La holy wood dei perculatori globali ha colpito ancora. Abracadabra e siamo tutti Charlie Ebdo, come nei filmetti in cui gli astanti si schierano dalla parte del simpatico rivoluzionario e contro i parrucconi reazionari, scatenando la reazione plaudente del pubblico pagante.
Il disprezzo professato da alcuni 'satiristi del cosiddetto 'mondo libero' verso argomenti considerati 'sacri' in culture e ambiti sociali in cui questa parola ha ancora un senso, secondo i paladini della liberté d'espressione è più che legittimo. Assolutamente. Siam mica trogloditi, Ciccio! In una società 'libera' la satira non può imbavagliarsi. Concetto che sarebbe anche giusto, a condizione però che una siffatta società oltre che 'libera' sia anche 'sana.' Perché una società sana non confonderebbe mai la libertà d'espressione con la licenza di profanare gli altrui valori in base alla convinzione di saperla lunga su concetti quali la religione e lo spirito, specie in un contesto storico come quello attuale, in cui certa gente anziché guardare la pagliuzza nell'occhio altrui dovrebbe percepire la trave piantata nel proprio didietro.
Il compianto Bernard Maris, tra le vittime della barbarie parigina, la trave l'aveva percepita. Dopo essere stato nominato consigliere centrale della Banque de France, la Banca Centrale francese, aveva iniziato a 'straparlare' di emissione monetaria e di soldi creati dal nulla.
Il problema è questo. Se una società non è libera - in quanto dominata a colpi di usura e manganello da una minoranza di sociopatici che pensano solo al potere, al sesso e a farsi di droga a danno di una maggioranza di popolazione che soffre la fame - né sana - in quanto rincretinita dal pensiero unico positivistico - allora forse le verità che la sua cultura pretende di diffondere tramite il dileggio e l'infinita ripetizione, non sono poi così cristalline e al di sopra di ogni sospetto, e tutti i bei discorsi sulla liberté e la verité finiscono nel gabinetto.
Naturalmente, condanna assoluta per la violenza in ogni sua forma,
che sia attuata da un apparato di agenti neri al servizio della
menzogna sistemica o da un manipolo di guerriglieri convinti che per
difendere i propri valori, la propria religione, la propria cultura, la
propria economia, sia necessario ammazzare la gente.
Sappiamo che esistono molte forme di violenza fisica. La violenza quotidiana delle stragi domestiche; la violenza di chi spruzza dell'acido in faccia al prossimo per manifestargli la propria contrarietà; quella di chi approfitta della propria posizione dominante per infierire su individui indifesi come i bambini nelle scuole materne, o i disabili negli appositi istituti di cura; la violenza di chi indossando una divisa si sente autorizzato a manganellare donne e ragazzine, o ad ammazzare letteralmente di botte il povero cristo di turno tra le mura di una caserma.
Esistono forme di violenza legittimate istituzionalmente, ad esempio raid aerei che radono al suolo interi villaggi di civili indifesi con le bombe al fosforo, e polverizzano stati sovrani con la scusa di esportare questa strana roba che da noi è definita 'democrazia.'
Ed esistono forme di violenza non fisica le quali tuttavia possono influenzare la psiche di individui squilibrati e fungere da detonatore per l'esplosione della violenza fisica. La continua riproposizione di notizie, film e serie televisive in cui la violenza la fa da protagonista - ad esempio - non fa che desensibilizzare l'uomo comune rispetto all'idea di violenza, ed indurre le menti più labili a ragionare sempre in termini di violenza.
Molti autori della rivista Charlie Ebdo avrebbero evitato di esprimere il loro disprezzo verso l'Islam - ad esempio - in un locale pubblico di Teheran. Tale atteggiamento non sarebbe stato dettato da un fatto di sottomissione culturale, ma dal semplice buon senso. Perché gli ideali - o le ideologie - sono una cosa, mentre la realtà è tutta un'altra cosa. Perché quando urliamo al mondo intero il nostro disprezzo verso qualcuno o qualcosa non solo corriamo il rischio che la nostra violenza verbale sia captata da gente squilibrata che anziché replicare alla provocazione in modo consono passi alle vie di fatto, ma rischiamo che la nostra pubblica esternazione fornisca a una terza parte un movente per farci fuori e scaricare la colpa del nostro omicidio sulla parte contro cui avevamo rivolto le nostre esternazioni.
Signore e signori, benvenuti nel mondo reale, un luogo in cui le ideologie collettive sono sempre sfruttate dal potere per perseguire tornaconto particolari.
