Il regime coreano, indignato ed offeso, minaccia
gravi atti non meglio precisati contro la Sony e, di conseguenza,
quest’ultima lo rende pubblico e annuncia di non mettere il film in
distribuzione. A fronte delle prime proteste contro la censura e alle
dichiarazioni d condanna per aver ceduto al ricatto, la Sony afferma, in
un primo tempo, che la responsabilità non e’ sua ma delle sale
cinematografiche che non lo vogliono programmare. Poi, in un secondo
tempo, decide invece di distribuirlo ad almeno 300 cinema anziché ai
2000 inizialmente previsti. Nel frattempo i siti internet nelle Sony
erano stati violati con sottrazione di documenti riservati e, dopo
l’uscita del film, sono state attaccate anche le piattaforme Sony delle
Play Station.
Fin qui l’accaduto.
Ma
i problemi che si pongono alla nostra attenzione sono due: uno consiste
nel vecchio dibattito su fino a quale limite possa spingersi la satira
politica e se quei limiti debbano essere gli stessi per i fatti interni o
per quanto riguardi Capi di Stato stranieri. Il secondo sta in ciò che
ci sembra un’ipocrisia che, da sempre, accompagna dibattiti di questo
genere.
In tutto il mondo occidentale è normale che i
politici siano mesi alla berlina e in ogni Stato non dittatoriale si
sprecano vignette, filmati e satire di tutti i generi sui leader del
momento.
In Italia, l’ultimo di questo genere è il programma di Crozza
su LA 7 che nessuno contestarne in nome della libertà di stampa e della
stessa satira. Si può affermare che succeda la stessa cosa per programmi
similari (e magari anche più “cattivi”) in altri Paesi. Di solito,
però, si e’ ovunque un po’ più attenti con situazioni di Stati
stranieri, per quanto personaggi come la Cancelliera Merkel, Hollande e
l’”abbronzato” Obama non siano certo stati immuni alle prese in giro
anche fuori dai loro stessi confini.
Che quindi si
faccia ovunque satira e’ assodato ma fino a dove ci si possa spingere
nel mettere alla berlina personaggi pubblici è sempre un caso aperto e
anche questo film su Kim Jong Un può essere giudicato come una
antipatica ingerenza in e mancanza di rispetto o, invece, lo si può
considerare come una delle tante forme di libertà di espressione.
La
cosa più discutibile che deve però far riflettere tutti coloro che si
sono indignati per l’accettazione della censura, a partire da Obama, e
per la suscettibilità dei coreani arrivata al punto dall’esprimere
minacce e compiere atti d sabotaggio è come mai si sia tutti così pronti
a difendere le nostre libertà di espressione nel caso di questo
dittatore e non ci sia (e non ci sia stato) lo stesso comportamento
indignato e le stesse reazioni coraggiose quando qualche altro “artista”
ha osato fare della satira su Maometto e su consuetudini della
religione islamica. Ricordate cosa successe al disegnatore danese e alla
testata per cui lavorava quando si permisero di pubblicare vignette
leggermente (ai nostri occhi) satiriche sul grande Profeta?
Ci
troviamo anche qui ad esercitare l’ormai famoso “doppio standard” di
giudizio ? In alcuni casi tutto è permesso, legittimo,doveroso,
affermazione di libertà e di democrazia mentre, in altri casi, le stesse
modalità di espressione vengono giudicate inopportune, inaccettabili,
antidemocratiche. (Non stiamo evidentemente, alludendo soltanto ad opere
artistiche).
La realtà è che, nel caso della Corea del
Nord, i veri motivi della nostra reazione stanno nell’opportunità
politica.
Se i coreani avessero potuto manifestare nelle nostre piazze,
se avessero incendiato, ucciso, minacciato la nostra tranquillità
sociale, probabilmente qualcuno avrebbe parlato, anche a proposito di
questo film, di cattivo gusto, di esagerazioni, e della necessità di
porre un freno perfino alle “libere espressioni”. Ma, a differenza degli
islamici, Kim Jong Un non ha proseliti fanatici al di fuori del suo
Paese e si e’ limitato ad attaccare la Sony. E quindi Maometto no ma
quel dittatore lo si può satireggiare in nome delle nostre libertà. E’
legittimo avere questo contradditorio atteggiamento?
In
nome del realismo politico, probabilmente sì. Purché si abbia anche il
coraggio di ammettere con noi stessi le vere ragioni del nostro duplice
comportamento e si rinunci all’ipocrisia. Diciamocelo: alla nostra
libertà di espressione ci teniamo molto ma “adelante Pedro, con juicio!”
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