venerdì 16 gennaio 2015

Balcani e Asia centrale, future arterie d’Eurasia

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Come la Via della Seta nei Balcani può resuscitare South Stream


La Cina estende la Via della Seta ai Balcani, con un progetto per costruire una ferrovia dal porto greco del Pireo a Budapest. Collegando la principale via d’ingresso dei beni commerciali di Pechino a una delle principali arterie dei trasporti dell’Europa centrale, spinge la Via della Seta nel cuore dell’Europa e nel resto del continente. Come nel resto del mondo, dall’azione della Cina non è scontato che la Russia ne tragga benefici in quanto parte del partenariato strategico globale russo-cinese, ma in questo caso permetterebbe la risurrezione del progetto South Stream, che tutti i partner europei implorano dalla sua cancellazione.


Il gioco
Esiste la possibilità che South Stream rinasca su una rotta leggermente modificata, seguendo la ferrovia cinese che attraversa Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria. Ci sarebbero poche difficoltà giuridiche con serbi e ungheresi (Budapest è già decisa a sfidare i dettami dell’UE), e la Macedonia non-UE, che non sarebbero legati ai mandati di Bruxelles riguardanti il fastidioso Terzo Pacchetto dell’Energia, lasciando sola la Grecia e la sua adesione all’Unione europea quale principale ostacolo al progetto. Vi sono tuttavia, due grandi scommesse che possono cambiare l’equazione consentendo la costruzione di South Stream in territorio greco:

Una completa ‘Grexit':
Se la Grecia si ritira completamente dall’UE, non solo dall’EuroZone ma da tutto il contorto sistema che lo supporta, allora non sarebbe sottoposta al Terzo Pacchetto sull’Energia e la costruzione di South Stream potrebbe teoricamente riprendere quasi subito, una volta raggiunto l’accordo con Atene. Naturalmente, ciò è lo scenario più estremo e non appare all’orizzonte, ma con molti attivisti ancora in armi e la rabbia collettiva in crescita, la situazione può sconfinare nella ripetizione delle violenze del 2012, in particolare se l’Unione europea attuasse una sorta di ‘punizione’ asimmetrica contro una ‘Grexit’ economica. Ciò potrebbe causare molti effetti collaterali non intenzionali che potrebbero fare apparire la piena ‘Grexit’ assai mite al confronto.

Il partenariato strategico russo-turco:
L’alternativa più probabile al risorgere del South Stream sarebbe il partenariato strategico russo-turco coordinato nel settore energetico dei Balcani. In particolare, è previsto una soluzione strutturale che evita i vincoli del Terzo Pacchetto sull’Energia separando tecnicamente il fornitore dal distributore, per cui la Russia continuerebbe a fornire gas, ma attraverso una società turca. Mosca dovrebbe attuare tale mossa importante solo se sicura di Ankara, potendo fidarsi senza ripetere lo scenario ucraino; il che significherebbe che la Turchia dovrebbe comprendere correttamente gli immensi benefici (economici, politici, strategici) che tale condominio comporterebbe e il danno ai propri interessi che ne risulterebbero se sabotasse l’operazione. 

Tale partenariato strategico russo-turco, presupposto necessario per questo scenario, potrebbe essere già in divenire. La Turchia ha dichiarato con forza il suo orientamento multipolare accettando di ospitare il New South Stream, in primo luogo, e se un accordo russo-turco sarà raggiunto sulla Siria (e la Turchia mostra alcuni vaghi segnali), una partnership strategica potrebbe essere il prossimo passo logico. Per quanto sorprendente tale racconto possa sembrare ad alcuni lettori, non va ignorato dato che la Turchia è attualmente oggetto di un mutamento d’identità e consapevolezza geopolitica, e la transizione globale verso il multipolarismo ha un forte effetto sul futuro calcolo della sua leadership.

