Nonostante
una trattativa complessa e serrata tra le forze politiche, per la
nomina del nuovo Presidente della Repubblica si tratterà comunque di un
avvenimento di secondo piano. Il profilo del nuovo, o della nuova,
presidente che uscirà dai grandi elettori sembra proprio essere
scontato: conforme al mainstream di Bruxelles, di Francoforte e di
Washington (Fmi sul piano economico e Casa Bianca su quello politico).
L’irritualità, salvo che per alcune stagioni delle opposizioni, non
appartiene infatti alla cultura istituzionale italiana, almeno dai tempi
del Concordato, figuriamoci se può emergere oggi. Certo tra un tweet di
Renzi e uno di Salvini tutto potrà anche sembrare un evento politico.
Gli uffici stampa, e il media mainstream, servono per questo genere di
maquillage. Il punto è che eventi importanti stanno spaccando la crosta
terrestre sulla quale risiede questo paese e sono destinati, in un modo o
in un altro, a farsi sentire con un deciso impatto.
Modificando, come
puntualmente accaduto, la morfologia politica e sociale di un’Italia che
da 30 anni subisce eventi epocali senza metabolizzarli.
Facciamo quindi un salto nel vasto mondo
reale, quello giusto appena fuori dal diroccato teatrino della politica
istituzionale italiana. In Svizzera ci sono le file fuori dagli uffici
di cambio. Motivo: si cerca di cambiare più possibile i franchi in euro.
In Grecia, contemporaneamente, ci sono le file fuori dalla banche.
Motivo: si cerca di ritirare quanti più euro possibile. Eppure l’euro è
in discesa, il dollaro sta salendo, e cominciano di nuovo a
moltiplicarsi gli analisti che parlando di rischio crisi sistemica per
la moneta unica europea. Ma cosa sta accadendo? Una prima risposta di
quelle che portano il marchio della certezza: non è possibile pensare
che sia qualcosa che è esterno a noi.
Cominciamo dalla crisi greca:
Alpha Bank e Eurobank, istituti di credito di quel paese, hanno chiesto
ufficialmente fondi aggiuntivi alla Bce. Si teme di dover far fronte
alle conseguenze monetarie, ed economiche, del risultato elettorale che
possono sfuggire di mano agli attori in campo. L’euro è quindi visto
come bene rifugio. Ma quanto è sicuro questo rifugio? Se ci spostiamo in
Svizzera, la corsa agli sportelli di cambio c’è per cambiare i franchi
svizzeri in euro dopo lo sganciamento della moneta del paese elvetico
dal corso della divisa dell’eurozona.
La moneta che è bene rifugio in
Grecia diventa una divisa deprezzata in Svizzera utile per fare shopping
a basso costo. Ed è lo sganciamento del franco dall’euro che ci spiega
il fenomeno: la banca centrale svizzera fa oggi fluttuare il cambio con
l’euro non essendo più un grado di mantenere la banda di oscillazione
franco-euro (tra 1,20 e 1,25 franchi per euro) essendo impossibilitata
ad acquistare così grosse masse di bond in euro per calmierare il cambio
tra le due monete.
Un grave colpo per la credibilità, e la forza, della
banca centrale svizzera, essendo una ammissione di impossibilità di
difendere la propria economia, per l’euro, etichettato come una moneta
vicina a nuova crisi dalla quale sganciarsi, e per l’economia svizzera
che si è trovata improvvisamente fuori mercato in tanti settori con un
franco rivalutatosi di colpo.
Anche la Svizzera, dopo la febbre dello
shopping, conoscerà così la deflazione salariale, l’abbassamento del
costo del lavoro necessario per far tornare competitivi i prodotti, che
la vicina Italia conosce così bene (accelerandone le dinamiche con
provvedimenti come il Jobs Act). Mentre i grossi investitori finanziari,
essendo estremamente differenziati nei portafogli titoli, tutto sommato
hanno assorbito il colpo. Quando non hanno guadagnato sul differenziale
di cambio. Trattata dal mainstream italiano, gonfio di notizie inutili,
come se fosse una questione esoterica, la vicenda svizzera è stata
commentata da Die Welt come un vero possibile terremoto per l’eurozona.