Questo articolo non intende dilungarsi sull'analisi di quanto accaduto a Parigi per verificare se la versione diramata dai mass media sia plausibile. La rete trabocca di articoli e video che illustrano ottimamente la situazione. E' sufficiente cercare e non fermarsi alla prima riga di Google o al primo video (non censurato) di YouTube. Chi ha occhi per vedere, vedrà; chi non li ha, continuerà a trarre conclusioni Fallaci.
Questo articolo intende invece soffermarsi sul concetto di liberté d'espressione. La liberté di cui da un paio di giorni i nostri 'opinion makers' si stanno riempiendo la bocca.
Nella nostra 'cultura ineguagliabilmente progredita', la liberté d'espressione è di volta in volta giustificata o criminalizzata con gran disinvoltura, a seconda della convenienza politica. Ad esempio: se nella nostra cultura qualcuno si azzardi solo di striscio a ridiscutere la tragedia del genocidio ebraico, la sua liberté d'espressione è stigmatizzata e perseguita legalmente in quanto considerata istigazione all'odio razziale, mentre se prova a ridiscutere il genocidio degli indiani d'America, male che vada viene invitato a qualche talk show.
In questi giorni sta passando il messaggio che se qualcuno sia barbaramente ucciso per aver manifestato le proprie idee, quelle idee siano automaticamente elevate e giuste, mentre se qualcuno viene 'solo' insultato, perseguitato, boicottato, sanzionato, trascinato in tribunale per avere esercitato la propria liberté d'espressione, le sue idee siano indegne di tutela. La strage di Parigi è dolorosa come ogni evento di tale tragica portata, ma sarebbe da idioti misurare la validità di un concetto sulla base di quanti morti ammazzati provochi la sua esternazione. Eppure è proprio ciò che sta accadendo.
Sappiamo che esistono molte forme di violenza fisica. La violenza quotidiana delle stragi domestiche; la violenza di chi spruzza dell'acido in faccia al prossimo per manifestargli la propria contrarietà; quella di chi approfitta della propria posizione dominante per infierire su individui indifesi come i bambini nelle scuole materne, o i disabili negli appositi istituti di cura; la violenza di chi indossando una divisa si sente autorizzato a manganellare donne e ragazzine, o ad ammazzare letteralmente di botte il povero cristo di turno tra le mura di una caserma.
Esistono forme di violenza legittimate istituzionalmente, ad esempio raid aerei che radono al suolo interi villaggi di civili indifesi con le bombe al fosforo, e polverizzano stati sovrani con la scusa di esportare questa strana roba che da noi è definita 'democrazia.'
Ed esistono forme di violenza non fisica le quali tuttavia possono influenzare la psiche di individui squilibrati e fungere da detonatore per l'esplosione della violenza fisica. La continua riproposizione di notizie, film e serie televisive in cui la violenza la fa da protagonista - ad esempio - non fa che desensibilizzare l'uomo comune rispetto all'idea di violenza, ed indurre le menti più labili a ragionare sempre in termini di violenza.
Molti autori della rivista Charlie Ebdo avrebbero evitato di esprimere il loro disprezzo verso l'Islam - ad esempio - in un locale pubblico di Teheran. Tale atteggiamento non sarebbe stato dettato da un fatto di sottomissione culturale, ma dal semplice buon senso. Perché gli ideali - o le ideologie - sono una cosa, mentre la realtà è tutta un'altra cosa. Perché quando urliamo al mondo intero il nostro disprezzo verso qualcuno o qualcosa non solo corriamo il rischio che la nostra violenza verbale sia captata da gente squilibrata che anziché replicare alla provocazione in modo consono passi alle vie di fatto, ma rischiamo che la nostra pubblica esternazione fornisca a una terza parte un movente per farci fuori e scaricare la colpa del nostro omicidio sulla parte contro cui avevamo rivolto le nostre esternazioni.
Signore e signori, benvenuti nel mondo reale, un luogo in cui le ideologie collettive sono sempre sfruttate dal potere per perseguire tornaconto particolari.
Questo articolo non intende dilungarsi sull'analisi di quanto accaduto a Parigi per verificare se la versione diramata dai mass media sia plausibile. La rete trabocca di articoli e video che illustrano ottimamente la situazione. E' sufficiente cercare e non fermarsi alla prima riga di Google o al primo video (non censurato) di YouTube. Chi ha occhi per vedere, vedrà; chi non li ha, continuerà a trarre conclusioni Fallaci.
