giovedì 18 giugno 2015

Taoismo e Zen


Secondo me la vita è un processo spontaneo. Il termine cinese per "natura" è tzu-jan, che, significa "ciò che è spontaneamente quello che è", "ciò che accade". E' ben curioso che sia proprio la nostra grammatica, la stessa che regola tutte le principali lingue europee, ad impedirci di immaginare un processo che accade spontaneamente. 


Ogni verbo deve avere un pronome per soggetto, deve avere un agente, e noi di norma pensiamo che una cosa non sia al proprio posto se non c'è qualcuno o qualcosa che le assegna quel posto, se non c'è un responsabile; di conseguenza l'idea di un processo che avviene totalmente da solo ci spaventa: ci sembra che manchi l'autorità. " .... " 

Quello di cui sto parlando è il nostro senso d'identità, il nostro senso d'alienazione, e le complicazioni in cui ci cacciamo vedendo la nostra sopravvivenza come un dovere." .... " 

Sapere d'essere Dio è il marchio della follia. E' assolutamente tabù, particolarmente nella religione cristiana. Per averlo saputo, Gesù fu crocifisso e i cristiani hanno detto: "D'accordo, Gesù era Dio, ma finiamola qui. Nessun altro".

Il Vangelo è la rivelazione per noi tutti di qualcosa che gli indiani hanno sempre saputo: "Tat tvam asi", tu sei quello! Se Gesù fosse vissuto in India, si sarebbero congratulati con lui per aver scoperto d'essere Dio, anziché crocifiggerlo. 

Ci sono stati molti in India che hanno saputo d'essere Dio sotto mentite spoglie. Sri Ramakrishna, Srí Ramana Maharshi, Krishna e il Buddha: tutti costoro l'hanno scoperto, poiché non è una rivendicazione esclusiva che uno avanza per sé, d'essere quello, tutti sono quello, e nel momento in cui uno guarda negli occhi dell'altro vede l'universo che lo guarda a sua volta.


Per cui siamo in una situazione ín cui è tabù sapere d'essere Dio, e non dobbiamo ammettere che sappiamo chi siamo, in modo da avere l'emozione, l'effetto mozzafiato del sentirci perduti, sentirei alienati, sentirci soli, privi, d'appartenenza. 

Nel linguaggio quotidiano noi affermiamo che veniamo al mondo, ma in realtà non facciamo nulla del genere. In realtà proveniamo dal mondo. Proprio come il frutto che proviene dall'albero, l'uovo dalla gallina, il neonato dal grembo della madre, noi siamo sintomatici dell'universo. 

Esattamente come nella retina ci sono miriadi di piccole terminazioni nervose, noi siamo le terminazioni nervose dell'universo. E succedono cose affascinanti. Dal momento che noi siamo tanti, l'universo ha tante facce; per cui il suo punto di vista di se stesso non sarà di pregiudizio. 

Siamo qui e vogliamo scoprire cosa succede intorno a noi. Guardiamo attraverso i telescopi per scoprire le cose più remote, e attraverso i microscopi per scoprire il cuore delle cose; e quanto più sofisticati si fanno i nostri strumenti tanto più precipitosamente il mondo ci sfugge. 

Quanto più potenti diventano i nostri telescopi tanto più l'universo si espande. Siamo noi stessi che sfuggiamo a noi stessi. Sapete, alcuni anni fa pensavamo di esserci riusciti. Avevamo trovato una cosa chiamata atomo e sembrava fatta. Ma a quel punto, hop!, salta fuori l'elettrone. E dopo ancora, bang, il protone. E superate tutte quelle cose, ecco arrivarne ogni sorta di nuove: mesoni, antiparticelle, e via via sempre peggio. 

Siamo un sistema autosservante che somiglia al serpente, l'uroboro, che si morde la coda e cerca di ingoiarsi per scoprire cos'è. E questo che è in realtà la ricerca del "Chi sono io". 

