lunedì 15 febbraio 2016

Belladonna, Atropa belladonna L.


Significato occulto dei veleni vegetali
Secondo la visione di R. Steiner (1861-1925), padre della Medicina Antroposofica, il veleno nelle piante rappresenta una forza animale che però non trova organi di senso in cui esprimere la propria azione. Nella pianta velenosa, l’astralità è interiorizzata, ma rimane in uno stato sospeso, altrimenti sarebbe un animale, un essere senziente. Una volta assunti dall’uomo, questi alcaloidi sfruttano i suoi organi di senso e manifestano tutta la loro forza e azione: le pupille si dilatano, la respirazione accelera, i movimenti si fanno convulsi e disordinati, l’udito e la vista sono alterati, la voce cambia timbro o subentrano versi, urla e delirii.

L’astralità della pianta velenosa irrompe nell’organismo umano e si imprime sull’anima. Con la dilatazione della pupilla (midriasi), è come se la pianta, preso possesso degli occhi, porgesse finalmente uno sguardo nel mondo. Durante un avvelenamento, quindi, è la pianta che vive in noi, sottraendoci il dominio del nostro corpo e a volte la vita stessa. Questa visione può dare diversi spunti terapeutici che non possiamo però affrontare in questa sede.

La capacità delle piante velenose di alterare lo stato di coscienza, è stato sfruttato fin dai primordi dell’umanità da parte del medico-sacerdote a scopi magici, rituali e terapeutici. Nel Medioevo con le piante velenose le fattucchiere preparavano la mistura “volante”, una pozione che liberava le parti soprasensibili dell’essere, sottraendole alla pesantezza del corpo. Ne risultava una sensazione di leggerezza e di volo planare, praticamente un cosiddetto volo astrale.

Etimologia
Atropa, dal greco atropos, che significa inesorabile, crudele. Atropa è una delle tre Moire greche, legate al destino ineluttabile dell’uomo, figlie di Notte: la prima è Cloto (la filatrice), che fila lo stame della vita; la seconda è Lachesis (la misuratrice) che lo avvolge nel fuso e stabilisce quanto filo spetti ad ogni uomo; Atropo (inflessibile, che non può essere dissuasa), che con lucide cesoie lo recide inesorabile. Nella Tradizione Romana le Moire corrispondono alle Parche, o anche Fate, cioè coloro che presiedono il Fato.

Le tre parche di Bernardo Strozzi
Le tre parche di Bernardo Strozzi

Belladonna, termine che deriva dalla parlata popolare veneziana. Durante il Rinascimento si usava il succo delle bacche sia come belletto, sia per dare splendore agli occhi e l’acqua distillata per la cura del viso. 

La belladonna in medicina (breve storia)
Per il suo aspetto venefico, la belladonna era sicuramente conosciuta già nella preistoria. Stranamente però su questa pianta non vi sono notizie sicure risalenti all’antichità. Unici accenni, per altro dubbi, sono quelli che si trovano nell’ Historia Plantarum di Teofrasto: l’autore fa riferimento ad alcune piante velenose, ma non è certo che si tratti della nostra pianta. Tuttavia, i nomi volgari con cui è indicata in molte lingue neolatine e germaniche fanno spesso riferimento al suo carattere velenoso e alla capacità di scatenare la follia.

Nel Medioevo, la guaritrice Santa Ildegarda (1098-1079) consiglia il “dolo” come antinevralgico. Il termine “dolo” è simile a quelli tedeschi medioevali della belladonna, come “dolwurtz” e “dolkraut”, e quindi tutto fa pensare che Ildegarda si riferisse proprio alla belladonna.

La prima raffigurazione certa di questa pianta si trova nel Liber de Semplicibus, pubblicato intorno al 1420 da Benedetto Rinio, mentre la prima descrizione completa, sia botanica che medica, si trova nel Compendium Aromatariorum di Saladino da Ascoli (1450), dove la belladonna viene indicata con il nome di Solanum furiale.

Tra i naturalisti che nel XVI secolo che si interessarono della belladonna spicca il nome dell’elvetico Corrado Gessner (1516-1565). Egli studiò in particolare il succo del frutto, che somministrava sotto forma di sciroppo. Le sue osservazioni sull’azione di questo farmaco furono correttissime ed egli individuò con precisione sia gli effetti della droga sui vari organi, sia le dosi sufficienti per ottenere un’azione terapeutica senza però correre il rischio di intossicare il paziente. Gessner consigliava la belladonna come sonnifero, analgesico, per ridurre le secrezioni di vari organi e come antidissenterico. In sostanza, Gessner aveva individuato bene il campo di azione di questa droga, che a partire dalla metà del 1500 incominciò ad essere usata in modo diffuso dai medici di tutta Europa.

Nel 1831 si giunse all’isolamento degli alcaloidi della belladonna: atropina, josciamina, scopolamina, apoatropina e belladonnina. Da cui derivarono alcuni farmaci. Tra questi, l’atropina riveste ancora oggi una notevole importanza terapeutica, in campo anestetico e oculistico. 

Belladonna diluita e dinamizzata
Con l’avvento dei farmaci di sintesi, il ricorso alla belladonna è andato progressivamente scemando. Attualmente permane l’uso dei suoi principi attivi, spesso di sintesi o emisintesi. Per uso interno, tuttavia, gli alcaloidi isolati non sono superiori ad un buon estratto alcolico della pianta intera, che rimane un valido farmaco, ma solo in mano a mani esperte: uno dei campi di maggiore applicazione per questo rimedio eroico erano le malattie gastrointestinali, ulcera peptica compresa, ma i dosaggi terapeutici erano prossimi a quelli dei primi effetti collaterali e quindi la terapia era riservata a medici con esperienza.

Nella medicina non convenzionale, oggi si dà la preferenza a dosaggi bassi (D2-D6) o molto bassi (D30-30CH e oltre). Siamo nel campo delle preparazioni omeopatiche, anche se il ragionamento alla base delle prescrizione non necessariamente deve essere omeopatico in senso classico. 

Le diluizioni di Belladonna trovano impiego principalmente nelle forme patologiche di tipo infiammatorio congestivo, oppure nelle forme con tendenza agli spasmi o agli indurimenti che portano in fine all’inaridimento dei tessuti (per arresto della circolazione sanguigna): dismenorrea, spasmi viscerali, infiammazioni delle vie respiratorie, stati febbrili acuti, convulsioni e deliri febbrili, infiammazioni cutanee, cefalea, secchezza delle mucose e degli occhi, ipertensione. 

I vecchi omeopati dell’era preantibiotica ottenevano ottimi risultati nella scarlattina, ma anche in altre malattie dei bambini, come la rosolia e il morbillo (impiego tutt’ora valido). Sul piano mentale, adeguate diluizioni di Belladonna sono indicate negli stati di tensione, agitazione, fissazioni, forme ossessive e ipersensibilità alla luce. 


Bibliografia
- Benigni R et al. Piante Medicinali. Chimica, farmacologia e terapia. I vol. Inverni & Beffa, 1962, Milano.
- Lomagno P. Storie di Piante Medicinali Eccellenti. Ciba Edizioni, 1994, Milano.
- Pelikan W. Le Piante Medicinali Vol I, Natura e Cultura Editrice, 1998, Alassio.
- Perugini B. Manuale di Fitoterapia. Ed. Junior, 2004, Azzano S. Paolo. 

Francesco Perugini Billi©copyright – vietata la riproduzione senza esplicito consenso dell’autore. 


fonte: http://www.dottorperuginibilli.it/omeopatia1/4691-belladonna-atropa-belladonna-l

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