“Ogni epoca ha i suoi tromboni,
così come ha i suoi bugiardi, i suoi furfanti,
e ovviamente i suoi imbecilli.”
(Maurizio Ferraris)
L’assunto
da cui parte il filosofo Maurizio Ferraris con “L’imbecillità è una
cosa seria,” un pamphlet molto spiritoso e gradevole, è che l’essere
umano è fondamentalmente un imbecille. La riflessione sull’imbecillità
ha impegnato le menti migliori di tutti tempi. Il fatto è che sono
sempre esistite legioni di imbecilli, perché il processo inizia con
l’ominizzazione e continua durante l’evoluzione dell'uomo.
E
non è detto che nella lunga lista di imbecilli "storici" non ci sia
finito anche il nostro nome. In effetti, anche chi prova a studiare o
lavorare sul fenomeno può scivolare fatalmente nel gorgo
dell’imbecillità. Ferraris nota che Ortega y Gasset diceva che l’uomo di
buon senso è sempre tormentato dal sospetto di essere imbecille, mentre
il vero imbecille è fiero di se stesso. E allora come possiamo avere la
garanzia che non siamo finiti in questa lunga lista?
E,
se pensiamo di non esserci inclusi non siamo forse dei presuntuosi? E
la presunzione non dimostra l’opposto esatto di quanto vorrebbe
mostrare? In realtà non ci spaventa la follia, ma temiamo maggiormente
l’imbecillità perché il matto si riesce a distinguere, mentre
l’imbecille resta un problema. Anche i più grandi uomini sono stati
degli imbecilli, osserva Ferraris, basti pensare a Napoleone Bonaparte
che aiutò il suo stesso declino. Chi altri se non un imbecille
partirebbe per la Russia giocandosi d'un colpo solo, la casa, l’impero e
il patrimonio?
Arrivati
a questo punto è urgente fare una precisazione terminologica, per cui
precisiamo che per "imbecillità" vogliamo significare l'equivalenza di
significato con: cecità, indifferenza o ostilità ai valori cognitivi.
Questa precisazione ci rende evidente che l’imbecillità è inversa e
simmetrica al peccato originale in cui vi è un’eccessiva curiosità nei
confronti dei valori cognitivi. Se accettiamo il collegamento, i conti
tornano, in politica e in economia, nella vita sociale e anche nella
filosofia della storia.
Sì,
proprio "filosofia della storia" che sembra una cosa strana e inutile,
mentre invece essa ci offre strumenti indispensabili per comprendere i
tempi in cui viviamo. E per molti uomini l’epoca presente dimostra che
c'è un fragoroso fallimento delle ideologie che non sanno regolare i
comportamenti collettivi. L’ampliamento di prospettiva offerto dalle
nuove tecnologie semplifica l’accesso alla cultura: e questa è un’ottima
notizia. Le cattiva notizia è che le tecnologie aumentano ancora di più
la distanza tra “il dire e il fare” e che sfruttano la “virtualità del
virtuale” per aumentare il livello di “coglioneria diffusa”.
Ma
cosa spinge un essere umano a fare uno studio così ambizioso e
complesso, si chiede Ferraris? Senza dubbio sul lato malsano dell'autore
non incide il desiderio di sputare fiele contro tutto il genere umano.
Quello che spinge il benintensionato è una constatazione oggettiva,
ossia che “non c’è grandezza umana che non sia travagliata
dall’imbecillità” e questo pensiero può divenire una grande
consolazione. Dobbiamo pensare che “l’imbecillità dell’uomo di genio è
una tappa evolutiva di un cammino che ha avuto inizio nell’infanzia.”
Nietzsche
dice che l’uomo è una corda tesa tra la bestia e il superuomo. E vuole
significare che l’uomo è posto a metà strada tra l'imbecille e il
semidio. In definitiva dice che l’uomo non è, né carne, né pesce. Anche
Vico vede - nel passato - un grande branco di scimmioni che si
uccidono, per cui sembra che il guado che va superato è molto ampio, e
forse è più largo di quanto crediamo. Se la questione è vista in questo
modo, è chiaro che la filosofia della storia diventa un’epopea
dell’imbecillità.
Esiste
una legge implacabile, nota Ferraris, secondo la quale quanto più la
“scimmia è nuda” e tanto più pretende di essere costruttrice del mondo,
perché crede di essere creatrice e originale. La logica che guida lo
scimmione vichiano è questa: “Visto che non sono creativo, ho pensato di
scrivere un decalogo, come il Creatore.” Tra gli uomini dell'antichità
essere creduti imbecilli non era un problema e non costituiva un
insulto, mentre la stessa cosa è ritenuta una colpa per l’uomo moderno.
Fa eccezione il caso di chi “ci fa” ma "non lo è."
Dobbiamo
pensare che la modernità ci sta rincretinendo? Non sembra affatto vero,
anche se - solo per il fatto di averlo pensato - dimostriamo una forte
imbecillità. A questo punto qualcuno si aspetterebbe una filippica
contro il digitale, perché al digitale viene attribuito tutto il male
del mondo ovvero: egoismo, liberismo, anarchismo, nichilismo, coazione,
oscenità e calo del desiderio. Forse è vero che viviamo “in un tempo di
morti viventi,” ma siamo sicuri che questo dipenda dal digitale?
Da
quanto ci risulta, la tecnica non aliena, né istupidisce, ma -
piuttosto - aumenta la possibilità di farci conoscere per ciò che siamo
veramente. Tanta più tecnica viene usata e tanto maggiore sarà
l’imbecillità percepita. Ferraris dice che non siamo più imbecilli dei
nostri antenati, anzi forse siamo diventati molto più intelligenti. E
allora cosa possiamo fare per aiutare l’umanità a migliorare e per fare
in modo che non restiamo tutti schiacciati dall’imbecillità collettiva?
Ferraris,
in seguito a questa bella intenzione e dopo un’approfondita analisi
dell’imbecillità di massa, si mette ad analizzare l’imbecillità di
élite, infine ipotizza la dialettica dell’imbecillismo, perché il
fenomeno è complesso e multiforme. Non dobbiamo mai dimenticare che la
condizione umana di base è che: “imbecille è l’uomo allo stato di
natura, “in-baculum” e implume. E questa appunto, è la nativa
imbecillità umana, il bestione vichiano, il perfetto imbecille,
l’imbecille fatto e finito,” nota Ferraris.
Vista
così la questione, è evidente che l’uomo ha bisogno di ricevere degli
ausili tecnici, e questo vuol dire che l'uomo ha bisogno di ricevere un
aiuto. Ma, di contro, è certo che l’imbecillità insidia l’umanità
proprio nel preciso momento in cui l’uomo sembra potersi elevare dal suo
stato di natura, e sembra migliorare il suo stato. Allora qual è la
soluzione migliore? Maurizio Ferraris, con "L’imbecillità è una cosa
seria" offre l’opera adatta per trovare una soluzione al dilemma.
Buona lettura
Sharatan
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