Terremoto, secondo due columnist finanziari del Telegraph a causa di un
paio di motivi.
Uno, se si segue Allister Heath, perché lo sganciamento
franco-euro prelude a quanto sta per accadere nell’eurozona:
l’impossibilità di allineare aree economiche diverse allo stesso valore
monetario.
Due, se si segue Evans-Pritchard, perché le forze della
deflazione, che obbligano al recupero di “competivività” economica
tramite l’abbassamento del costo del lavoro piuttosto che sulla
svalutazione della moneta, hanno fattovalere la loro capacità di
pressione prevalendo sull’emissione di nuova liquidità nei mercati, o
sull’acquisto di bond, da parte delle banche centrali (politica fallita,
come abbiamo visto, nel caso svizzero nonostante le dichiarazioni
ufficiali).
Immediato l’effetto in Italia di tutto
questo: magari non sui titoli ma sulle stime del Pil. Bankitalia ha
rivisto la stima del Pil 2015 al più 0,4, da 1,3 che era (praticamente
un punto in un colpo solo cioè tantissimo), che è minore rispetto a
quella del governo (più 0,6). Particolare non indifferente perché, come
si sa, i tagli alla spesa si fanno sulle previsioni del Pil e quando le
stime si rivedono al ribasso si deve tagliare di più. Si capisce quindi
come la corsa dei greci agli sportelli abbia qualcosa di doppiamente
disperato: ci si affretta a prendere una moneta che sta calando
(circolano proiezioni serie su quando verrà raggiunta la parità col
dollaro) e che in Europa serve già come moneta svalutata per comprare a
basso prezzo.
In compenso, giusto per non perdere il buonumore, c’è
Matteo Renzi. Sullo sganciamento franco-euro ha detto che “dalla
Svizzera ci sarà la corsa a trasferire i capitali in Italia”. Infatti,
come è noto, se uno detiene i capitali in un paese dove la moneta si
apprezza non fa altro, per arricchirsi, che trasferirli nel paese in cui
la moneta si è svalutata.
Ma, in una Italia ormai politicamente a reti
unificate come nemmeno negli anni più hard del berlusconismo, si possono
sparare simili cavolate continuando ad essere presi sul serio. Ma nel
mondo di Matteo da Rignano tutto è possibile: anche parlare , come ha
fatto da Strasburgo, dell’aumento della ricchezza delle famiglie in
Italia. Quando quella lorda, cioè quella vera al netto di imposte e
passività finanziarie, è in costante calo dal 2010.
Altro che chiacchiere sul profilo del
nuovo presidente e totonomi. L’Italia renziana e liberista eleggerà il
solito, inutile cerimoniere di un ceto politico autoreferenziale e
blindato secondo le politiche, italiane e continentali, che stanno
spingendo il paese verso la rovina da 30 anni. Mentre lo stesso FMI, che
comunque consiglierebbe politiche da suicidio, avverte: c’è un rischio
apprezzamento del dollaro che, unito alla stagnazione europea, può far
saltare molta economia mondiale.
Proprio perchè tanti paesi
economicamente emergenti sono indebitati in dollari. Ma di fronte ad uno
scenario del genere –anche solo guardando a Grecia, Svizzera ed
eurozona- il partito democratico sa solo recitare il rosario di roboanti
ma inutili scadenze-politico istituzionali. Sono cose che capitano
quando, in fondo, la vera scadenza è attorno al 20 febbraio.
Quella che
richiede di onorare la cambiale del decreto fiscale a favore del socio
Mediaset, in arte Silvio Berlusconi. Poi, le proiezioni sul pil altro
non sono che numeri che scompaiono velocemente, al posto delle code in
Svizzera e in Grecia si fa vedere un pò di santo padre e il resto si
vedrà. Finchè dura, legge aurea della politica italiana da quando
l’accumulazione privata selvaggia coincide con l’incarico pubblico.
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