lunedì 12 gennaio 2015

Anche Tsipras da Draghi per negoziare la fine della Grecia


Non è difficile comprendere ciò che accadrà in Grecia il 25 gennaio, allorché si voterà per eleggere il nuovo Parlamento dopo i tre scrutini non conclusivi in merito all’elezione del presidente della Repubblica, che si sono consumati in un lampo per la pervicace volontà del leader di “Nuova Democrazia”, Antonis Samaras, di portare il paese alle elezioni anticipate e vincerle dopo aver imposto alla nazione un funzionario dell’Ue come presidente, rassicurando così non tanto i fantomatici mercati, ma la Germania e la tecnocrazia europea sul fatto che nulla sarebbe mutato nel progetto di distruzione pressoché completa della società greca. Essa dovrebbe e potrebbe essere in tal modo consegnata (in ciò che di essa rimane) nelle mani del capitale finanziario internazionale che ne farebbe un’isola (sì!, il paradosso dell’isola delle tremila isole) per ricchi turisti e un’area di transito per le merci che dall’heartland passano per i Dardanelli e l’Egeo, pieno di petrolio e di gas.
Mario Draghi in questi mesi ha ricevuto più e più volte Samaras, come ha più e più volte ricevuto il principale protagonista dell’opposizione a questo progetto: il leader di “Syriza”, ossia il buon Alexis Tsipras, che propone un programma in generale assai moderato e tutto “nazionale”, ossia fondato non sul rifiuto dell’euro (così come dicono coloro che vogliono speculare sui ribassi da quasi-panico e lucrare poi guadagni nei rialzi che ne seguono inevitabilmente nelle borse), ma su una schedulazione del debito, ossia una sua gestione condivisa che certamente non può provocare contagio alcuno per la sua piccolezza: 300 miliardi circa di euro sono una bazzecola rispetto alla potenza di fuoco dell’oligopolio finanziario mondiale e dei bilanci degli attori del citato oligopolio, oltreché dell’indimenticabile dispensatrice di sogni mediatici, ossia la Bce con il suo presidente, fascinoso come un attor giovane settecentesco.
Ciò che è interessante, tuttavia, non è discettare sull’esito delle elezioni; infatti due cose sono certe: la vittoria di “Syriza” e l’impossibilità che essa avrà di formare un nuovo governo. Il che costringerà a una rinegoziazione del debito sub specie democratica in regime di emergenza. Questo se la Germania non si deciderà a scambiare condivisione di sovranità, e quindi di debito, con esistenza dell’euro. Nessuno vuole uscire dall’euro, ma l’unico modo per rimanervi è trattare e schedulare il debito. L’alternativa sarebbe l’occupazione militare del suolo greco, ma essa è impossibile. La soluzione sarà il congelamento della Grecia in un regime speciale di sorveglianza fiscale e finanziaria, com’è successo già diverse volte alla nazione greca, si ricorra o meno alle elezioni. Questo sarà possibile per ciò ch’io chiamo il paradigma greco. Paradigma analitico di cui mi sono convinto rileggendo il mio vecchio libro edito da Longam nel 1994 (“Southern Europe Since 1945: Tradition and Modernity in Portugal, Spain, Italy, Greece and Turkey”).
Occorre riflettere sulla storia greca e sulla dinamica della macchina partitica che già il mio vecchio amico Keith R. Legg, in “Politics in Modern Greece”, aveva magistralmente descritto ben prima di me, per comprendere ciò che succederà. Esiste tuttavia anche un’altra nazione greca, attiva sin dalle guerre civili che segnarono il decennio che va dal 1821 al 1830 e su cui Lord Byron scrisse pagine memorabili. È la nazione dell’altra diaspora, ossia dei milioni di poveri greci emigrati in tutto il mondo e quella che, invece, non emigra e che fonda la tradizione democratica e socialista e comunista greca che attraverserà una tribolata esistenza anch’essa plurisecolare. Alcune famiglie (i Papandreou ne sono l’esempio più eclatante e preclaro) anche in questo caso ne rappresentano il gruppo dirigente, sino a condividere con la diaspora plutocratica usi e costumi, mantenendo tuttavia nella nazione le fonti essenziali della costruzione del potere, a differenza dell’altra nazione diasporico-plutocratica.
