Tutto rimandato, almeno per ora. Il voto sul Ceta slitta a martedì 27: in quella data il provvedimento tornerà in Commissione Affari Esteri del Senato, dove i sostenitori del trattato puntano a far approvare il disegno di legge di ratifica (ddl 2849) così da passare subito all’esame dell’aula.
Perché tanta fretta di approvare il Ceta?
Secondo la campagna Stop Ttip Italia, «la decisione coincide con la volontà del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che partirà nel weekend per un viaggio “coast to coast” in Canada dove rimarrà fino al 1 luglio. Per l’occasione vuole portare il Ceta in dono al premier Justin Trudeau, con l’approvazione di almeno una delle camere».
Peccato che questo presunto “garbo istituzionale” delle forze politiche vada a scapito di un confronto serio e articolato nel merito di un trattato che, se approvato, avrà conseguenze davvero rilevanti per l’agricoltura, l’ambiente, la salute e il lavoro dei cittadini europei.
Mentre l’Italia spinge l’acceleratore (ma mette la sordina al dibattito sui media), in altri Paesi crescono i dubbi. In Francia, la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi su un ricorso che porta la firma di 106 parlamentari e solleva la questione della costituzionalità del Ceta. In Canada, l’assemblea legislativa del Quebec non si riunirà prima di settembre: ciò significa che l’approvazione definitiva del Ceta è comunque destinata a rimanere in standby nel prossimo futuro.
Cosa possiamo fare per fermarlo?
Lo scorso 16 giugno, la campagna Stop Ttip Italia ha indetto una mobilitazione permanente per bloccare il processo accelerato di ratifica del Ceta: ciascuno di noi può impegnare il proprio tempo per contattare i senatori italiani chiedendo loro di votare NO alla ratifica (ecco come si può fare).
Una campagna di pressione della società civile è indirizzata anche al presidente della Repubblica, che in forza del suo ruolo di garanzia può sollecitare il Senato a rinviare il voto.
Per martedì 22, in coincidenza con l’esame del Senato, è indetto a Roma un presidio contro il Ceta in piazza della Rotonda (davanti al Pantheon) a partire dalle ore 10.
Noi invitiamo chi può a partecipare, nel frattempo continuiamo a tenere alta l’attenzione sul tema. Per chi se lo fosse perso, ecco l’editoriale di Carlo Petrini che riepiloga le ragioni della contrarietà di Slow Food al mega-accordo commerciale, pubblicato ieri sulle colonne di La Repubblica.
Il Ceta contro il made in Italy
Oggi [giovedì 22 giugno, NdR] – a meno che non venga riprogrammata la discussione – il Senato dovrà pronunciarsi a proposito del Ceta, il trattato commerciale tra Europa e Canada che si propone l’abbattimento di tutti i dazi doganali e che finge di credere che basti dire che le regole sono uguali per tutti e improvvisamente tutti diventano uguali tra loro.
Questo trattato rischia di danneggiare molto seriamente (e ulteriormente) tutta la nostra agricoltura eccellente, le piccole e medie aziende che lavorano con passione, competenza e tantissima pazienza per costruire la reputazione di quel Made in Italy che troviamo poi nei discorsi della politica e dell’economia.
Voglio quindi provare a raccontare ai Senatori che si troveranno oggi a dover dire sì o no, come mai
tante associazioni del mondo dell’agricoltura, del consumo, del lavoro e dell’ambiente si sono schierate contro questo trattato. Proverò a enunciare le più importanti:
1) Le imprese agricole canadesi non sono tenute a rispettare la stessa quantità e qualità di regole che devono osservare quelle europee, e italiane nello specifico. Avere meno regole significa poter ignorare più pericoli, avere meno cautele, e dunque avere costi di produzione più bassi (anche se poi il costo per la collettività si potrebbe rivelare ben più alto). Se quei prodotti arrivano sui nostri mercati senza nemmeno l’imposizione di un dazio, come potranno, i nostri agricoltori, competere?
2) Le imprese agricole nordamericane, e canadesi nello specifico, hanno dimensioni, e dunque metodologie, che alle nostre latitudini sono rarissime. I parcheggi delle macchine agricole di quelle aziende superano, di solito, la dimensione media dell’estensione di un’azienda europea. Anche questo ovviamente significa – lasciando da parte la qualità anche ambientale di quell’agricoltura – avere costi di produzione incomparabilmente più bassi quelli europei.
3) L’agricoltura canadese consente l’utilizzo di circa 100 agenti chimici che in Europa sono vietati. Ad oggi il nostro sistema di etichettatura non consente di sapere quale tipo di scelte agronomiche stanno dietro un prodotto in vendita nei negozi. Che fine farà il diritto del consumatore a sapere con precisione cosa sta mangiando? Dovrà diventare un esperto di normative produttive a livello internazionale? Già oggi parte del glifosato che troviamo nel piatto arriva dalle procedure di essiccazione del grano canadese che le nostre industrie acquistano per fare uno dei prodotti di maggiore rappresentatività nazionale, la pasta. Produttori di qualità e consumatori attenti si dedicano alle filiere 100% italiane. Vogliamo infittire la giungla delle preoccupazioni che una famiglia italiana deve avere quando va a fare la spesa?
4) Su 291 denominazioni di origine italiane, solo 41 verranno riconosciute dal Ceta. E le proporzioni delle indicazioni geografiche europee accettate sul totale sono simili. Questo a casa mia non si chiama rispetto, non si chiama parità. Servirà solo a far circolare in Italia prodotti canadesi con nomi simili alle nostre indicazioni geografiche, e a impedire che le medesime arrivino in Canada con il prestigio che si sono costruite.
5) Se ti devi confrontare “alla pari” con un prodotto che costa (alla produzione) molto meno del tuo, cercherai di ridurre i tuoi costi. Risparmierai su tutto il risparmiabile, ma alla fine ti troverai costretto a risparmiare sui diritti: di chi lavora per te, di chi acquista i tuoi prodotti, di un ambiente già sufficientemente vessato. L’Italia sta facendo scelte importanti sul fronte della lotta al lavoro nero, all’inquinamento, ai cambiamenti climatici: questo trattato vanificherebbe tanti di quegli sforzi.
Carlo Petrini
da La Repubblica del 22 giugno 2017
fonte: http://www.slowfood.it/ceta-made-italy/
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