Lanciare la sfida
A condizione di una decisione per far risorgere South Stream sulla rotta greco-macedone, vi sono due questioni che potrebbero minacciare la sopravvivenza del progetto e che possono realisticamente essere aggravate dalle forze occidentali nel perseguimento dei loro scopi anti-russi:

Nazionalismo greco:
Non importa quale forma assuma, che sia la retorica di sinistra di Syriza o di destra di Alba Dorata, la Grecia è sempre più nazionalista e questo fa presagire un problema importante per qualsiasi futura risurrezione di South Stream.

Contro la Turchia:
Grecia e Turchia sono state storicamente acerrime rivali, e le controversie irrisolte su isole dell’Egeo e Cipro del nord sono gravi ostacoli a un’ampia cooperazione, come il ripristino di South Stream. Tali problemi possono essere facilmente manipolati da forze estere producendo un ancora più forte sentimento anti-turco che renderebbe qualsiasi accordo greco-turca politicamente impossibile per Atene. Naturalmente, la Pipeline Trans-Adriatico per trasportare una moderata quantità di gas azero nel Sud Europa attraverso Turchia e Grecia ha la stessa vulnerabilità socio-politica, ma poiché è pienamente sostenuta da Stati Uniti e Unione europea, i capi della Grecia faranno il possibile affinché non sia vittima di eventuali reazioni nazionaliste contro il progetto russo.

Contro la Macedonia:
Il secondo fronte in cui il nazionalismo greco rischia di far deragliare qualsiasi rilancio del South Stream è la Macedonia, impegnata nell’aspra disputa sul suo nome con Atene fin dalla nascita dell’ex-Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale. La polemica ha raggiunto un tale livello che ha impedito l’avvicinamento della Macedonia a UE e NATO (quest’ultima esercita il protettorato non ufficiale sul Paese dall”Operation Essential Harvest’ del 2001), sviluppi che avrebbero avuto conclusioni scontate se non ci fosse stata la controversia. Non si sa esattamente quale piega la resistenza greca al passaggio macedone del gasdotto possa prendere, ma considerando la gravità dei sentimenti greci sul problema (e una campagna ventennale nel Paese per impedire l’integrazione della Macedonia con altri soggetti a dispetto dei “vantaggi”), non è sicuro che tutto ciò possa prevedibilmente adattarsi a questi piani.

Nazionalismo albanese:
Il secondo impedimento principale al ripristino di South Stream è il nazionalismo albanese, che presenta una delle maggiori minacce alla sicurezza europea dato che l’alleanza con la NATO potrebbe essere attivata in caso di conflitto con Serbia o Macedonia. Rispetto a quest’ultima, gli albanesi formano quasi un quarto della popolazione del Paese e hanno una rappresentanza politica privilegiata a seguito dell’accordo di Okhrid steso dalla NATO che concluse l’operazione ‘Essential Harvest’. Con tale accordo, la maggior parte dei processi politici in Macedonia devono avere l’approvazione di oltre la metà dei rappresentanti delle minoranze del Paese (che hanno garantita una rappresentanza proporzionale dallo stesso documento), in tal senso la minoranza albanese può sostanzialmente tenere in ostaggio la volontà della popolazione maggioritaria se loro o i loro padroni della NATO a Tirana, lo vogliono. Non solo, ma gravi disordini etnici o attacchi terroristici, come nei primi mesi del 2001, potrebbero derivarne. L’anno scorso ha ricordato ai macedoni la fragilità delle relazioni etniche del proprio Paese dopo che gli albanesi si ribellarono a Skopje per la decisione su un controverso caso giudiziario. 

Sei albanesi sono stati giudicati colpevoli per l’attacco terroristico in cui uccisero cinque macedoni, durante la Pasqua ortodossa nel 2012, mettendo in evidenza i timori della nazione sulla radicalizzazione della minoranza in questi ultimi anni. Il nazionalismo albanese ribolle in Macedonia, e un ex-politico radicale ha persino tentato di dichiarare la ‘Repubblica Illirida’ indipendente degli albanesi a settembre, intendendo formare un nuovo Stato federale. Anche se non preso sul serio, al momento, vi sono preoccupazioni che possa avere grande sostegno in futuro, se la situazione continua a degenerare e una ripetizione degli eventi del Kosovo non è certamente esclusa. E’ facile immaginare uno scenario in cui l’Albania supportata dalla NATO persuada gli albanesi di oltreconfine ad effettuare con precisione tale piano ostacolando ogni futuro tentativo russo di far risorgere South Stream lungo la Via della Seta cinese balcanica nel Paese.

