010 e ancor di più nel 2013, sono nate
nuove forme di accordi di libero commercio al di fuori dei contesti
multilaterali del Wto. Sono chiamati accordi “mega-regionali” o
“mega-bilaterali”, e investono ogni aera del mondo, dall’Atlantico al
Pacifico. «La loro funzione è allo stesso tempo politica,
geopolitica ed economica», spiega Ventura. «Si tratta di organizzare a
lungo termine la sicurezza degli investimenti e delle attività – come
pure facilitare le loro operazioni – degli attori finanziari ed economici globalizzati».
Facilitare il business, scavalcando ogni ostacolo: «Tutto questo con
l’obiettivo di consolidare e sviluppare il valore aggiunto delle merci
nel contesto degli spazi transnazionali adeguati alle catene globali
della produzione, nell’agire e nel dispiegare le multinazionali del
centro dell’economia
mondiale che dividono interessi comuni con gli attori economici,
commerciali e finanziari locali e regionali». Il grande traguardo dei
globalizzatori è sempre lo stesso: ridurre i lavoratori a semplici
formiche operaie della fabbrica-mondo, calpestando i diritti
delle persone e quelli dell’ambiente.
Si tratta di bypassare la
geografia locale (incluse le leggi nazionali a tutela del lavoro) e
disegnare nuove frontiere economiche, finanziarie e commerciali tra i
paesi. Non si punta solo ad “armonizzare” i diritti
doganali, ma anche ad imporre «gli standard giuridici dei paesi egemoni
della Triade», oltrepassando la cosiddetta barriera “senza tariffe:
norme sanitarie e fitosanitarie, condizioni di accesso ai mercati
pubblici, diritti
di proprietà, sicurezza degli investimenti, politiche di competenza.
«Questa nuova trasformazione del capitalismo – rileva Ventura – tonifica
le dinamiche di fusione tra gli Stati interessati ai mercati,
disconnettendo così la capacità di controllo democratico del popolo –
l’unico capace di controllare il potere del capitale – e in ultimo
sottomettere le nostre società alla sua distruttiva dominazione».
fonte: http://www.libreidee.org/2013/12/iper-globalizzazione-noi-sudditi-della-fabbrica-mondo/
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