Paroxetina è il nome del principio attivo, della molecola chimica, mentre il
nome commerciale è: Daparox, Dapagut, Dropaxin, Eutimil, Sereupin, Seroxat,
Stiliden e generici!
Nell’assordante silenzio di molti specialisti, una delle più autorevoli riviste
mediche del mondo conferma i sospetti di parte della comunità scientifica: a
fini di business, la multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline aveva alterato
i dati sullo psicofarmaco. Appello al Ministro Lorenzin: serve un registro per
monitorare queste prescrizioni.
La
recente revisione sistematica[1] promossa da una delle più autorevole riviste
mediche del mondo non lascia spazio a dubbi: i dati che finora hanno
giustificato la prescrizione a bambini e adolescenti del potente antidepressivo
paroxetina – usato anche in Italia – erano stati falsati dal produttore, la
multinazionale farmaceutica GSK – GlaxoSmithKline, e quella molecola è
“inefficace e pericolosa”. Lo studio cosiddetto “329”[2] era stato pubblicato
nel 2001, a firma di 22 ricercatori, e originariamente pareva confermare
l’appropriatezza d’uso di questa molecola nei casi di depressione.
In realtà la
ricerca fu redatta da Sally K. Laden, una ghostwriter pagata dalla casa
farmaceutica che aveva finanziato la ricerca allo scopo di dimostrare
l’efficacia della molecola. Ci sono voluti poi 14 anni – e la tenacia di validi
ricercatori – per ribaltare i risultati dello studio, e dimostrare che la
paroxetina aumenta il rischio di suicidio per i minori che la assumono.
“Dopo
lo Studio 329 del 2001, le vendite della paroxetina e di altri SSRI subirono una
fortissima impennata, grazie anche a prescrizioni di medici generici e pediatri,
con il risultato che molti adolescenti subirono effetti negativi e alcuni
morirono. La paroxetina divenne l’antidepressivo più venduto, con guadagni per
centinaia di milioni di dollari e più di due milioni di ricette emesse ogni anno
per i soli bambini e adolescenti”, ha commentato[3] Paolo Migone, Medico
specializzato in Psichiatria in Italia e in USA[4].
“Mentre la GlaxoSmithKline
continuava a utilizzare lo Studio 329 come dimostrazione dell’efficacia e
sicurezza della paroxetina – prosegue Migone – già nel 2004 la Procura Generale
di New York denunciò la multinazionale per frode contro i consumatori per aver
contraffatto i dati e diffuso informazioni false. La causa si concluse con un
accordo: la GSK doveva pagava 2,5 milioni di dollari di sanzione e si impegnava
a pubblicizzare sul suo sito internet i dati effettivi dello Studio 329.
Successivamente, anche il Dipartimento di Giustizia americano denunciò la GSK
per truffa nei confronti di Medicare e Medicaid – le principali agenzie
assicuratrici pubbliche che finanziano la Sanità in America – in quanto aveva
diffuso affermazioni false o fraudolente. La GSK si dichiarò colpevole e accettò
di pagare 3 miliardi di dollari – conclude Migone - ovvero la multa più alta
comminata a una azienda farmaceutica nella storia americana”.
La
GlaxoSmithKline fu allora definitivamente obbligata a rendere noti i dati
relativi alla paroxetina, “Ma lo fece a modo suo” – commenta Luca Poma,
giornalista membro dell’Unione Nazionale Medico-Scientifica d’Informazione e
portavoce nazionale di “Giù le Mani dai Bambini”®, il più rappresentativo
comitato italiano per la farmacovigilanza pediatrica[5]: “La multinazionale
pubblicò infatti oltre 77.000 pagine di resoconti clinici visibili solo in
remoto a video, senza che i file potessero essere scaricati o stampati. Una
scelta ridicola e aggiungo anche dannosa sia dal punto di vista reputazionale
che sostanziale: di fatto questi manager intralciarono deliberatamente le
verifiche scientifiche, danneggiando la salute di bambini e adolescenti pur di
continuare a fare soldi”.