Diciamo "Mi piacerebbe vedermi": ma proviamo a guardarci la testa. Riusciamo a vederla? 

Non è nera e non c'è neppure uno spazio vuoto dietro agli occhi - è solo una semplice assenza. E qui la storia s'interrompe. La maggior parte di noi dà per scontato che lo spazio sia niente, che non conti e non contenga energia. Ma è un dato di fatto che lo spazio è la base dell'esistenza. Come potremmo avere le stelle se non ci fosse lo spazio? 

Le stelle si accendono a causa dello spazio e ci sono cose che vengono fuori dal nulla esattamente alla stessa maniera, come quando, ascoltando senza niente di' particolare in mente, sentiamo i mille suoni del silenzio. 

E' stupefacente. Il silenzio è l'origine del suono esattamente come lo spazio è l'origine delle stelle e la donna è l'origine dell'uomo. Se ascoltate e prestate profondamente attenzione a ciò che è, scoprirete che non c'è un passato né un futuro, né un ascolto. Non potete udirvi ascoltare. 

Vivete nell'eterno presente e siete l'eterno presente. Veramente di una semplicità straordinaria, e le cose stanno proprio così. 

Tornando al nostro discorso: ho iniziato dicendo che la sopravvivenza, il continuare a vivere è un processo spontaneo; e l'amore è qualcosa di molto simile. 

Il problema è che quando eravamo bambini, le persone più grandi di noi, quelle che sapevano tutto, ci hanno detto che era nostro dovere amarle. Dio ha detto: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Amerai il prossimo tuo come te stesso". 

E analogamente, nostra madre ci ha detto: "Devi andare al bagno dopo colazione", "Cerca di addormentarti", "Togliti quell'espressione dal viso", "Smetti di tenere il broncio", "Perché stai arrossendo", "Fatti animo!", "Fai attenzione!". 

E tutti questi sono ordini basati su una regola fondamentale: si esige che tu faccia ciò che ha un senso solo se fatto spontaneamente. Questa è la formula. Tu devi "amarmi". E' un doppio legame, e questo fatto ci rende tutti estremamente confusi. 

Se il marito dice alla moglie: "Tesoro, mi ami?", lei potrebbe rispondere: "Faccio del mio meglio". Ma nessuno vorrebbe una risposta del genere. Tutti vogliono sentirsi rispondere "Ti amo tanto che ti mangerei. Non riesco a non amarti, puoi fare di me ciò che vuoi".

Per cui siamo costretti a continuare ad amare, esattamente come siamo costretti a continuare a vivere. Sentiamo che dobbiamo continuare, che è nostro dovere. Siamo stanchi di vivere e paurosi di morire, ma dobbiamo andare avanti. Perché? 

Beh, si risponde, ci sono altri che dipendono da me, ho dei figli e devo continuare a lavorare per mantenerli. Ma tutto questo insegna ai figli lo stesso atteggiamento, per cui continueranno anche loro a trascinarsi per mantenere í loro figli, che a loro volta impareranno da loro a trascinarsi, costi quello che costi. 

Così io osservo con totale sbigottimento come il mondo va avanti. Vedo tutti quelli che fanno i pendolari, che guidano l'auto come forsennati per correre in un ufficio a guadagnare soldi - per cosa? 

Per poter continuare a fare le stesse cose: e a pochissimi di loro tutto questo piace. La persona intelligente si fa pagare per giocare - questa è l'arte del vivere. Ma l'intera idea di lottare e ammazzarsi di fatica per andare avanti a vivere è totalmente priva di senso. 

Albert Camus, all'inizio del suo Mito di Sisifo, ha fatto un'affermazione estremamente saggia: "L'unica domanda fondamentale che ci si deve porre nella vita è se suicidarsi o no. Rifletteteci sopra. Dovete continuare? Sarebbe tanto più semplice smettere. Niente più problemi, nessuno più che si lamenta che non ce la fa più. Che effetto fa la morte? Andare a dormire e non risvegliarsi. Oh, com'è terribile restare al buio in eterno! 

