lunedì 19 gennaio 2015

Totopresidenziali? Guardare piuttosto alla corsa all'euro in Svizzera e Grecia

svizzera file banche

Nonostante una trattativa complessa e serrata tra le forze politiche, per la nomina del nuovo Presidente della Repubblica si tratterà comunque di un avvenimento di secondo piano. Il profilo del nuovo, o della nuova, presidente che uscirà dai grandi elettori sembra proprio essere scontato: conforme al mainstream di Bruxelles, di Francoforte e di Washington (Fmi sul piano economico e Casa Bianca su quello politico). 

L’irritualità, salvo che per alcune stagioni delle opposizioni, non appartiene infatti alla cultura istituzionale italiana, almeno dai tempi del Concordato, figuriamoci se può emergere oggi. Certo tra un tweet di Renzi e uno di Salvini tutto potrà anche sembrare un evento politico. Gli uffici stampa, e il media mainstream, servono per questo genere di maquillage. Il punto è che eventi importanti stanno spaccando la crosta terrestre sulla quale risiede questo paese e sono destinati, in un modo o in un altro, a farsi sentire con un deciso impatto. 

Modificando, come puntualmente accaduto, la morfologia politica e sociale di un’Italia che da 30 anni subisce eventi epocali senza metabolizzarli.

Facciamo quindi un salto nel vasto mondo reale, quello giusto appena fuori dal diroccato teatrino della politica istituzionale italiana. In Svizzera ci sono le file fuori dagli uffici di cambio. Motivo: si cerca di cambiare più possibile i franchi in euro. In Grecia, contemporaneamente, ci sono le file fuori dalla banche. Motivo: si cerca di ritirare quanti più euro possibile. Eppure l’euro è in discesa, il dollaro sta salendo, e cominciano di nuovo a moltiplicarsi gli analisti che parlando di rischio crisi sistemica per la moneta unica europea. Ma cosa sta accadendo? Una prima risposta di quelle che portano il marchio della certezza: non è possibile pensare che sia qualcosa che è esterno a noi. 

Cominciamo dalla crisi greca: Alpha Bank e Eurobank, istituti di credito di quel paese, hanno chiesto ufficialmente fondi aggiuntivi alla Bce. Si teme di dover far fronte alle conseguenze monetarie, ed economiche, del risultato elettorale che possono sfuggire di mano agli attori in campo. L’euro è quindi visto come bene rifugio. Ma quanto è sicuro questo rifugio? Se ci spostiamo in Svizzera, la corsa agli sportelli di cambio c’è per cambiare i franchi svizzeri in euro dopo lo sganciamento della moneta del paese elvetico dal corso della divisa dell’eurozona. 

La moneta che è bene rifugio in Grecia diventa una divisa deprezzata in Svizzera utile per fare shopping a basso costo. Ed è lo sganciamento del franco dall’euro che ci spiega il fenomeno: la banca centrale svizzera fa oggi fluttuare il cambio con l’euro non essendo più un grado di mantenere la banda di oscillazione franco-euro (tra 1,20 e 1,25 franchi per euro) essendo impossibilitata ad acquistare così grosse masse di bond in euro per calmierare il cambio tra le due monete. 

Un grave colpo per la credibilità, e la forza, della banca centrale svizzera, essendo una ammissione di impossibilità di difendere la propria economia, per l’euro, etichettato come una moneta vicina a nuova crisi dalla quale sganciarsi, e per l’economia svizzera che si è trovata improvvisamente fuori mercato in tanti settori con un franco rivalutatosi di colpo. 

Anche la Svizzera, dopo la febbre dello shopping, conoscerà così la deflazione salariale, l’abbassamento del costo del lavoro necessario per far tornare competitivi i prodotti, che la vicina Italia conosce così bene (accelerandone le dinamiche con provvedimenti come il Jobs Act). Mentre i grossi investitori finanziari, essendo estremamente differenziati nei portafogli titoli, tutto sommato hanno assorbito il colpo. Quando non hanno guadagnato sul differenziale di cambio. Trattata dal mainstream italiano, gonfio di notizie inutili, come se fosse una questione esoterica, la vicenda svizzera è stata commentata da Die Welt come un vero possibile terremoto per l’eurozona. Terremoto, secondo due columnist finanziari del Telegraph a causa di un paio di motivi. 