Questo articolo intende invece soffermarsi sul concetto di liberté d'espressione. La liberté di cui da un paio di giorni i nostri 'opinion makers' si stanno riempiendo la bocca.
Nella nostra 'cultura ineguagliabilmente progredita', la liberté d'espressione è di volta in volta giustificata o criminalizzata con gran disinvoltura, a seconda della convenienza politica. Ad esempio: se nella nostra cultura qualcuno si azzardi solo di striscio a ridiscutere la tragedia del genocidio ebraico, la sua liberté d'espressione è stigmatizzata e perseguita legalmente in quanto considerata istigazione all'odio razziale, mentre se prova a ridiscutere il genocidio degli indiani d'America, male che vada viene invitato a qualche talk show.
In questi giorni sta passando il messaggio che se qualcuno sia barbaramente ucciso per aver manifestato le proprie idee, quelle idee siano automaticamente elevate e giuste, mentre se qualcuno viene 'solo' insultato, perseguitato, boicottato, sanzionato, trascinato in tribunale per avere esercitato la propria liberté d'espressione, le sue idee siano indegne di tutela. La strage di Parigi è dolorosa come ogni evento di tale tragica portata, ma sarebbe da idioti misurare la validità di un concetto sulla base di quanti morti ammazzati provochi la sua esternazione. Eppure è proprio ciò che sta accadendo.
Insomma, dopo il terribile attentato di Parigi ed i fiumi di parole
versati in questi giorni per sacralizzare la liberté d'espressione, ci
si aspetta che i nostri 'opinion makers' diano un bel taglio alla
stigmatizzazione dei vari luoghi comuni a sfondo razzista, omofobico e
sessista. Che abbiano il buon gusto di ritirare gli anatemi ispirati
dalla 'correttezza politica.' Dopotutto, se l'ombrello è tuo quando
piove, lo è anche col sole. Mi aspetto che il prossimo vignettista che
dipinga i gay come degenerati, o gli ebrei come avidi e intriganti,
riceva quanto meno un encomio dall'ordine dei giornalisti a titolo di
premio per il lodevole esercizio della libertè d'espressione. Se si può
prendere bellamente in giro una religione professata da un miliardo e
mezzo di persone, per colpire una presunta minoranza estremista, allora
va da se che lo si debba poter fare
sempre, in tutti i modi, verso qualsiasi cosa e senza temere di
incorrere in alcuna ritorsione, sia essa legale o di 'riprovazione
sociale.' Se penso alle condanne senza appello e all'istigazione al
boicottaggio piovuti addosso a Guido Barilla il giorno in cui esternò con tono rispettoso e moderato la propria opinione sulla famiglia tradizionale, da parte degli stessi
psicopatici bipolari che guardano altrove quando si ingiuriano le
altrui fedi, si prostrano davanti a premier non eletti ed oggi invocano
la liberté d'espressione, mi viene da chiamare la neuro.
Ricapitolando: lo scherno dei sacri valori altrui è lecito, auspicabile,
in quanto testimonia il grado di liberté espresso da una cultura. In
una società progredita ognuno può dire ciò che gli pare di tutto e di
tutti. Perché - per dindirindina - Siamo Tutti Charlie Ebdo! Amen. In
futuro non mancherà occasione di valutare se siamo realmente Tutti
Charlie Ebdo, o se qualcuno sia meno Charlie Ebdo degli altri.
Un'ultima osservazione più generica. La tanto osannata satira, così com'è comunemente concepita, cioè lo
scherno del potere a beneficio delle masse, è del tutto inutile dal
punto di vista della rivalsa politica e sociale. Di più: è funzionale al
potere, con buona pace di chi disegnando la caricatura di un
personaggio politico si senta tanto 'rivoluzionario.' Questo tipo di
satira ha sempre assolto esigenze sistemiche che vanno dalla
simpatizzazione popolare del caporale di turno, al mantenimento della
percezione della democrazia, alla sensazione 'catartica' suscitata nelle
masse oppresse.
Oggi più che mai l'unica satira realmente pericolosa per il potere, dunque realmente utile dal punto di vista politico - paradossalmente - è quella che si burla del comune cittadino, della sua dabbenaggine, la sua cecità, la sua sottomissione, il suo rincretinimento. Che spiattella in faccia all'uomo comune la sua condizione miserabile. Mi viene in mente il film Fantozzi, oppure il cartone I Simpson. Tutto il resto è giustizia onirica, catarsi, o propaganda.
Buona ipocrisia a tutti.
Viator
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