Schiavo è chi è condizionato dalle paure, chi perde il contatto con la propria anima (foto dal film “12 anni schiavo”).
Ci siamo allontanati dalla nostra anima per seguire
un io condizionato da schemi che portano paura e incertezza e da una
cultura materialista. Siamo vittime di false identificazioni e
contraddizioni che dividono e conducono al conflitto.Qualche soluzione
per risolverlo
La crisi attuale non è solo
ecologica, economica e politica. I problemi che l’uomo contemporaneo sta
affrontando sono solo gli effetti del vero problema, la cui radice è
nell’uomo stesso. La mente umana ha una visione frammentaria e distorta
della realtà e perciò l’individuo è vittima di false identificazioni e
contraddizioni che dividono e conducono al conflitto. Viviamo in quella
che è chiamata l’era dell’alienazione (parola che significa: “Avere
perso il contatto con la propria essenza”). Siamo cresciuti in una
società dominata da ideologie che ci hanno educato a vivere in lotta con
noi stessi attraverso il controllo e la repressione di ciò che è vitale
e spontaneo. Così si è perduto ogni contatto con la saggezza psichica
che la natura elargisce a chi sa ascoltare la voce del cuore.
Se l’uomo confonde i simboli con la
realtà e agisce in funzione del suo ego condizionato è davvero fuori
strada. Siamo stati educati a identificarci in ruoli e maschere e a
competere per il successo, dimenticando che per vivere pienamente
dobbiamo trovare noi stessi e, liberi dagli inganni concettuali,
dissolvere l’egoismo che separa. L’individuo che perde il contatto con
il qui e ora non è in grado di fluire con la vita in modo
spontaneo e intuitivo. Divenuto schiavo di un io condizionato da attese e
timori, non vive nel presente, perché la mente domina l’uomo come un
servo che ha reso schiavo il padrone. Vivendo prigionieri del tempo
psicologico che il pensiero crea, non si percepisce la realtà e il
dialogo interno non permette di ascoltare la voce dell’intuizione.
Se la mente è dominata dalla preoccupazione e dallo sforzo, crea un
mondo senza amore, privo di bellezza e poesia in cui non ci può essere
vera felicità. L’io con cui la mente s’identifica non potrà mai sentirsi
ispirato, né il pensiero autoreferenziale può abbracciare la profondità
e l’Unità dell’Essere. Così invece di vivere in armonia spontanea, si
sperimenta ciò che i buddhisti chiamano Dukkha e in tale condizione di
sofferenza non si è in grado di esprimere la propria intelligenza né il
potenziale creativo.
Come liberarsi dalla sofferenza
Secondo la metafora Buddhista Dukkha è una condizione di sofferenza (etimologicamente: difficile da sopportare, da du = difficile e kha = sopportare). La dottrina del Buddha indica la via personale e immediata di liberazione dalla sofferenza. “Una cosa sola io insegno”, diceva, “il dukkha e la liberazione dal dukkha”. Di solito è tradotto con “sofferenza e la liberazione dalla sofferenza”.
Secondo la metafora Buddhista Dukkha è una condizione di sofferenza (etimologicamente: difficile da sopportare, da du = difficile e kha = sopportare). La dottrina del Buddha indica la via personale e immediata di liberazione dalla sofferenza. “Una cosa sola io insegno”, diceva, “il dukkha e la liberazione dal dukkha”. Di solito è tradotto con “sofferenza e la liberazione dalla sofferenza”.
Secondo il Buddha, la prima nobile verità è che la vita è sofferenza e la causa dell’infelicità è il rifiuto di accettare i “tre segni dell’essere”, che sono Anicca, cambiamento o impermanenza costante dei fenomeni (e la sofferenza che deriva dall’attaccamento alla permanenza); Anatta, l’irrealtà dell’Io come unità permanente, autonoma e indipendente (e la sofferenza che deriva dall’identificazione con esso che conduce all’illusione ); Dukkha, la sofferenza nel senso più lato (desiderare ciò che non si può ottenere è sofferenza, frustrazione che deriva dall’incapacità di vivere in armonia e autenticità con ciò che è per la falsa identificazione con l’io separato).
La depressione è così diffusa, perché abbiamo perso il contatto con la nostra anima.
L’uomo raggiunge il Nirvana, in altre
parole pone fine ai conflitti interiori, quando riconosce questi tre
aspetti dell’essere e raggiunge la liberazione dalla ruota del Samsara,
attraverso la comprensione dell’interdipendenza degli opposti e
dell’illusorietà dell’io. L’accettazione totale dei tre segni
dell’essere culmina nell’esperienza del risveglio, che è il passaggio
dalla visione duale della vita all’esperienza diretta della non-dualità.
Per il risvegliato, libero dagli inganni dell’io il Samsara è il
Nirvana. Come diceva Alan Watts: “Poiché nulla esiste se non il
presente, se non si può vivere nel presente, non si può vivere in nessun
luogo”.
