martedì 11 aprile 2017

L’imbecillità è una cosa seria

 
Ogni epoca ha i suoi tromboni,
così come ha i suoi bugiardi, i suoi furfanti,
e ovviamente i suoi imbecilli.
(Maurizio Ferraris)

L’assunto da cui parte il filosofo Maurizio Ferraris con “L’imbecillità è una cosa seria,” un pamphlet molto spiritoso e gradevole, è che l’essere umano è fondamentalmente un imbecille. La riflessione sull’imbecillità ha impegnato le menti migliori di tutti tempi. Il fatto è che sono sempre esistite legioni di imbecilli, perché il processo inizia con l’ominizzazione e continua durante l’evoluzione dell'uomo. 

E non è detto che nella lunga lista di imbecilli "storici" non ci sia finito anche il nostro nome. In effetti, anche chi prova a studiare o lavorare sul fenomeno può scivolare fatalmente nel gorgo dell’imbecillità. Ferraris nota che Ortega y Gasset diceva che l’uomo di buon senso è sempre tormentato dal sospetto di essere imbecille, mentre il vero imbecille è fiero di se stesso. E allora come possiamo avere la garanzia che non siamo finiti in questa lunga lista? 

E, se pensiamo di non esserci inclusi non siamo forse dei presuntuosi? E la presunzione non dimostra l’opposto esatto di quanto vorrebbe mostrare? In realtà non ci spaventa la follia, ma temiamo maggiormente l’imbecillità perché il matto si riesce a distinguere, mentre l’imbecille resta un problema. Anche i più grandi uomini sono stati degli imbecilli, osserva Ferraris, basti pensare a Napoleone Bonaparte che aiutò il suo stesso declino. Chi altri se non un imbecille partirebbe per la Russia giocandosi d'un colpo solo, la casa, l’impero e il patrimonio? 

Arrivati a questo punto è urgente fare una precisazione terminologica, per cui precisiamo che per "imbecillità" vogliamo significare l'equivalenza di significato con: cecità, indifferenza o ostilità ai valori cognitivi. Questa precisazione ci rende evidente che l’imbecillità è inversa e simmetrica al peccato originale in cui vi è un’eccessiva curiosità nei confronti dei valori cognitivi. Se accettiamo il collegamento, i conti tornano, in politica e in economia, nella vita sociale e anche nella filosofia della storia. 

Sì, proprio "filosofia della storia" che sembra una cosa strana e inutile, mentre invece essa ci offre strumenti indispensabili per comprendere i tempi in cui viviamo. E per molti uomini l’epoca presente dimostra che c'è un fragoroso fallimento delle ideologie che non sanno regolare i comportamenti collettivi. L’ampliamento di prospettiva offerto dalle nuove tecnologie semplifica l’accesso alla cultura: e questa è un’ottima notizia. Le cattiva notizia è che le tecnologie aumentano ancora di più la distanza tra “il dire e il fare” e che sfruttano la “virtualità del virtuale” per aumentare il livello di “coglioneria diffusa”. 

Ma cosa spinge un essere umano a fare uno studio così ambizioso e complesso, si chiede Ferraris? Senza dubbio sul lato malsano dell'autore non incide il desiderio di sputare fiele contro tutto il genere umano. Quello che spinge il benintensionato è una constatazione oggettiva, ossia che “non c’è grandezza umana che non sia travagliata dall’imbecillità” e questo pensiero può divenire una grande consolazione. Dobbiamo pensare che “l’imbecillità dell’uomo di genio è una tappa evolutiva di un cammino che ha avuto inizio nell’infanzia.” 

Nietzsche dice che l’uomo è una corda tesa tra la bestia e il superuomo. E vuole significare che l’uomo è posto a metà strada tra l'imbecille e il semidio. In definitiva dice che l’uomo non è,  né carne, né pesce. Anche Vico vede - nel passato -  un grande branco di scimmioni che si uccidono, per cui sembra che il guado che va superato è molto ampio, e forse è più largo di quanto crediamo. Se la questione è vista in questo modo, è chiaro che la filosofia della storia diventa un’epopea dell’imbecillità. 

Esiste una legge implacabile, nota Ferraris, secondo la quale quanto più la “scimmia è nuda” e tanto più pretende di essere costruttrice del mondo, perché crede di essere creatrice e originale. La logica che guida lo scimmione vichiano è questa: “Visto che non sono creativo, ho pensato di scrivere un decalogo, come il Creatore.” Tra gli uomini dell'antichità essere creduti imbecilli non era un problema e non costituiva un insulto, mentre la stessa cosa è ritenuta una colpa per l’uomo moderno. Fa eccezione il caso di chi “ci fa” ma "non lo è."  

Dobbiamo pensare che la modernità ci sta rincretinendo? Non sembra affatto vero, anche se - solo per il fatto di averlo pensato - dimostriamo una forte imbecillità. A questo punto qualcuno si aspetterebbe una filippica contro il digitale, perché al digitale viene attribuito tutto il male del mondo ovvero: egoismo, liberismo, anarchismo, nichilismo, coazione, oscenità e calo del desiderio. Forse è vero che viviamo “in un tempo di morti viventi,” ma siamo sicuri che questo dipenda dal digitale? 

Da quanto ci risulta, la tecnica non aliena, né istupidisce, ma - piuttosto - aumenta la possibilità di farci conoscere per ciò che siamo veramente. Tanta più tecnica viene usata e tanto maggiore sarà l’imbecillità percepita. Ferraris dice che non siamo più imbecilli dei nostri antenati, anzi forse siamo diventati molto più intelligenti. E allora cosa possiamo fare per aiutare l’umanità a migliorare e per fare in modo che non restiamo tutti schiacciati dall’imbecillità collettiva? 

Ferraris, in seguito a questa bella intenzione e dopo un’approfondita analisi dell’imbecillità di massa, si mette ad analizzare l’imbecillità di élite, infine ipotizza la dialettica dell’imbecillismo, perché il fenomeno è complesso e multiforme. Non dobbiamo mai dimenticare che la condizione umana di base è che: “imbecille è l’uomo allo stato di natura, “in-baculum” e implume. E questa appunto, è la nativa imbecillità umana, il bestione vichiano, il perfetto imbecille, l’imbecille fatto e finito,” nota Ferraris. 

Vista così la questione, è evidente che l’uomo ha bisogno di ricevere degli ausili tecnici, e questo vuol dire che l'uomo ha bisogno di ricevere un aiuto. Ma, di contro,  è certo che l’imbecillità insidia l’umanità proprio nel preciso momento in cui l’uomo sembra potersi elevare dal suo stato di natura, e sembra migliorare il suo stato. Allora qual è la soluzione migliore? Maurizio Ferraris, con "L’imbecillità è una cosa seria" offre l’opera adatta per trovare una soluzione al dilemma.

Buona lettura
 
Sharatan
 
 
 

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