sabato 3 gennaio 2015

Libertà di espressione, avanti con cautela

Libertà di espressione, avanti con cautela

I fatti sono ormai noti: la Sony Pictures Entertainment ha prodotto un film, “The interview” in cui la figura del leader coreano Kim Jung Un viene ridicolizzata (secondo alcuni è ugualmente messa in ridicolo la dichiarata volontà americana di esportare nel mondo la propria concezione di democrazia).
 
Il regime coreano, indignato ed offeso, minaccia gravi atti non meglio precisati contro la Sony e, di conseguenza, quest’ultima lo rende pubblico e annuncia di non mettere il film in distribuzione. A fronte delle prime proteste contro la censura e alle dichiarazioni d condanna per aver ceduto al ricatto, la Sony afferma, in un primo tempo, che la responsabilità non e’ sua ma delle sale cinematografiche che non lo vogliono programmare. Poi, in un secondo tempo, decide invece di distribuirlo ad almeno 300 cinema anziché ai 2000 inizialmente previsti. Nel frattempo i siti internet nelle Sony erano stati violati con sottrazione di documenti riservati e, dopo l’uscita del film, sono state attaccate anche le piattaforme Sony delle Play Station.

Fin qui l’accaduto.

Ma i problemi che si pongono alla nostra attenzione sono due: uno consiste nel vecchio dibattito su fino a quale limite possa spingersi la satira politica e se quei limiti debbano essere gli stessi per i fatti interni o per quanto riguardi Capi di Stato stranieri. Il secondo sta in ciò che ci sembra un’ipocrisia che, da sempre, accompagna dibattiti di questo genere.
In tutto il mondo occidentale è normale che i politici siano mesi alla berlina e in ogni Stato non dittatoriale si sprecano vignette, filmati e satire di tutti i generi sui leader del momento. 

In Italia, l’ultimo di questo genere è il programma di Crozza su LA 7 che nessuno contestarne in nome della libertà di stampa e della stessa satira. Si può affermare che succeda la stessa cosa per programmi similari (e magari anche più “cattivi”) in altri Paesi. Di solito, però, si e’ ovunque un po’ più attenti con situazioni di Stati stranieri, per quanto personaggi come la Cancelliera Merkel, Hollande e l’”abbronzato” Obama non siano certo stati immuni alle prese in giro anche fuori dai loro stessi confini.

Che quindi si faccia ovunque satira e’ assodato ma fino a dove ci si possa spingere nel mettere alla berlina personaggi pubblici è sempre un caso aperto e anche questo film su Kim Jong Un può essere giudicato come una antipatica ingerenza in e mancanza di rispetto o, invece, lo si può considerare come una delle tante forme di libertà di espressione.

La cosa più discutibile che deve però far riflettere tutti coloro che si sono indignati per l’accettazione della censura, a partire da Obama, e per la suscettibilità dei coreani arrivata al punto dall’esprimere minacce e compiere atti d sabotaggio è come mai si sia tutti così pronti a difendere le nostre libertà di espressione nel caso di questo dittatore e non ci sia (e non ci sia stato) lo stesso comportamento indignato e le stesse reazioni coraggiose quando qualche altro “artista” ha osato fare della satira su Maometto e su consuetudini della religione islamica. Ricordate cosa successe al disegnatore danese e alla testata per cui lavorava quando si permisero di pubblicare vignette leggermente (ai nostri occhi) satiriche sul grande Profeta?

Ci troviamo anche qui ad esercitare l’ormai famoso “doppio standard” di giudizio ? In alcuni casi tutto è permesso, legittimo,doveroso, affermazione di libertà e di democrazia mentre, in altri casi, le stesse modalità di espressione vengono giudicate inopportune, inaccettabili, antidemocratiche. (Non stiamo evidentemente, alludendo soltanto ad opere artistiche).
La realtà è che, nel caso della Corea del Nord, i veri motivi della nostra reazione stanno nell’opportunità politica. 

Se i coreani avessero potuto manifestare nelle nostre piazze, se avessero incendiato, ucciso, minacciato la nostra tranquillità sociale, probabilmente qualcuno avrebbe parlato, anche a proposito di questo film, di cattivo gusto, di esagerazioni, e della necessità di porre un freno perfino alle “libere espressioni”. Ma, a differenza degli islamici, Kim Jong Un non ha proseliti fanatici al di fuori del suo Paese e si e’ limitato ad attaccare la Sony. E quindi Maometto no ma quel dittatore lo si può satireggiare in nome delle nostre libertà. E’ legittimo avere questo contradditorio atteggiamento?

In nome del realismo politico, probabilmente sì. Purché si abbia anche il coraggio di ammettere con noi stessi le vere ragioni del nostro duplice comportamento e si rinunci all’ipocrisia. Diciamocelo: alla nostra libertà di espressione ci teniamo molto ma “adelante Pedro, con juicio!”


Mario Sommossa


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