Dalla dittatura di Metaxas negli anni Trenta del Novecento a quella dei colonnelli nel decennio Sessanta è tutto uno sgranarsi di conflitti in cui la Grecia è eterodiretta oppure fa immensi sforzi per liberarsi dall’eterodirezione. Come? Con politiche di ogni sorta, anche clientelari e assistenziali. Ma fa ciò anche il gruppo plutocratico estero, come ha dimostrato negli anni Novanta “Nuova Democrazia”, dominata allora dall’altra famiglia simbolo, i Karamanlis, con i brillanti risultati raggiunti truccando i conti e falsificando i bilanci dello Stato pur di entrare nell’euro. L’euro e la tecnocrazia antinazionale, del resto, è il regime più idoneo per l’ala plutocratica greca che si trova in tal modo a governare nel modo più consono alla sua storia che, come ho cercato di dimostrare, non è l’intera storia greca. Per questo le elezioni del gennaio 2015 sono così importanti nella storia europea. Perché lo sono in forma culturalmente cogente per l’intera storia greca e per i rapporti tra nazione e internazionalizzazione che sovradeterminano anche la storia di questa dimidiata “patria byroniana”.
Una vicenda del resto non dissimile in molti punti dalla storia italiana e che quindi noi dovremmo seguire con grande partecipazione intellettuale. Il paradigma è quello di una nazione a precocissima parlamentarizzazione e ad altrettanto precoce larghissimo suffragio che si crea dal basso con forti radici popolari e un’immensa eco culturale in tutto il mondo civilizzato dell’epoca Il popolo greco, contadini e intellettuali déraciné in primis, insorge contro i turchi nel 1821 e nel 1829 raggiunge l’autonomia dall’Impero ottomano per ottenere, dopo intestine lotte civili, l’indipendenza nel 1830. Certo, Francia, Regno Unito (a Londra si firmò la dichiarazione d’indipendenza, del resto) e Russia appoggiano questa lotta in funzione anti-ottomana, ma immediatamente il prezzo che la nazione paga è l’imposizione di un re bavarese, Ottone I. La lotta tra le opposte fazioni facilita questa sottomissione. Ottone rappresenta quel settore cosmopolita della società e della cultura greca: la sua plutocrazia oligarchica e diasporica. Ancora oggi gli armatori greci godono dalla clausola costituzionale – costituzionale, si badi bene! – per cui essi non pagano tasse e possono legalmente battere bandiere straniere pur considerandosi cittadini greci.
Ecco il mio paradigma. Il paradigma greco è quello di una nazione spaccata in due. L’oligarchia dominante che da più di due secoli esercita il potere di fatto è diasporica: ossia in Grecia, paradossalmente, laddove (se si appartiene alle classi alte) si studia, ci si forma e si domina la nazione è l’estero e non ciò che in altri contesti culturali è “la patria”. Si governa da più di due secoli la nazione, in primis, dai centri del capitale finanziario internazionale, non da Atene o da Salonicco. Un tempo solo da Londra, oggi anche da New York. Giova ricordare che la più interessante, libera e colta rivista greca, indispensabile per studiare e conoscere la Grecia, è edita a New York e il suo titolo è tutto un programma e un destino insieme, “Journal of Hellenic Diaspora”, una rivista di cui non si può far a meno, non solo per conoscere e seguire i problemi della Grecia, ma anche della regione turco-balcanica.
Non ci sono problemi reali di default europeo e, se ce ne fossero, per i greci sarebbe meglio di questa lenta agonia somministrata come brevi permanenze nei lager. Anche se l’arroganza di persone come il povero Wolfgang Schaeuble, le quali avvertono i greci che qualsivoglia sia la loro decisione di voto nulla cambierà rispetto ai dettati europei, ossia della Troika, è veramente da commiserare ed esprime in forma plastica e icastica che ciò che l’ordoliberalismus invera è la fine della democrazia e la sua trasformazione in un’oligarchia dei ricchi e dei potenti, ovvero una plutocrazia: quella forma di governo, insomma, tanto osteggiata dal grande Tocqueville, il quale, guarda caso, è uno dei pensatori meno citati di questi tempi. Con Schaeuble è quasi impossibile prendersela, ma con l’ordoliberalismus sì, e verrà il giorno in cui la miseria dei dioscuri della distruzione della società salterà agli occhi di tutti.
(Giulio Sapelli, “Il futuro dell’Italia è in Grecia”, da “Il Sussidiario” del 1° gennaio 2015).