Ma non sarebbe niente del genere. 

Non sarebbe essere sepolti vivi per sempre. Sarebbe non essere mai esistiti. Non soltanto non essere mai esistiti noi, ma che non sia mai esistito niente in assoluto; la qual cosa è esattamente com'era prima che nascessimo. Proprio come abbiamo una testa che non possiamo vedere, così la nostra realtà ultima o la sostanza del nostro essere è il nulla. Shunyata è il termine usato dal Buddhismo per il vuoto, che è spazio, che è coscienza, che è quello in cui "noi viviamo e ci muoviamo e abbiamo il nostro essere" - Dio, il Grande Vuoto. 

Fortunatamente, non c'è modo di sapere che cos'è, ché se potessimo saperlo, ne saremmo tediati. C'è stato un grande filosofo olandese, Van Der Leeuw, che ha detto: Il mistero della vita non è un problema da risolvere ma una realtà da sperimentare". 

Fortunatamente, nel pieno di tutta la consapevolezza, ecco l'eterna domanda, l'eterno problema del non conoscere la realtà delle cose. Di conseguenza la vita conserva il suo interesse. Siamo sempre lì, che tentiamo di scoprire; ma la vita non offre risposte. 

L'unico modo di rispondere alla domanda: "Che cos'è la realtà" è classificarla. Sei è o sei non è? Sei maschio o sei femmina? Sei repubblicano o seì democratico? Sei animale, vegetale, minerale, stagnino, sarto, soldato, marinaio, ricco, povero, mendicante, ladro? 

Siamo tutti classificati, ma quello che fondamentalmente è non rientra in nessuna classificazione possibile. Nessuno sa che cos'è ed è impossibile porre la domanda in una maniera che abbia un senso. 

Sono molte le teorie filosofiche su che cosa è la realtà. Ci sono quelli che dicono: "Bene, la realtà è materiale; sapete, c'è una cosa chiamata materia". E i filosofi, sempre impegnati nelle loro lezioni sulle cattedre delle università, picchiano inevitabilmente la mano sul piano della cattedra e dicono: "Ora, questa cattedra ha o non ha una realtà". 

Quando il dottor Johnson senti parlare della teoria del vescovo Berkeley che ogni cosa è in realtà mentale, la smentì tirando un calcio a un sasso e dicendo: "Di sicuro, per chiunque abbia un po' di cervello, questo sasso è concretamente fisico e materiale". 

Laddove, sul versante opposto, pensatori più sottili dicono: "No, non c'è niente di materiale, è tutto una costruzione mentale. Il mondo intero è un fenomeno di coscienza". 

Ai tempi del vescovo Berkeley non si sapeva molto di neurologia. Ma oggi ne sappiamo molto di più e possiamo sostenere la stessa teoria in maniera assai più sofisticata: è la struttura del nostro sistema nervoso che determina il mondo che vediamo. 

In altre parole, in un mondo senza occhi il sole non sarebbe luce. In un mondo senza terminazioni nervose tattili il fuoco non scotterebbe. In un mondo privo di muscoli, le pietre non sarebbero pesanti, e in un mondo senza epidermide le pietre non sarebbero dure. E tutta una questione di relazione, per capirci. 

Nella vecchia domanda: "Quando in una foresta cade un albero e nessuno lo sente, l'albero fa rumore o no?", La risposta è assolutamente semplice. Il rumore è una relazione fra le vibrazioni dell'aria e i timpani delle orecchie. Se colpisco un tamburo che non ha la pelle, posso colpire quanto forte voglio, non provocherò nessun suono. Per cui l'aria può continuare a vibrare in eterno: se non c'è il timpano dell'orecchio o non c'è il sistema uditivo non ci sarà nessun rumore. 