Viviamo per cogliere l’attimo eterno che si manifesta quando
l’io e il pensiero scompaiono, ma ci hanno insegnato a sdoppiarci
interiormente in “controllore e controllato” e a resistere alla vita. Un
antico testo classico del Mahayana dice: “gli esseri viventi cercano
sempre da qualche altra parte, attaccandosi ai fenomeni e così facendo
perdono tutto, perché andando alla ricerca del Buddha con la loro idea
del Buddha e ricercando la mente con la loro mente erronea, anche
sforzandosi per interi kalpa, non potrebbero approdare a niente”.
Essi ignorano che il Buddha appare spontaneamente a chi cessa di evocarlo liberandosi dal processo del pensiero. Il pensiero è uno strumento meraviglioso, ma è diventato il nostro peggior nemico giacché ne siamo divenuti schiavi. Il pensatore (che chiamiamo io) è un prodotto del pensiero e quando questo pensatore (che è esso stesso solo un pensiero), cerca di controllare i pensieri si trova ovviamente in una situazione frustrante e paradossale. Nell’attenzione libera dal pensiero concettuale l’io scompare e osservatore e osservato si manifestano come unità nel flusso spontaneo del divenire.
Anche chi ha innati valori spirituali è in genere mal indirizzato dalle religioni, che hanno perduto il messaggio originario di cui erano portatrici, per diventare anch’esse strumenti di controllo sociale e politico e spesso di un moralismo colpevolizzante che, come abbiamo visto, fa più male che bene.
Secondo la Filosofia Perenne l’uomo in
essenza è di sostanza divina e se percorre il cammino
dell’autoconoscenza, può raggiungere lo Spirito Universale di cui è
espressione. La visione materialistica Freudiana che ha profondamente
influenzato la nostra cultura afferma invece che all’interno dell’uomo
c’è solo il bambino perverso polimorfo, non lo Spirito che ci guida al
risveglio transpersonale, ma un’animale che deve essere domato e
addomesticato.
Pare proprio che il nichilismo profetizzato da Nietzsche imperi ovunque. Non c’è da meravigliarsi quindi se in questi anni la depressione si è tanto diffusa in tutto il mondo e in ogni classe sociale, non solo nelle forme acute e croniche ma anche come un mal di vivere che pare ormai endemico. Quando si è depressi l’esistenza pare priva di senso perché si è perso il contatto con l’energia vitale e con le profondità della psiche e con il vero Sé, che è sorgente e sostanza della Vita.
E se provassimo a respirare in modo corretto?
Non intendo qui esaminare luci e ombre dei più comuni interventi farmacologici e i diversi tipi di depressione. Voglio invece rivolgere l’attenzione alle efficaci soluzioni alternative al diffuso malessere dell’uomo contemporaneo, sia nelle forme più lievi sia in quelle più acute, secondo la prospettiva Bioenergetica e Transpersonale.
Non intendo qui esaminare luci e ombre dei più comuni interventi farmacologici e i diversi tipi di depressione. Voglio invece rivolgere l’attenzione alle efficaci soluzioni alternative al diffuso malessere dell’uomo contemporaneo, sia nelle forme più lievi sia in quelle più acute, secondo la prospettiva Bioenergetica e Transpersonale.
Da
decenni osservo la relazione tra i disturbi dell’umore e la
respirazione e ho costatato che tecniche esperienziali che si basano
sulla respirazione intensa (come il Rebirthing Transpersonale o la
Respirazione Olotropica di Stanislav Grof) sono un’efficace alternativa
ai farmaci, non comportano controindicazioni e soprattutto hanno una
percentuale di successo molto alta.
Il depresso ha un respiro… depresso, spesso prova oppressione toracica e
percepisce di avere dei blocchi energetici che gli tolgono vitalità e
lo rendono nervoso, vulnerabile e insicuro. Il corpo umano reagisce a
ogni stimolo doloroso o spiacevole irrigidendo la muscolatura. Ripetute
sensazioni sgradevoli fanno acquisire una tensione che, col tempo, può
assumere caratteristiche di cronicità e poiché la tensione influenza la
respirazione si innescano disturbi a catena e non si sa più se “sono
teso perché sto male” o “sto male perché sono teso”.
Quando respiriamo male siamo intossicati, respirare irregolarmente o troppo poco condiziona importanti stati neurofisiologici e i nostri conflitti interiori influenzano a loro volta la respirazione; e col tempo la tensione cronica ci imprigiona nella corazza psicosomatica. Si trattiene il respiro per sentire meno la tensione latente, ma così facendo, a causa della cattiva respirazione, compariranno debolezza, apatia e depressione e l’analisi intellettuale dei problemi non aiuta a ritrovare sè stessi e la voglia di vivere.