La Cina scommette sui Balcani
Per quanto impegnative appaiano tali minacce, non sono insormontabili e la chiave per superarle riposa nella Cina. L’enorme quantità di denaro che il Paese può usare promuovendo legami commerciali con tutto il mondo (soprattutto in Africa) gli ha guadagnato la reputazione di appianare quasi qualsiasi differenza politica immaginabile tra i suoi partner. Non sarebbe diverso nel cercare di usare i Balcani quale testa di ponte per la conquista del mercato europeo. Essendo il ‘mediatore’ tra gli ‘attori’ dei Balcani, Russia e Turchia, la Cina può contribuire a spingere tutti a raggiungere il più possibile una pacifica soluzione, cui dovrebbe avere interesse (e sembra discutibilmente averne). Capitale e investimenti cinesi (finanziando anche politici estremi potenziali sobillatori) potrebbero lenire gli effetti del nazionalismo reazionario in Grecia e Albania, che Pechino corteggia negli ultimi anni. 

La Grecia, come detto all’inizio dell’articolo, ha il porto del Pireo che accoglie la maggior parte delle merci cinesi che entrano in Europa, e Cina e Albania hanno recentemente cercato di riavviare i loro legami con programmi culturali, dei trasporti e agricoli ripristinando il rapporto dell’era della Guerra Fredda. prima della rottura sino-albanese nel 1978. Attraverso tali partnership profonde e in sviluppo, la Cina può esercitare un’influenza moderatrice sui Paesi dei Balcani impedendo ad essi o agli estremisti, d’impedire la ripresa del South Stream lungo la Via della Seta balcanica che Pechino costruisce sul loro territorio. Non è una panacea a tutte le provocazioni eterodirette, ma forza e successo del partenariato strategico russo-cinese finora (e l’importanza accresciuta nelle condizioni attuali), probabilmente stabilizzeranno la regione, se si decidesse di continuare il Souht Stream. in futuro.

Successo o perdita di tempo
Il potenziale collegamento russo-cinese-turco nei Balcani è una scommessa che probabilmente porterà dividendi solo a coloro che avranno il coraggio di giocare, scommettendo sul mondo multipolare contro quello unipolare. Il primo ha interesse nel vedere South Stream re-inserirsi nei Balcani, mentre il secondo sarebbe più che felice del suo fallimento. La seguente valutazione è tratta dal punto di vista della multipolarità:

Colpo grosso:
Il ristabilimento del progetto South Stream, anche se attraverso Grecia e Macedonia, invece della Bulgaria, porterebbe a un partenariato strategico russo-turco che interagirebbe e stabilizzerebbe i Balcani similmente all’accordo russo-cinese con l’Asia centrale. Ciò dipende in fondo da Russia e Turchia nell’influenzare i rispettivi ambiti religiosi e di civiltà, con la Russia che influenza gli ortodossi (ad eccezione della Romania, anche se temprare pragmaticamente i politici recalcitranti e la mentalità della società è sicuramente un obiettivo a lungo termine) mentre la Turchia influenza i musulmani in Albania e Bosnia. La Cina avrebbe la supervisione finanziaria del rapporto e rapporti privilegiati data la sua distanza storica dai Balcani e l’assenza di un passato contaminato o avvantaggiato. Il denaro potrebbe ingrassare eventuali snodi del ‘motore’ russo-turco e agevolare l’entrata delle grandi potenze multipolari in Europa attraverso i Balcani, affrontando direttamente il mondo unipolare occidentale sul proprio cortile.