Noi in virtù della nostra struttura fisica evochiamo il mondo delle vibrazioni, che diversamente sarebbero il vuoto. Noi creiamo dal vuoto ma siamo anche nel mondo. Il nostro corpo, il nostro sistema nervoso, sono qualcosa che esiste nel mondo esteriore. Tu sei nel mio mondo esteriore e io sono nel tuo mondo esteriore. Per cui è una situazione del tipo di quella dell'uovo e della gallina, assolutamente affascinante. 

Da un punto di vista neurologico molto concreto, noi evochiamo il mondo in cui viviamo e al tempo stesso siamo qualcosa che il mondo sta creando. Dopotutto, lo scienziato spiegherà che ognuno di noi è un vorticare di sostanze e processi elettronici, così come ogni altra cosa. 

E tutto un'unica danza, ed è assolutamente meraviglioso perché prende coscienza di sé stesso attraverso noi. L'intera esistenza è una vibrazione, e tutte le vibrazioni hanno due aspetti di fondo. Uno lo chiameremo 'acceso' e l'altro 'spento'. ".." Tutto ciò che ci succede è un accendersi e spegnersi, accendersi e spegnersi continuo. 

Prendiamo la sensazione della luce. 

La vibrazione della luce è talmente veloce che la retina non registra lo spento, ma trattiene l'impressione dell'acceso: di conseguenza i nostri occhi vedono le cose come relativamente stabili. 

Ma se chiudiamo gli occhi e cí concentriamo sull'ascolto, udiamo tanto l'intensificarsi che lo smorzarsì della vibrazione sonora, ín particolare nei regístri bassi del suono. Nei registri alti non riusciamo a udire lo smorzarsi, udiamo solo l'intensificarsi. Ma quando entriamo nei registri bassi, udiamo il forte e il piano della vibrazione. 


In realtà tutto ciò che esiste nel mondo fisico è pulsazione, è elettricità positiva e negativa. 

Leggete i primi due paragrafi della voce "Elettricità" nella quattordicesima edizione dell'Enciclopedia Britannica. Si tratta di un dotto articolo scientifico con ogni sorta di informazioni tecniche e di formule, che però inizia in chiave puramente metafisica. 

"L'elettricità", afferma l'autore, è un assoluto. Non conosciamo niente altro di simile. E' un fondamentale e vi rendete conto che è un discorso di teologia pura. Perciò così stanno le cose: tutto si accende e si spegne, tutto pulsa, femminina e maschio, Yin e Yang, ora lo vediamo ora non lo vediamo. 

La cultura occidentale del diciannovesimo secolo, in cui siamo cresciuti, ci ha educati a pensare che quest'energia che pulsa è organicamente stupida, è un fatto puramente meccanico. Freud l'ha chiamata 'libido'. Altri l'hanno chiamata energia cieca, con la conseguenza che noi sentiamo di essere, in quanto esseri umani, frutti del caso. 

Un milione di scimmie al lavoro su un milione di macchine da scrivere per un milione d'anni potrebbero, dal punto di vista statistico, tirar fuori la Bibbia. Naturalmente, una volta arrivate alla fine, tornerebbero a dissolversi nell'insensatezza. 

Così noi siamo stati educati a sentirci frutto del caso, dei puri accidenti. Questa è alienazione, e questo è il grande problema. Per me è assolutamente ovvio che non siamo accidenti. C'è chi dice che non siamo altro che microbi striscianti attorno a una sfera di roccia, che ruota attorno a una stella insignificante, all'estrema periferia di una galassia minore. Perché la gente dice cose del genere? 

Per poter affermare: "Io sono un tipo realistico. Non ho paura di guardare la realtà in faccia, ed è una realtà dura. L'idea che lassù ci sia qualcuno che si prende cura di noi è un'idea per vecchiette e rammolliti e io penso che quest'universo sia un mucchio di merda". Questo è il messaggio che captiamo da certe persone. 

Analizzate sempre la filosofia di una persona e saprete che cosa questa persona pensa di se stessa. 