Il
team guidato dal professor Jon Jureidini presso l’Università di Adelaide ha
successivamente identificato lo studio finanziato da GlaxoSmithKline come un
esempio di un processo autorizzativo da rivedere, e utilizzando documenti in
precedenza riservati ha rianalizzato i dati originali e ha scoperto che i dati
all’epoca forniti dalla casa farmaceutica erano fortemente fuorvianti, e che il
pericolo per i minori che utilizzano questo psicofarmaco è “clinicamente
significativo”.[6]
L’articolo pubblicato ora sul BMJ – reso accessibile a tutti senza restrizioni,
in virtù dell’assoluta importanza del tema trattato – è accompagnato da un
editoriale di Fiona Godlee, editor-in-chief del BMJ, da un duro intervento di
Peter Doshi, editor del giornale, e da altri contributi tra i quali un
editoriale di David Henry e Tiffany Fitzpatrick e una ricerca di Ingrid Torjesen
sull’aumento di crimini violenti nei giovani che assumono farmaci antidepressivi
SSRI, cioè gli “inibitori selettivi del re-uptake della serotonina”, categoria
farmacologica cui appartiene sia la paroxetina – commercializzata come
“Daparox”, “Dropaxin”, “Eutimil”, “Sereupin” e “Seroxat” - che l’altrettanto
tristemente famoso “Prozac”, cioè la fluoxetina.
“Ciò
che sconcerta di più – prosegue Poma – è l’assordante silenzio di una parte
significativa della neuropsichiatria infantile, anche italiana: risultati così
sconcertanti – e per certi versi sconvolgenti – non hanno meritato neanche una
dichiarazione da parte del SINPIA, la società scientifica che raggruppa gli
specialisti in disturbi mentali dei minori; anche l’Istituto Mario Negri tace,
sul loro sito neanche un comunicato; stesso dicasi dello Stella Maris, come
della maggior parte dei centri più attivi nella somministrazione di psicofarmaci
ai bambini nel nostro paese. D’altra parte non stupisce: all’associazione
gemella del SIMPIA in USA, l’American Academy of Child and Adolescent
Psychiatry, è stato chiesto per anni di ritrattare lo Studio 329, ma
inutilmente. Tutte queste realtà dovrebbero vigilare sulla salute mentale dei
più piccoli. Dovrebbero, appunto – conclude Poma – mai condizionale fu più
appropriato.”
“Giù
le Mani dai Bambini”® ha lanciato un appello al Ministro della Salute Beatrice
Lorenzin, da sempre molto sensibile al tema del diritto alla salute
dell’infanzia, affinché valuti l’istituzione di un registro per il controllo e
monitoraggio delle somministrazioni di antidepressivi ai minori, molto diffusi
anche in Italia, come già in vigore per gli psicofarmaci per i bimbi iperattivi.
note:
[1] Joanna Le Noury, John M Nardo, David Healy, Jon Jureidini, Melissa Raven, Catalin Tufanaru & Elia Abi-Jaoude, «Restoring Study 329: Efficacy and harms of paroxetine and imipramine in treatment of major depression in adolescence». BMJ, 351: h4320. DOI: 10.1136/bmj.h4320.
[2] Lo studio contestato è Efficacy of paroxetine in the treatment of adolescent major depression: A randomized, controller trial. JAACAP, 2001, 40, 7: 762-772, di Martin B. Keller e altri. (DOI: 10.1097/00004583-200107000-00010), scaricabile dal sito Internet www.justice.gov/sites/default/files/opa/legacy/2012/07/02/complaint-ex2.pdf.
[3] in un articolo sulla rivista Psicoterapia e Scienze Umane, 2015, volume 49, n. 4; www.psicoterapiaescienzeumane.it
[4] Medico e ricercatore, autore di oltre 300 pubblicazioni, tra le altre cose è fondatore della sezione italiana della Society for Psychotherapy Research (SPR) e condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane. Ha insegnato alle Università di Bologna, Parma, San Raffaele di Milano, Torino e Aosta.
[5] www.giulemanidaibambini.org
[6] link diretto: www.bmj.com/content/bmj/351/bmj.h4320.full.pdf
Tratto da
www.giulemanidaibambini.org
Nessun commento:
Posta un commento