lunedì 1 febbraio 2016

Benzodiazepine. Dal Rischio di Demenza all’Efficacia

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 Ma l’Ansiolitico è Utile?
“Confermato legame tra benzodiazepine ed Alzheimer” “Uso delle benzodiazepine e rischio di demenza”

Questi articoli, dal titolo forte, vengono frequentemente condivisi nei social network.

Il problema sta alla base. Ma andiamo per gradi.

COSA SONO LE BENZODIAZEPINE
Le benzodiazepine sono una classe di farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) modificando alcuni processi chimici fisiologici.

Negli anni ’60, le benzodiazepine hanno rimpiazzato i barbiturici, diventando rapidamente la classe di farmaci terapeutici utilizzata più largamente, i termini tranquillante e ansiolitico sono ben presto divenuti sinonimi.

Essi provocano un effetto ansiolitico (riduzione dell’ansia, trattamento di disturbo da panico e fobie), miorilassante (rilassante muscolare), ipnotico (induce il sonno), antiepilettico (contro l’epilessia) e amnesico (induce un certo grado di amnesia anterograda).

USO E ABUSO
Questi farmaci rimangono tutt’ora molto diffusi e sono soggetti ad un ampio abuso e spesso ad un uso inappropriato. (1)  Un dato interessante: Si tratta di uno dei farmaci più prescritti in particolare tra gli anziani.

Questo dato è di frequente riscontro, anche nella mia pratica clinica, la stragrande maggioranza dei pazienti ha fatto, o fa uso abituale, di ansiolitici (aggiunti al onnipresente antidepressivo). Sottolineo abituale poiché nel 1988 il Comitato del Regno Unito sulla Sicurezza dei Farmaci (The UK Committee on Safety of Medicines) ha suggerito che le benzodiazepine dovrebbero, come principio, essere riservate per l’uso di breve durata (2-4 settimane soltanto).

Ma i ricercatori ci mettono in guardia: le benzodiazepine dovrebbero essere utilizzate con grande cautela almeno negli anziani. Le benzodiazepine possono infatti provocare disfunzioni cognitive che possono condurre a forme di demenza da farmaci. (Weston et al, 2010).

EVIDENZE SCIENTIFICHE
Paterniti e collaboratori (2002) hanno seguito per quattro anni oltre 130 pazienti anziani che usavano benzodiazepine. Un confronto con un gruppo di anziani che non assumeva tale farmaco, anche l’uso periodico si è dimostrato associato a un peggioramento delle prestazioni cognitive.

Nel 2009 Wu e collaboratori hanno rilevato che l’uso di benzodiazepine a lunga durata d’azione era associato ad un rischio di demenza di due volte superiore.

Lo studio di Billioti de Gage e collaboratori (2012) ha mostrato una correlazione tra l’uso dei farmaci ansiolitici a base di benzodiazepine e il rischio di sviluppare una demenza in soggetti over 65.

Dai risultati di questo ampio studio osservazionale a lungo termine, che ha coinvolto 1.063 persone scelte a caso tra i volontari ultrasessantacinquenni residenti nel sud-ovest della Francia, è emerso che il rischio di sviluppare una demenza durante il follow-up è stato maggiore del 60% tra coloro che avevano assunto benzodiazepine rispetto a chi non le aveva prese.

Allora c’è qualcosa che stona. Se i ricercatori sostengono quanto sopra riportato, perché le benzodiazepine rimangono uno dei farmaci più prescritti in particolare tra gli anziani??

Ma proseguiamo…

EFFETTI COLLATERALI
Evito di dilungarmi sui restanti effetti collaterali già ampiamente diffusi altrove.

BENZODIAZEPINE IN COMMERCIO
I principi attivi di quasi tutti gli ansiolitici terminano per questo in “azepam”, mentre i nomi commerciali sono i più svariati. In Italia sono disponibili oltre 50 farmaci contenenti benzodiazepine.

Tra i più diffusi e maggiormente prescritti: Alprazolam (nomi commerciali Xanax, Frontal, Valeans, Mialin) Bromazepam (Lexotan, Compendium) Diazepam (Valium, Ansiolin, Tranquirit, Noan) Clordemetildiazepam (En) Lorazepam (Tavor, Control, Lorans)

A spiccato effetto ipnoinducente: Lormetazepam o Metillorazepam (Noctamid, Minias) Ketazolam (Anseren).

EFFICACIA

La mia constatazione qui non termina. Da qui inizia.

Possiamo tuttavia parlare di efficacia nei casi di pazienti giovani e in trattamenti a breve termine?
Questo è ciò che trovo su internet (la fonte di informazione più comune e a cui la maggioranza fa riferimento): “Le benzodiazepine (BZD) sono molecole ambivalenti: infatti sono dei farmaci particolarmente efficaci con un effetto psicotropo che agisce in pochi minuti dopo la somministrazione (pochi farmaci possono competere con le benzodiazepine in termini di efficacia, immediatezza dell’azione e bassa tossicità acuta. Se utilizzate per un breve periodo, le benzodiazepine possono essere di grande aiuto, a volte fino a salvare la vita delle persone, in molti disturbi clinici) ma il cui uso può diventare fonte di effetti collaterali significativi e di dipendenza (quasi tutti gli svantaggi delle benzodiazepine risultano dall’uso prolungato).”
Quando scrivevo che il problema sta alla base mi riferivo a questo. Che cosa significa efficacia di un farmaco?

Con efficacia ci riferiamo alla riduzione immediata del livello di ansia e quindi trattamento esclusivamente sintomatico?

Trattare in questi termini l’ansia significa ridurre la sofferenza esistenziale a una semplice alterazione neurotrasmettitoriale. Si chiama riduzionismo biologico.

Se ho l’ansia e la tratto farmacologicamente considero tale ansia la conseguenza di un funzionamento erroneo del cervello.

Ma l’ansia è davvero l’espressione di qualcosa che non funziona nel cervello? L’ansia è primariamente una patologia neurologica?

Io l’ansia la sento, nel mio corpo, nel mio fare esperienza nel mondo, nell’attesa di un esame, al pensiero di dover parlare in pubblico, nel prendere l’ascensore.

Possiamo davvero ridurre tale esperienza ad una mera alterazione neurotrasmettitoriale?

E qui torno all’efficacia. Guarire è ingannare il cervello, ridurre un’attivazione fisiologica, inibire il sintomo o affrontare la causa alla base del sintomo?

Ed è proprio sulla base della risposta a questo quesito che ci rivolgeremo alla benzodiazepina o allo psicologo.

Il farmaco non comporta impegno ne richiede un cambiamento. E nonostante gli studi ci sottolineino gli effetti deleteri e il trattamento esclusivamente momentaneo del sintomo (e non della causa) essi permangono di primaria scelta. Perché dallo psicologo… “ci vanno i matti!”

Di fronte a tali evidenze è arrivato forse il momento di chiedersi se è possibile agire diversamente. Se è possibile rivolgersi ad un professionista che ci tratti come persona (soggetto) e non che tratti l’ansia (oggetto) come risultato di un inghippo neurale.

L’evoluzione culturale parte da noi.


Manuela Rinaldi 


Riferimenti bibliografici
1. Julien R, Advokat C, Comaty J. Droghe e farmaci psicoattivi. Zanichelli 2014


Fonte: manuelarinaldi.com
http://www.neuroscienze.net/?p=4495

Foto: pills3.jpg

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