La nostra filosofia è il nostro ruolo, il gioco che scegliamo di giocare. lo ammetto che la mia filosofia è il modo in cui io imposto il mio gioco. E' la mia grande recita. E se devo mettere in scena qualcosa, metterò in scena il più grande spettacolo di cui sono capace e dirò: "Al diavolo tutte le chiacchiere, so benissimo che sono impertinente, che sono una manifestazione precaria di un che-che-non-c'è-niente-di-più-che". E questo è quello che voglio. Sono una manifestazione della sostanza stessa dell'universo, che è ciò che tutti gli uomini chiamano Dio, Atman o Brahman. E penso che sia fantastico saperlo. E fantastico sapere che non è solo una teoria, ma è una sensazione positiva e reale dentro di te. 

A questo punto la mia funzione è, se e per quanto è possibile, di partecipare agli altri questa sensazione, cosi che non abbiano più bisogno di psicoterapia, né di guru o di religioni - che siamo liberi, semplicemente.

E' qui che la psicologia dell'Occidente può prendere lezione dalla psicologia dell'Oriente, la quale presta più attenzione al modo di accettare e meno alle cose da accettare. Essa è interessata a creare uno stato mentale preparato a ogni eventualità, a ogni sorpresa che venga sia dall'universo esterno sia dall'universo interno. 


Troppo poco risalto è dato a questo aspetto dell'opera da sconsiderati professionisti della psicologia dell'inconscio, così che facilmente l'analisi risulta piuttosto astratta dalla vita. 

L'analisi non è qualcosa a cui si possa lavorare solo di notte, nel paese dei sogni, e la salute psicologica non può essere comperata a cento dollari la visita ogni giovedì pomeriggio. 

Una sera un amico mi telefona e mi annuncia che deve rincasare presto perché il suo analista lo ha incaricato di affrontare un "problema". Quando è necessario rincasare presto, chiudersi in camera, sedersi solennemente, prendere da un cassetto il problema e affrontarlo, cominciamo a chiederci con stupore che cosa sia avvenuto di una certa indispensabile qualità chiamata umorismo. 

L'analisi non deve assolutamente astrarsi dalla vita, ma, quando si dà eccessivo risalto al sogno, al simbolismo inconscio, al disegno e alla pittura inconsci, e alla vita di fantasia in generale, si corre il rischio di dividere la vita in due metà e trascurare i rapporti che le legano, come se l'intero processo non richiedesse altro che di essere sviluppato nel mondo del sogno e della fantasia.

Molte di queste difficoltà sarebbero superate, se coloro che non possono giovarsi di un savio analista, avessero la chiara intelligenza dei fini dell'opera psicologica, e anche qui la visione di sistemi orientali come il Taoismo e varie forme di Buddhismo è molto indicativa. 


Infatti qui l'obiettivo non è raggiungere uno stadio - particolare; è trovare il giusto atteggiamento mentale in quale che sia lo stadio in cui possa capitare di trovarsi. Questo, a dire il vero, è un principio fondamentale di quelle forme di psicologia orientale che passeremo in rassegna. 

Nel corso della sua evoluzione l'uomo passerà attraverso un numero indefinito di stadi; si arrampicherà sulla cresta di un monte per trovare la strada che lo porti oltre la cresta di un altro e di un altro ancora e così all'infinito. 

Nessuno stadio è definitivo, perché il significato della vita sta nel suo movimento e non nel luogo verso cui si muove. Un nostro proverbio dice che viaggiare bene è meglio che arrivare, il che si avvicina all'idea orientale. 

La saggezza non consiste nell'arrivare a un luogo particolare e non si deve pensare che la si raggiunga necessariamente con l'arrampicarsi su una scala i cui pioli sono gli stadi successivi dell'esperienza psicologica. 

Quella scala è senza fine e l'accesso all'illuminazione, alla saggezza o alla libertà spirituale si può trovare su uno qualunque dei suoi pioli. Se lo scopri, non significa che non dovrai continuare ad arrampicarti su per la scala; dovrai continuare ad arrampicarti esattamente come dovrai continuare a vivere. 

