Il forte deprezzamento del rublo nelle
ultime settimane è dovuto a due fattori principali: al picco dei
rimborsi dei debiti delle società russe e anche al forte calo dei prezzi
del petrolio. Il flusso dei rimborsi scenderà in modo significativo nel
gennaio 2015. Ora esaminiamo le ragioni del calo dei prezzi del
petrolio.
Declino politico?
Molteplici indizi indicano che tale calo ha cause politiche. Spesso
pensiamo a un tentativo degli Stati Uniti per destabilizzare la Russia.
Tale tentativo potrebbe esistere, ma la realtà è più complessa. Si deve
sapere che il punto di pareggio per le nuove fonti di petrolio è di 70
dollari al barile per il petrolio bituminoso (principalmente in Canada) e
i 65 dollari al barile per il petrolio di scisto.
Con il prezzo che
potrebbe scendere al di sotto dei 60 dollari al barile, i Paesi OPEC in
realtà attaccano l’industria del petrolio del Nord America. E’
significativo che le principali compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil,
siano silenziose sulla tendenza dei prezzi attuale. Ci si può chiedere
se non vi sia il tacito accordo tra Arabia Saudita e Russia per
scacciare, o almeno limitare, il nuovo attore dal mercato degli
idrocarburi. Ma l’attacco potrebbe avere altre conseguenze. Il gas e il
petrolio di scisto si basano su prestiti che coprono l’80%-90% dei costi
d’investimento. Ciò rappresenterebbe oltre 300 miliardi di dollari in asset
nelle banche statunitensi. Questi conti necessariamente diverranno
“sofferenze” non appena saranno sotto una redditività significativa.
Tuttavia, le banche hanno naturalmente cartolarizzato questi debiti,
emettendo CDS in cui i debiti servono da collaterali. Se rimane troppo a
lungo un prezzo troppo basso, non può essere esclusa una nuova crisi
finanziaria nel sistema bancario degli Stati Uniti. Si rileva inoltre
che il rischio potenziale sull’industria degli scisti è già stato
anticipato in parte, perché le autorizzazioni operative sono diminuite
del 50% nel terzo trimestre del 2014, negli Stati Uniti. Possiamo quindi
concludere che, se i prezzi del petrolio rimangono bassi fino a giugno,
è probabile che ci sarà una strage nell’industria degli scisti con
ripercussioni molto serie per le banche.
Osservo incidentalmente che la
stima dei 65 USD di pareggio nell’industria petrolifera si basa sulle
condizioni tecniche dell’estrazione, ma non comprende i costi
finanziari. Ciò suggerisce che il governo degli Stati Uniti fischierà la
fine della caduta a fine inverno, se non vuole avere a che fare con una
grave crisi. Tuttavia, i volumi estratti sono ancor più bassi. La
produzione negli Stati Uniti, dopo aver raggiunto un picco nei primi
mesi del 2015, dovrebbe diminuire sensibilmente nel secondo semestre.
Ciò significa che possiamo aspettarci un aumento dei prezzi del secondo
semestre del 2015, probabilmente intorno a 70-75 dollari al barile.
Non si torna al 1998
Ciò non è un problema per la Russia, le cui riserve sono tali (450 miliardi di dollari solo per la Banca Centrale) che potrebbe affrontare un ribasso significativo, ma limitato. Si noti inoltre che i rimborsi del debito delle imprese russe per il 2015 non superano i 120 miliardi di dollari. Ben al di sotto delle riserve della BCR e del Ministero delle Finanze. Se necessario, queste aziende troveranno presso lo Stato il denaro necessario per rimborsare i prestiti. Ma ciò implica il proiettarsi dell’autorità dello Stato sull’economia. Tuttavia, in nessun caso dovrebbe portare al “default”, come nel 1998, né lo Stato (con pochissimo debito, essenzialmente da attori russi come Sberbank), né i privati hanno vere attività significative denominate in USD, e quindi solvibili a lungo termine. La questione della liquidità a breve termine può essere gestito con un intervento pubblico. L’immagine del default russo continua a tormentare le menti, sebbene la situazione sia molto diversa, come dimostra l’entità delle riserve valutarie.
Ciò non è un problema per la Russia, le cui riserve sono tali (450 miliardi di dollari solo per la Banca Centrale) che potrebbe affrontare un ribasso significativo, ma limitato. Si noti inoltre che i rimborsi del debito delle imprese russe per il 2015 non superano i 120 miliardi di dollari. Ben al di sotto delle riserve della BCR e del Ministero delle Finanze. Se necessario, queste aziende troveranno presso lo Stato il denaro necessario per rimborsare i prestiti. Ma ciò implica il proiettarsi dell’autorità dello Stato sull’economia. Tuttavia, in nessun caso dovrebbe portare al “default”, come nel 1998, né lo Stato (con pochissimo debito, essenzialmente da attori russi come Sberbank), né i privati hanno vere attività significative denominate in USD, e quindi solvibili a lungo termine. La questione della liquidità a breve termine può essere gestito con un intervento pubblico. L’immagine del default russo continua a tormentare le menti, sebbene la situazione sia molto diversa, come dimostra l’entità delle riserve valutarie.