Grande perdita di tempo:
Al contrario, una grande strategia del genere è assai rischiosa, con Stati Uniti e NATO che mai ne permetterebbero la riuscita senza attuare il massimo sforzo contrario possibile. Inizierebbero in Anatolia tramite l”Operazione per abbattere la Turchia’, nome dato dall’autore al piano degli Stati Uniti CEU952 per smembrare geopoliticamente la Turchia se mai ne perdesse il controllo e si allontanasse radicalmente dal consensus unipolare occidentale (stabilendo un legame russo-cinese-turco nei Balcani, anche senza lasciare formalmente la NATO). La carta curda è l’opzione più prevedibile, date le enormi implicazioni geografiche e demografiche; sicuramente una minaccia esistenziale che Ankara deve considerare con serietà. Se tale pericolo venisse mitigato, il fronte anti-multipolare si ritirerebbe lungo il tracciato del gasdotto proposto, attivando la resistenza della ‘terra bruciata’ sulla sua scia. La seconda fase potrebbe essere una crisi nelle relazioni turco-greche per mettere in pericolo l’adesione internazionale al gasdotto, ma se ciò venisse superato o evitato, allora il problema greco-macedone sarebbe la prossima contesa. Continuando, se il gasdotto entrasse nel Paese slavo meridionale, gli albanesi potrebbero essere incentivati ad intraprendere una massiccia campagna di destabilizzazione che potrebbe fare del Paese il buco nero dei Balcani. 

Spostandosi verso nord, la retorica estremista euro-atlantica di Sarajevo potrebbe essere utilizzata con intenzionale provocazione tentando la secessione della Republika Srpska dalla Bosnia-Erzegovina, il che destabilizzerebbe i Balcani occidentali e potrebbe trascinare la Serbia in un nuovo conflitto o nell’isolamento internazionale. Infine, l’occidente potrebbe bloccare il ‘collo di bottiglia’, abbattendo l’ungherese Viktor Orban con una rivoluzione colorata e sostituendolo con un liberal-nazionalista (tipo Navalnij) che contemporaneamente ripristinerebbe il corso filo-occidentale del Paese, infiammando le tensioni etniche con la minoranza serbo-ungherese della Vojvodina. Tutto sommato, a meno di una grande guerra tra mondi unipolare e multipolare, il primo userà qualsiasi insidia e mezzo indiretto possibile per prolungare la propria egemonica e impedire all’altro di entrare nel ventre geopoliticamente vulnerabile dell’Europa, i Balcani.

Conclusioni
Uno dei principi centrali del partenariato strategico russo-cinese è che dove va uno, l’altro segue, e certamente sarà così nei Balcani, passaggio della Via della Seta costruita da Pechino collegando la Grecia all’Ungheria. La Russia ha l’occasione unica per rilanciare il gasdotto South Stream (completando l’impianto LNG in Turchia) facendolo passare da Grecia e Macedonia lungo la Via della Seta balcanica, fino allo snodo serbo originariamente previsto prima che il progetto venisse rottamato. Tale visione richiederebbe un partenariato strategico russo-turco a completamento di quello russo-cinese e, infine, un condominio trilaterale sui Balcani verrebbe creato a sostegno del piano. Naturalmente, il mondo unipolare non subirebbe tale affronto geopolitico con un sorriso e respingerebbe il progetto con ogni mezzo asimmetrico disponibile. Se Russia-Cina-Turchia decidessero di giocare il destino del mondo multipolare nei Balcani, lo troverebbero certamente un rischio che vale la pena prendere, sbarazzandosi infine dell’occidentale.

Andrew Korybko (USA) Oriental Review

Andrew Korybko è analista politico e giornalista presso Sputnik, vive e studia a Mosca, in esclusiva per Oriental Review.