Dal momento che si cerca di controllare le emozioni reprimendo il respiro, si è nella condizione in cui ogni tentativo di riacquistare una respirazione più profonda sarà sgradevole, perché tenderà a far riapparire le emozioni represse. Si stabilisce, insomma, una sorta di circolo vizioso, perché quando si mantiene il respiro al di sotto di una certa soglia (limitato nella sua ampiezza, profondità e irregolare nel ritmo) l’energia decade, mentre quando, senza neppure accorgercene, si aumenta il flusso respiratorio, insorgono l’ansia e la paura che qualcosa possa erompere incontrollatamente. Questo semplice meccanismo è spesso alla base del mal di vivere e, come ho potuto constare molte volte, anche della depressione vera e propria e anche di quella patologia, tanto diffusa al giorno d’oggi, che vede alternarsi stati di ansietà e di depressione per l’alternarsi di iper e ipoventilazione in soggetti che non soffrono di alcun disturbo neurologico o psicologico tale da giustificare quel malessere esistenziale.
Sono
comuni in questi casi il senso d’oppressione toracica, di mancanza
d’aria, lo spossamento, l’apatia, la tensione muscolare, i disturbi del
sonno e le apnee notturne. Da ciò derivano difficoltà di concentrazione,
insicurezza e depressione.
La medicina ufficiale basata quasi esclusivamente sull’intervento farmacologico, prende in considerazione solo il metabolismo cerebrale e suoi squilibri. I disturbi depressivi molto spesso invece, non hanno come causa prima squilibri del chimismo cerebrale, ma derivano da squilibri dell’energia vitale e dalle erronee identificazioni dell’io che danno origine ad alterazioni del metabolismo cerebrale. Se si guarda all’uomo nella sua totalità, si deve riconoscere l’importanza dell’equilibrio dei corpi sottili e del Prana-energia quale fondamento di tutte le manifestazioni vitali e al tempo stesso base dell’equilibrio psichico necessario per superare gli inganni mentali ed entrare in dimensioni transegoiche sino alla conoscenza del vero Sé.
Respirazione, disagi esistenziali ed energia vitale
Quasi tutti gli individui cosiddetti normali presentano irrigidimento toracico e subventilazione più o meno evidenti e recentemente si è scoperto che questa è una delle principali concause dei disagi esistenziali, dell’ansia e della depressione. Il modo più rapido per risolvere questo tipo di problema consiste nel riattivare una buona respirazione con esercizi specifici che implicano un parallelo percorso di autoconoscenza e un contenitore appropriato per gli stati non ordinari di coscienza.
Quasi tutti gli individui cosiddetti normali presentano irrigidimento toracico e subventilazione più o meno evidenti e recentemente si è scoperto che questa è una delle principali concause dei disagi esistenziali, dell’ansia e della depressione. Il modo più rapido per risolvere questo tipo di problema consiste nel riattivare una buona respirazione con esercizi specifici che implicano un parallelo percorso di autoconoscenza e un contenitore appropriato per gli stati non ordinari di coscienza.
Queste ricerche hanno portato a una radicale revisione delle più comuni opinioni riguardanti l’iperventilazione. L’iperventilazione, invero, seppure possa provocare sensazioni intense, non comporta alcun pericolo. L’alterazione del respiro può indurre catarsi liberatorie di gran valore ma dopo poche sedute tutti i sintomi caratteristici dell’iperventilazione scompaiono e la respirazione intensa produce solo sensazioni gradevoli e stati di espansione della coscienza. Questo metodo non è solo una ginnastica respiratoria, perché al pari dello Zen e degli insegnamenti dei Maestri dell’Advaita è diretto al risveglio coscienziale e alla liberazione. Con la liberazione del respiro la depressione scompare rapidamente e con il recupero della vitalità inizia un processo di risveglio della consapevolezza che dissolve gli inganni mentali e i condizionamenti.
Il processo di riarmonizzazione del respiro è accompagnato da stati di coscienza non ordinari, insight profondi e stati di consapevolezza espansa di grande valore terapeutico, che devono essere vissuti in un contesto opportuno in presenza di un assistente esperto. Con questi esercizi di respirazione opportunamente indirizzati alla conoscenza del Sé, sin alle prime sedute si nota netto miglioramento sia della sicurezza interiore, sia della qualità del rapporto con il mondo.
Il soggetto libero dai blocchi psicosomatici, dagli squilibri energetici e dagli inganni dell’io, è nuovamente in grado di esprimere le sue potenzialità e talenti e di vivere con pienezza, serenità e saggezza le gioie e i dolori della vita. Guarda al mondo come chi partecipa a una rappresentazione di cui è attore e spettatore. Un Teatro che appare con l’apparire della consapevolezza al risveglio e scompare nel sonno, che ha lo scopo nascosto di portarci al risveglio al vero Sé che è oltre la veglia, il sonno e il sogno ed è la sorgente di consapevolezza e beatitudine.
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