Ma è
lecito chiedersi se tale default, che fa perdere molto denaro alle
banche degli Stati Uniti e occidentali in genere, non venga ancora
“attribuito” alla Russia. In realtà, il deafult permette alla Russia di
sfuggire alla trappola depressiva, come nel 1998. Il default fu l’atto
fondativo del rinnovamento economico, e naturalmente anche politico, del
Paese. Ricordiamo la decisione del primo ministro dell’epoca, Primakov,
d’inviare paracadutisti russi a proteggere i serbi durante l’intervento
della NATO in Kosovo. Vi si può vedere una prima anticipazione del
“ritorno della Russia” ora interpretato da Vladimir Putin, che non fu
ammesso dai circoli dirigenti degli Stati Uniti e dai loro mercenari in
Europa.
La Russia non è un petroemirato
La realtà è sistematicamente trascurata dagli autori che popolarizzano l’immagine del “petroemirato” russo, dimenticandosi che l’industria degli idrocarburi pesa solo l’11% del PIL. Naturalmente è più importante nelle esportazioni. Ma ciò si traduce in variazioni dei prezzi relativi ai prodotti petroliferi rispetto ad altre merci, e non in un fenomeno di volume. Un semplice esempio lo dimostra. Prendiamo il caso di una struttura d’esportazione semplificata, distinguendo i prezzi dei volumi e considerando nel primo periodo (T) il livello dei prezzi (calcolati in USD) uguale a 100.
La realtà è sistematicamente trascurata dagli autori che popolarizzano l’immagine del “petroemirato” russo, dimenticandosi che l’industria degli idrocarburi pesa solo l’11% del PIL. Naturalmente è più importante nelle esportazioni. Ma ciò si traduce in variazioni dei prezzi relativi ai prodotti petroliferi rispetto ad altre merci, e non in un fenomeno di volume. Un semplice esempio lo dimostra. Prendiamo il caso di una struttura d’esportazione semplificata, distinguendo i prezzi dei volumi e considerando nel primo periodo (T) il livello dei prezzi (calcolati in USD) uguale a 100.
Situazione T
Volume Prezzo
Materie prime 100 100
Beni agricoli 20 100
Manufatti 30 100
Armamenti 20 100
Se calcoliamo la quota di ciascuna categoria di merci d’esportazione, otteniamo il seguente quadro delle esportazioni:
Materie prime 58,8%
Beni agricoli 11,8%
Manufatti 17,6%
Armamenti 11,8%
Sulla struttura dei prezzi, le materie
prime (qui rappresentate dal petrolio) giocano un ruolo fondamentale
nelle esportazioni. Supponiamo ora che a T + 1 i prezzi delle materie
prime aumentino del 30% rispetto al prezzo base, rimanendo invariati gli
altri prezzi, e che a T + 2 i prezzi diminuiscono del 50% (sempre
rispetto ai prezzi base) rimanendo invariati gli altri prezzi. La
ripartizione per prodotto delle esportazioni potrebbe essere la
seguente:
Prezzo base T T + 1 T + 2
Materie prime 58,8% 65,0% 41,7%
Beni agricoli 11,8% 10,0% 16,7%
Manufatti 17,6% 15,0% 25,0%
Armamenti 11,8% 10,0% 16,7%
E’ immediatamente evidente che la quota
di materie prime fluttua ampiamente con il movimento dei prezzi.
L’immagine dell’analisi della struttura delle esportazioni russe
riflette effettivamente il movimento dei prezzi relativi, determinati
nel breve termine dal movimento dei prezzi assoluti delle materie prime
(cioè il petrolio). Un’analisi più accurata potrebbe considerare il
numero di lavoratori russi che lavorano per tali esportazioni. Se si
considera che la produttività di base di un lavoratore dell’industria
degli idrocarburi è al tempo (T) (e quindi ai prezzi T) superiore di 2,5
volte quella di un lavoratore negli armamenti, 3 volte di un lavoratore
nei manufatti e 5 volte superiore a quello di un lavoratore agricolo,
la quota reale di questi settori nelle esportazioni è molto diversa:
Materie prime 10000 29,4% 58,8%
Beni agricoli 2000 29,4% 11,8%
Manufatti 3000 26,5% 17,6%
Armamenti 2000 14,7% 11,8%
Vediamo che gli effetti dei prezzi
relativi possono distorcere ampiamente la realtà della struttura di
un’economia. E’ quindi particolarmente importante ricordarsene quando si
ragiona di un Paese che, come la Russia, è produttore sia di materie
prime che di beni industriali.
Jacques Sapir Russeurope
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2014/12/14/rublo-petrolio-e-ideologia/
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