Non è difficile comprendere ciò che accadrà in Grecia il 25 gennaio, allorché si voterà per eleggere il nuovo Parlamento dopo i tre scrutini non conclusivi in merito all’elezione del presidente della Repubblica, che si sono consumati in un lampo per la pervicace volontà del leader di “Nuova Democrazia”, Antonis Samaras, di portare il paese alle elezioni anticipate e vincerle dopo aver imposto alla nazione un funzionario dell’Ue come presidente, rassicurando così non tanto i fantomatici mercati, ma la Germania e la tecnocrazia europea sul fatto che nulla sarebbe mutato nel progetto di distruzione pressoché completa della società greca. Essa dovrebbe e potrebbe essere in tal modo consegnata (in ciò che di essa rimane) nelle mani del capitale finanziario internazionale che ne farebbe un’isola (sì!, il paradosso dell’isola delle tremila isole) per ricchi turisti e un’area di transito per le merci che dall’heartland passano per i Dardanelli e l’Egeo, pieno di petrolio e di gas.

Giulio SapelliMario Draghi in questi mesi ha ricevuto più e più volte Samaras, come ha più e più volte ricevuto il principale protagonista dell’opposizione a questo progetto: il leader di “Syriza”, ossia il buon Alexis Tsipras, che propone un programma in generale assai moderato e tutto “nazionale”, ossia fondato non sul rifiuto dell’euro (così come dicono coloro che vogliono speculare sui ribassi da quasi-panico e lucrare poi guadagni nei rialzi che ne seguono inevitabilmente nelle borse), ma su una schedulazione del debito, ossia una sua gestione condivisa che certamente non può provocare contagio alcuno per la sua piccolezza: 300 miliardi circa di euro sono una bazzecola rispetto alla potenza di fuoco dell’oligopolio finanziario mondiale e dei bilanci degli attori del citato oligopolio, oltreché dell’indimenticabile dispensatrice di sogni mediatici, ossia la Bce con il suo presidente, fascinoso come un attor giovane settecentesco.

TsiprasCiò che è interessante, tuttavia, non è discettare sull’esito delle elezioni; infatti due cose sono certe: la vittoria di “Syriza” e l’impossibilità che essa avrà di formare un nuovo governo. Il che costringerà a una rinegoziazione del debito sub specie democratica in regime di emergenza. Questo se la Germania non si deciderà a scambiare condivisione di sovranità, e quindi di debito, con esistenza dell’euro. Nessuno vuole uscire dall’euro, ma l’unico modo per rimanervi è trattare e schedulare il debito. L’alternativa sarebbe l’occupazione militare del suolo greco, ma essa è impossibile. La soluzione sarà il congelamento della Grecia in un regime speciale di sorveglianza fiscale e finanziaria, com’è successo già diverse volte alla nazione greca, si ricorra o meno alle elezioni. Questo sarà possibile per ciò ch’io chiamo il paradigma greco. Paradigma analitico di cui mi sono convinto rileggendo il mio vecchio libro edito da Longam nel 1994 (“Southern Europe Since 1945: Tradition and Modernity in Portugal, Spain, Italy, Greece and Turkey”).

Occorre riflettere sulla storia greca e sulla dinamica della macchina partitica che già il mio vecchio amico Keith R. Legg, in “Politics in Modern Greece”, aveva magistralmente descritto ben prima di me, per comprendere ciò che succederà. Esiste tuttavia anche un’altra nazione greca, attiva sin dalle guerre civili che segnarono il decennio che va dal 1821 al 1830 e su cui Lord Byron scrisse pagine memorabili.

È la nazione dell’altra diaspora, ossia dei milioni di poveri greci emigrati in tutto il mondo e quella che, invece, non emigra e che fonda la tradizione democratica e socialista e comunista greca che attraverserà una tribolata esistenza anch’essa plurisecolare. Alcune famiglie (i Papandreou ne sono l’esempio più eclatante e preclaro) anche in questo caso ne rappresentano il gruppo dirigente, sino a condividere con la diaspora plutocratica usi e costumi, mantenendo tuttavia nella nazione le fonti essenziali della costruzione del potere, a differenza dell’altra nazione diasporico-plutocratica.