Ma l'illuminazione si trova con la piena accettazione del posto dove ti trovi ora

L'uomo moderno si trova nello stadio dell'evoluzione umana in cui c'è una divisione massima fra il suo Io e l'universo; per lui l'illuminazione è l'accettazione totale di quella divisione. 

Le tecniche psicologiche falliscono perché non si accettano pienamente i vari stadi coinvolti; questi si accettano con il solo scopo di raggiungere una certa meta, come per esempio lo stato di "individuazione" simboleggiato dal mandala. In tali circostanze quello stato si può "raggiungere" ma non vi si trova ciò che intimamente si desidera. Il risultato è che quanti immaginano di aver completato quella fase di lavoro psicologico, sono spesso infelici come sempre.

La semplice esplorazione dell'inconscio non porta alla saggezza, perché uno sciocco potrà imparare molto e sperimentare molto, ma sarà sempre uno sciocco. Diventa saggio solo quando ha l'umiltà di lasciarsi libero di essere uno sciocco. 


Come dice Chuang Tze: "Chi sa di essere uno sciocco non è un grande sciocco". Infatti lo sciocco si rivela sempre per il suo orgoglio, per l'illusione che la grandezza si misuri semplicemente con il metro della sapienza psicologica e che caricandosi di nuove esperienze diventerà saggio. 

La psicologia dell'inconscio è il suo felice terreno di caccia. "Dopo cinque o sei anni di analisi", egli pensa, "se lavorerò sodo e passerò attraverso tutti gli stadi necessari, diventerò una persona reale, un uomo autentico, libero". Veramente quei cinque anni di lavoro (la cui realizzazione richiederà anche l'istupidimento dell'analista) potranno insegnargli qualcosa, se per avventura gli mostreranno che egli è simile a quel somaro che cercava il fuoco con la lanterna accesa. Talvolta il giro più lungo è la via più breve per tornare a casa.


La via dell'accettazione e della libertà spirituale si trova non con l'andare da qualche parte, ma nell'andare, e lo stadio in cui se ne può conoscere la felicità è ora, in questo stesso momento, nello stesso posto in cui ti capita di stare


Sta nell'accettare pienamente lo stato della tua anima, qual è ora, non nel tentare di portarti con la forza in un altro suo stato, che per orgoglio immagini che sia superiore e più progredito. Non si tratta di sapere se il tuo stato presente sia buono o cattivo, nevrotico o normale, elementare o progredito; si tratta di sapere quale sia. 

L'essenziale non è accettarlo al fine di passare a uno stato "superiore", se cosi si può chiamare.

A mo' di illustrazione, ecco la storia di come il saggio Buddhista Hui-neng illuminò Chen Wei-ming, il quale lo aveva inseguito per rubargli il mantello e la ciotola delle elemosine del Buddha. Hui-neng li aveva deposti su una roccia e, quando Chen andò per sollevarli, trovò che era impossibile. Preso dal terrore, Chen protestò che non era venuto per il mantello e la ciotola, ma per la saggezza che rappresentavano. "Poiché sei venuto per il Dharma", disse Hui-neng, "non pensare al bene, non pensa re al male, ma vedi quale sia la tua vera natura (letteralmente: " faccia originaria " ) in questo momento". A queste parole, Chen fu d'improvviso illuminato; grondando di sudore e salutando Hui-neng con lacrime di gioia, domandò: "Oltre a queste parole segrete e a questi occulti significati che mi hai appena largiti, c'è qualcos'altro di segreto?". Hui-neng rispose: "In ciò che ti ho rivelato non c'è nulla di segreto. Se rifletti e riconosci la tua vera natura, il segreto è in te"."


Allan Watts

Dott. Filippo Falzoni Gallerani
fonte: http://www.rebirthing-italia.com/liberaz07.htm 

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