Balkan

Il potenziale dell’Uzbekistan nel commercio transfrontaliero

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L’Uzbekistan si trova al centro dell’Asia centrale e confina con tutti i Paesi dell’Asia centrale e l’Afghanistan; inoltre, è relativamente vicino ai vari mercati dell’Asia in prodigiosa via di sviluppo.  Tuttavia, l’Uzbekistan è lento ad abbracciare o propugnare significativi programmi di trasporto regionale, trattenendo così il Paese dal divenire un hub di transito eurasiatico. Eppure, alcuni grandi progetti di trasporto che coinvolgono l’Uzbekistan sono attualmente in varie fasi di pianificazione. Il progetto ferroviario Uzbekistan-Kirghizistan-Cina ha da tempo, a livello presidenziale, il sostegno di due dei tre Paesi del corridoio ferroviario. I presidenti di Uzbekistan e Cina, Islam Karimov e Xi Jinping, rispettivamente, spesso chiedono di accelerare l’attuazione del progetto nei loro frequenti incontri, e dicono che i loro Paesi sono pronti ad iniziarne la costruzione in qualsiasi momento.  L’ultima appello si è avuto durante il viaggio del Presidente Karimov in Cina nell’agosto 2014 (Xinhuanet 19 agosto 2014). Il presidente del Kirghizistan Almazbek Atambaev annunciò nel 2013 che la ferrovia sarebbe stata utile solo all’Uzbekistan e il Kirghizistan non vi avrebbe partecipato. Ma l’inviato di Xi Jinping, Yang Jiechi, ha visitato Atambaev questo mese (gennaio 2015), spingendo il leader del Kirghizistan a cambiare atteggiamento verso il progetto (Kyrtag, 9 gennaio 2015). Se la visita darà frutti, permetterà alla ferrovia Uzbekistan-Kirghizistan-Cina di superare la fase concettuale. 

Il Kirghizistan ha ormai chiarito l’interesse a costruire la tratta Cina-Kirghizistan della ferrovia, e ulteriori negoziati sono in programma per quest’anno (Azattyk, 9 gennaio 2015). Tuttavia, con il Kirghizistan sotto la stretta sorveglianza della Russia in quanto membro dell’Unione eurasiatica di Mosca, eventuali negoziati sul progetto ferroviario coinvolgenti Bishkek, molto probabilmente coinvolgeranno anche Mosca. Dato che la Russia vede la ferrovia Uzbekistan-Kirghizistan-Cina concorrente al corridoio sul territorio russo, permettendo alla Cina d’inviare merci in Europa (Review.uz, 25 dicembre 2014), vi sono motivi per ritenere che la Russia tenti di controllare pesantemente il progetto, assumendo che il Cremlino ne permetta la realizzazione. Tuttavia, sembra che la Cina ne sia particolarmente interessata e sia pronta a negoziati con il Kirghizistan e, molto probabilmente, con la Russia, garantendo il successo della tratta ferroviaria. Data la rilevanza economica della Cina per Asia centrale e Russia, il pieno appoggio di Pechino basterebbe a completare il progetto ferroviario Uzbekistan-Kirghizistan-Cina.

Nel frattempo, l’Uzbekistan lavora allo sviluppo di relazioni più strette con i suoi vicini meridionali e accordi intergovernativi sono stati sottoscritti su un corridoio dei trasporti con Turkmenistan, Iran e Oman, ad agosto 2014 (Uzdaily, 7 agosto 2014). L’Iran è entusiasta del progetto e ha già proposto d’inviare petrolio all’Uzbekistan tramite tale rotta nord-sud. Teheran promette di spedire un milione di tonnellate di petrolio all’anno “attraverso il corridoio Uzbekistan-Turkmenistan-Iran-Oman” per coprire gli approvvigionamenti che l’Uzbekistan importa normalmente da Kazakistan e Russia, secondo l’ambasciatore dell’Iran in Uzbekistan Ali Mardani Fard (12news, 13 agosto 2014). L’ambasciatore Fard ha anche aggiunto che l’Uzbekistan è al centro  dell’Asia centrale e l’Iran offre il modo “più rapido, sicuro ed economico” di accedere ai mercati di Golfo Persico e Mar d’Oman. La ferrovia Uzbekistan-Turkmenistan-Iran-Oman, ha affermato il diplomatico iraniano, è “il presupposto più importante allo sviluppo delle relazioni economiche tra Iran e Uzbekistan” (Trend.az, 11 febbraio 2014). 