ByronDalla dittatura di Metaxas negli anni Trenta del Novecento a quella dei colonnelli nel decennio Sessanta è tutto uno sgranarsi di conflitti in cui la Grecia è eterodiretta oppure fa immensi sforzi per liberarsi dall’eterodirezione. Come? Con politiche di ogni sorta, anche clientelari e assistenziali. Ma fa ciò anche il gruppo plutocratico estero, come ha dimostrato negli anni Novanta “Nuova Democrazia”, dominata allora dall’altra famiglia simbolo, i Karamanlis, con i brillanti risultati raggiunti truccando i conti e falsificando i bilanci dello Stato pur di entrare nell’euro. L’euro e la tecnocrazia antinazionale, del resto, è il regime più idoneo per l’ala plutocratica greca che si trova in tal modo a governare nel modo più consono alla sua storia che, come ho cercato di dimostrare, non è l’intera storia greca. Per questo le elezioni del gennaio 2015 sono così importanti nella storia europea. Perché lo sono in forma culturalmente cogente per l’intera storia greca e per i rapporti tra nazione e internazionalizzazione che sovradeterminano anche la storia di questa dimidiata “patria byroniana”.

Una vicenda del resto non dissimile in molti punti dalla storia italiana e che quindi noi dovremmo seguire con grande partecipazione intellettuale. Il paradigma è quello di una nazione a precocissima parlamentarizzazione e ad altrettanto precoce larghissimo suffragio che si crea dal basso con forti radici popolari e un’immensa eco culturale in tutto il mondo civilizzato dell’epoca Il popolo greco, contadini e intellettuali déraciné in primis, insorge contro i turchi nel 1821 e nel 1829 raggiunge l’autonomia dall’Impero ottomano per ottenere, dopo intestine lotte civili, l’indipendenza nel 1830. Certo, Francia, Regno Unito (a Londra si firmò la dichiarazione d’indipendenza, del resto) e Russia appoggiano questa lotta in funzione anti-ottomana, ma immediatamente il prezzo che la nazione paga è l’imposizione di un re bavarese, Ottone I. La lotta tra le opposte fazioni facilita questa sottomissione. Ottone rappresenta quel settore cosmopolita della società e della cultura greca: la sua plutocrazia oligarchica e diasporica. Ancora oggi gli armatori greci godono dalla clausola costituzionale – costituzionale, si badi bene! – per cui essi non pagano tasse e possono legalmente battere bandiere straniere pur considerandosi cittadini greci.

Andreas PapandreouEcco il mio paradigma. Il paradigma greco è quello di una nazione spaccata in due. L’oligarchia dominante che da più di due secoli esercita il potere di fatto è diasporica: ossia in Grecia, paradossalmente, laddove (se si appartiene alle classi alte) si studia, ci si forma e si domina la nazione è l’estero e non ciò che in altri contesti culturali è “la patria”. Si governa da più di due secoli la nazione, in primis, dai centri del capitale finanziario internazionale, non da Atene o da Salonicco. Un tempo solo da Londra, oggi anche da New York. Giova ricordare che la più interessante, libera e colta rivista greca, indispensabile per studiare e conoscere la Grecia, è edita a New York e il suo titolo è tutto un programma e un destino insieme, “Journal of Hellenic Diaspora”, una rivista di cui non si può far a meno, non solo per conoscere e seguire i problemi della Grecia, ma anche della regione turco-balcanica.

Non ci sono problemi reali di default europeo e, se ce ne fossero, per i greci sarebbe meglio di questa lenta agonia somministrata come brevi permanenze nei lager. Anche se l’arroganza di persone come il povero Wolfgang Schaeuble, le quali avvertono i greci che qualsivoglia sia la loro decisione di voto nulla cambierà rispetto ai dettati europei, ossia della Troika, è veramente da commiserare ed esprime in forma plastica e icastica che ciò che l’ordoliberalismus invera è la fine della democrazia e la sua trasformazione in un’oligarchia dei ricchi e dei potenti, ovvero una plutocrazia: quella forma di governo, insomma, tanto osteggiata dal grande Tocqueville, il quale, guarda caso, è uno dei pensatori meno citati di questi tempi. Con Schaeuble è quasi impossibile prendersela, ma con l’ordoliberalismus sì, e verrà il giorno in cui la miseria dei dioscuri della distruzione della società salterà agli occhi di tutti.


(Giulio Sapelli, “Il futuro dell’Italia è in Grecia”, da “Il Sussidiario” del 1° gennaio 2015).

fonte: http://www.libreidee.org/2015/01/anche-tsipras-da-draghi-per-negoziare-la-fine-della-grecia/

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