mercoledì 28 giugno 2017

Epochè


La discussione e il confronto arricchiscono. 

Ho sentito ripetere questo concetto diverse volte ultimamente e, come un alieno che non capisce il linguaggio dei terrestri, sono rimasto disorientato tentando di processare questo dato. 

Non perchè io sia contrario a priori alle discussioni e ai confronti, ma perchè nella mia vita non ho mai, e dico mai, visto qualcosa di 'costruttivo' nascere da discussioni o confronti così come vengono comunemente interpretati. 

Due ego che, messi di fronte, tentano di spiegare l'uno all'altro la propria opinione, valutando le risposte dell'altro attraverso il filtro del proprio punto di vista. 

Mi sono pertanto sempre domandato dove sia la crescita e la costruttività nell'ascoltare un punto di vista altrui mantenendo comunque intatto il proprio. 

A un certo punto della mia vita però una serie di eventi mi ha portato a conoscere quella pratica molto avversata e assolutamente mal compresa conosciuta come counseling. 

La mia fortuna è stata che il counseling mi fu insegnato da una persona che fu capace di tirarmi fuori dallo stato di 'punto di vista soggettivo' e mettermi in uno stato che chiamava (prendendola da Husserl) 'epochèfenomenologica' ovvero una sospensione totale del giudizio, di ogni giudizio riguardo a ciò che veniva esperito, ascoltato, osservato. 

Fare epochè significa prendere il fenomeno reale così come arriva alla coscienza, senza altre interferenze. E fu un concetto che mi colpì moltissimo. Perchè solo in quello stato secondo me si è capaci di vero ascolto e solo in quello stato, forse, il punto di vista dell'altro può davvero essere percepito. 

Ma qui sorgono anche i primi problemi pratici. Mantenere uno stato del genere per più di 5 minuti può essere una sfida insormontabile se non c'è allenamento e una forte determinazione. 

Un'altra cosa che mi colpì di quel modo di fare counseling era che, preso alla maniera di una disciplina interiore di educazione all'ascolto, diventava inevitabilmente una pratica integrale di vita quotidiana e non soltanto un week end al mese per prendere un diploma. 

Diventava un altro modo di vedere la totalità della vita, una modalità yin di attenzione focalizzata, che fu per me determinante per vedere  agire la mia sfocatura. 

Ci veniva appunto veicolato un concetto fondamentale che è il centro di tutto il discorso del confronto e dei punti di vista: non puoi sospendere il giudizio senza uno strenuo allenamento così come qualsiasi altro tipo di prestazione atletica, e non puoi farlo senza averne davvero voglia. 

Così quando ci allenavamo a fare icounselor coi nostri clienti, ci dovevamo allenare a vedere tutte le stupidaggini che avremmo voluto dire e fare per influenzarli, tutti i saggi consigli terapeutici che ci venivano in mente per sentire che stavamo facendo un buon lavoro, tutte le interpretazioni più o meno psicoanalitiche, energetiche o spirituali dei loro problemi. 

E tutte queste stupidaggini andavano sospese e messe al bando per tutto il tempo della seduta, per rimanere con la persona e non con le nostre interpretazioni e sfocature su quella persona. E forse con qualche anno di pratica intelligente questa capacità può essere appresa e può diventare parte integrante del proprio bagaglio di strumenti della coscienza.

A quel punto però ogni genere di confronto o discussione perde il suo fascino. C'è stato un momento durante la mia attività dicounseling nel quale le persone erano così intensamente interessanti che mi sembrava davvero un peccato mortale aggiungere o togliere qualcosa dalla loro esperienza di vita solo perchè pensavano che io fossi un bravo terapeuta. 

E quindi ho imparato a stare zitto e ho perso sempre più interesse al confronto, ai punti di vista, ai dibattiti.  Ho imparato a 'sentire' l'altro e la vita. Ho cercato per quanto potevo (e ancora ho un bel pezzo di strada da fare) di sospendere i miei giudizi su 'giusto' e 'sbagliato', 'bene' e 'male'. 

E ho imparato per quanto potevo a rispettare i processi di coloro che non erano d'accordo con il mio punto di vista, anche di quelli che remavano contro il mio (o attivamente contro di me), senza cercare di spiegare, senza dover dimostrare nulla a nessuno perchè, onestamente, non mi interessava più. 

Dallo stato di epokè ho potuto essere davvero d'accordo con Aurobindo quando asseriva che la mente non è che uno strumento per macinare informazioni, e che può credere tutto e il contrario di tutto:
"Il bisogno di sapere dell’intelletto non è altro che bisogno di macinare. Se poi per caso si ferma un attimo perchè è riuscito a sapere quel che cercava, immediatamente si riscuote e trova nuova roba da mettersi sotto i denti, per il puro piacere di tritare ancora. Il momento decisivo del mio sviluppo intellettuale fu quando potei chiaramente vedere che quanto diceva l’intelletto poteva essere sia giusto che sbagliato; quel che l’intelletto giustificava era vero, ma anche il suo opposto lo era. Non ammettevo più nessuna verità nella mente senza ammetterne contemporaneamente anche il suo contrario. Risultato: il prestigio dell’intelletto svanì." (Sri Aurobindo)
Dunque come posso davvero ancora credere che un confronto porti arricchimento e serva a crescere se non so fare epochè dentro di me? 

Come posso non vedere che il 99% delle volte un confronto o una discussione non sono che due ego che lottano per la supremazia (foss'anche la supremazia ottenuta solo attraverso il fatto che l'altro 'capisca' il mio punto di vista)? 

Come posso non accorgermi che tutto questo non è che l'ennesimo gioco delle separazioni e dell'avere ragione nel quale l'ego è maestro assoluto? 

Come posso non vedere che tutte le mie opinioni su ciò che è reale e ciò che non lo è sono solo mie opinioni e non verità assolute, e come posso non vedere tutte le macchinazioni che l'intelletto mette in moto per preservare e difendere queste opinioni a favore dell'ego?

Imparare a fare epochè significa rinunciare alle proprie opinioni per restare con il fenomeno così com'è, senza suggestioni, superstizioni o interpretazioni d'altro tipo. 

E' questa nuda sincerità a costituire secondo me, la vera sostanza dall'ascolto di sè e degli altri, e quest'atto interiore è l'unico che può, alla fine, rivelare la natura della coscienza svincolata dalla mente e dai sensi. 

E la coscienza, la capacità di esserci, è in definitiva ciò che davvero ascolta, e ciò che davvero viene ascoltato.


Andrea Panatta


Nessun commento:

Posta un commento