Uno, se si segue Allister Heath, perché lo sganciamento franco-euro prelude a quanto sta per accadere nell’eurozona: l’impossibilità di allineare aree economiche diverse allo stesso valore monetario. 

Due, se si segue Evans-Pritchard, perché le forze della deflazione, che obbligano al recupero di “competivività” economica tramite l’abbassamento del costo del lavoro piuttosto che sulla svalutazione della moneta, hanno fattovalere la loro capacità di pressione prevalendo sull’emissione di nuova liquidità nei mercati, o sull’acquisto di bond, da parte delle banche centrali (politica fallita, come abbiamo visto, nel caso svizzero nonostante le dichiarazioni ufficiali).

Immediato l’effetto in Italia di tutto questo: magari non sui titoli ma sulle stime del Pil. Bankitalia ha rivisto la stima del Pil 2015 al più 0,4, da 1,3 che era (praticamente un punto in un colpo solo cioè tantissimo), che è minore rispetto a quella del governo (più 0,6). Particolare non indifferente perché, come si sa, i tagli alla spesa si fanno sulle previsioni del Pil e quando le stime si rivedono al ribasso si deve tagliare di più. Si capisce quindi come la corsa dei greci agli sportelli abbia qualcosa di doppiamente disperato: ci si affretta a prendere una moneta che sta calando (circolano proiezioni serie su quando verrà raggiunta la parità col dollaro) e che in Europa serve già come moneta svalutata per comprare a basso prezzo. 

In compenso, giusto per non perdere il buonumore, c’è Matteo Renzi. Sullo sganciamento franco-euro ha detto che “dalla Svizzera ci sarà la corsa a trasferire i capitali in Italia”. Infatti, come è noto, se uno detiene i capitali in un paese dove la moneta si apprezza non fa altro, per arricchirsi, che trasferirli nel paese in cui la moneta si è svalutata. 

Ma, in una Italia ormai politicamente a reti unificate come nemmeno negli anni più hard del berlusconismo, si possono sparare simili cavolate continuando ad essere presi sul serio. Ma nel mondo di Matteo da Rignano tutto è possibile: anche parlare , come ha fatto da Strasburgo, dell’aumento della ricchezza delle famiglie in Italia. Quando quella lorda, cioè quella vera al netto di imposte e passività finanziarie, è in costante calo dal 2010.

Altro che chiacchiere sul profilo del nuovo presidente e totonomi. L’Italia renziana e liberista eleggerà il solito, inutile cerimoniere di un ceto politico autoreferenziale e blindato secondo le politiche, italiane e continentali, che stanno spingendo il paese verso la rovina da 30 anni. Mentre lo stesso FMI, che comunque consiglierebbe politiche da suicidio, avverte: c’è un rischio apprezzamento del dollaro che, unito alla stagnazione europea, può far saltare molta economia mondiale. 

Proprio perchè tanti paesi economicamente emergenti sono indebitati in dollari. Ma di fronte ad uno scenario del genere –anche solo guardando a Grecia, Svizzera ed eurozona- il partito democratico sa solo recitare il rosario di roboanti ma inutili scadenze-politico istituzionali. Sono cose che capitano quando, in fondo, la vera scadenza è attorno al 20 febbraio. 

Quella che richiede di onorare la cambiale del decreto fiscale a favore del socio Mediaset, in arte Silvio Berlusconi. Poi, le proiezioni sul pil altro non sono che numeri che scompaiono velocemente, al posto delle code in Svizzera e in Grecia si fa vedere un pò di santo padre e il resto si vedrà. Finchè dura, legge aurea della politica italiana da quando l’accumulazione privata selvaggia coincide con l’incarico pubblico.


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