Tuttavia, il motivo principale dell’entusiasmo dell’Iran per la ferrovia potrebbe essere la possibilità di far accedere le materie prime iraniane nel mercato cinese attraverso l’Asia centrale. Inoltre, Teheran sicuramente cerca d’influenzare politicamente l’Asia centrale e di rafforzarvi la propria influenza (Review.uz, 25 dicembre 2014). Numerose simili vie di trasporto e commerciali regionali strategiche si sviluppano con il patrocinio del Turkmenistan. Ad esempio, la ferrovia Iran-Turkmenistan-Kazakhstan (parte del cosiddetto Corridoio internazionale Nord-Sud), avviata nel dicembre 2014, ha già portato alla sottoscrizione di importanti accordi d’import-export tra i vicini regionali (IRIB 15 ottobre 2014). Altri corridoi commerciali emergenti sono la ferrovia Turkmenistan-Afghanistan-Tagikistan, che sarà terminata entro la fine di quest’anno (Centralasiaonline.com 5 gennaio 2015), e il proposto progetto Afghanistan-Turkmenistan-Azerbaigian-Georgia-Turchia (Trend.az 17 novembre 2014). 

Quindi data la posizione geografica centrale dell’Uzbekistan, ricco capitale umano e di potenziale, perché il Paese, ad oggi, non s’è  interessato di più alla rete dei trasporti regionali? Secondo Bakhtijor Ergashev, del Centro per la ricerca economica (Uzbekistan), in primo luogo la politica dell’Uzbekistan di sostituzione delle importazioni rende la repubblica dell’Asia centrale una meta poco desiderabile per le merci estere, a causa degli elevati dazi su importazioni e transito merci e le complesse norme doganali ed altri regolamenti. In secondo luogo, le infrastrutture dei trasporti dell’Uzbekistan rimangono sottosviluppate; gli investimento attualmente vengono incanalati verso la ristrutturazione di ferrovie e autostrade esistenti, mentre la costruzione di infrastrutture ausiliarie è in ritardo. In terzo luogo, i principali nodi stradali internazionali in Uzbekistan si concentrano nelle grandi città, senza ridurre i costi dei trasporti. In quarto luogo, la maggior parte delle strade in Uzbekistan non sono idonee al carico assiale internazionale standard di 13 tonnellate. Piuttosto sono adatte a un carico assiale di 10 tonnellate, cosa che causa l’usura veloce delle strade (Review.uz, 25 dicembre 2014). A conferma di tali problemi, tra l’altro, nel 2014 l’Uzbekistan fu posto ultimo sui 189 Paesi esaminati sulla facilità di passaggio delle frontiere, secondo la relazione annuale Doing Business della Banca Mondiale (Doingbusiness.org, 29 ottobre 2014).

I Paesi dell’Asia centrale saranno integrati nelle grandi reti commerciali internazionali nel prossimo decennio, attraverso lo sviluppo dei diversi nuovi corridoi. La ferrovia Iran-Turkmenistan-Kazakistan è già avviata e gli incipienti corridoi Uzbekistan-Turkmenistan-Iran-Oman, Turkmenistan-Afghanistan-Tajikistan e Afghanistan-Turkmenistan-Azerbaijan-Georgia gettano le basi future del trasporto e del commercio. Escluso dalla maggior parte dei grandi progetti di trasporto regionale, l’Uzbekistan nel frattempo si limita allo sviluppo del trasporto e ferroviario nel Paese che, se preso in considerazione, diverrebbe precursore del traffico transfrontaliero futuro. Oggi lo sviluppo industriale ed economico generale e l’aumento del tasso di crescita annuale, sono le priorità del governo dell’Uzbekistan. Ciò porta a concludere che il Paese probabilmente non sia interessato a divenire il leader regionale nei trasporti. Il Turkmenistan, invece, sembra cogliere la possibilità di assumere e mantenere tale ruolo.

Umida Hashimova, The Jamestown Foundation, 14 gennaio 2015 – The Modern Tokyo Times


 
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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