Finiti i botti, si può anche
sospendere la campagna elettorale
Se lo devono
essere detti l’MI5, l’MI6, la loro dependance Scotland Yard, i fratelloni
Mossad, CIA e i suoi 14 nipotini in Usa, i cugini delle varie marche imperiali
europee, alla vista di uno che s’impegnava per un apocalittico cambio “dalla politica
per i pochi alla politica per i tanti”
(Jeremy Corbyn). Roba mai vista da quando l’UE è entrata in funzione su mandato
Rothschild, Rockefeller, Bilderberg e galassia finanziaria globale.
Anatema. E
così, dopo gli impiegati e il poliziotto sul Ponte di Westminster e i
ragazzetti al concerto di Manchester, è toccata ai flaneur e alle flaneuses serali
sul London Bridge e nei pub sottostanti a finire, come va il trend di questi
tempi, sotto un veicolo e tra le lame dei servizi. 4 morti, più 22, più sette =
33, più parecchie decine di feriti, mutilati, menomati. Esito di una battaglia
elettorale sul destino dei pochi e dei tanti. La May, primo ministro, ha
cancellato quanto restava della campagna dei tanti. Se ne poteva fare a meno.
Forse.
A Torino,
nel tempo accuratamente costruito dal terrorismo di regime e media, in cui, se
cade per terra un mazzo di chiavi, o
esplode una miccetta, o qualcuno starnuta forte, scatta il panico da attentato
e conseguente fuga tumultuosa che travolge e schiaccia chi non corre abbastanza
veloce, o non trova varchi, o è inciampato, per una partita virtuale su
maxischermo si contano mille feriti e alcuni a portata di Caronte. In entrambi
i casi, come in tutti quelli del prima e del dopo, il risultato è raggiunto. Colpendo
nel mucchio.
Di quelli che non c’entrano niente. Di quelli spendibili. Non una
volta che si spari una bazookata contro le finestre di Goldman Sachs, o si
faccia saltare la corrente alla NATO a Bruxelles, o si infili un candelotto
sotto il sedile dell’ambasciatore saudita. Che sia mai. Non facciamoci del male
da soli.
A cui si
aggiunge un’altra considerazione. Social, vanterie degli specialisti e dei ministri della “Sicurezza”, gole profonde
della NSA, perfino il Report disinquinato di Sigfrido Ranucci (RAI 3), o le
voci alternative di Pierluigi Paragone (La7), ci informano a valanga di quanto
tutti siamo controllati, di come non sfuggiamo neanche al cesso o nell’alcova,
di come il nostro cellulare racconti al collegato di che pasta siamo fatti e che
pasta consumiamo, insomma come nulla di nessuno sfugga al Grande Occhio.
Grande Occhio onnivedente e onniconoscente che
resta cieco o chiuso quando gli formicolano davanti migliaia di reclute
dell’Isis (chiamiamole così, per non disturbare), istruite nelle carceri o nei
campi di Siria e Iraq, pendolari tra sgozzamenti a Mosul e Raqqa e
deflagrazioni o piraterie stradali in Europa. “Li conoscevamo, li abbiamo anche
registrati, ma poi li abbiamo persi di vista…”. Volatilità, volubilità, spensieratezze, disattenzioni,
dei servizi di intelligence. Son ragazzi. Sempre meglio che farsi scoprire
mandanti. “Tanto poi li secchiamo tutti”.
Basterebbe sparare alle gambe, o tirare una siringa come alle pantere randagie,
o un po’ di gas come i russi nel teatro di Mosca….Ma i morti non parlano.
Riscaldamento? Tutte balle.
Veramente
volevo parlare d’altro. Poi questi ti prendono alla sprovvista e impongono le
loro priorità. La storia migliore di questi giorni, prima di Londra e Torino,
era quella di Trump distruttore del clima, terminator
del pianeta. Esecrazioni, scomuniche, imprecazioni, sacrilegio.
Tutti, nel
solito arco da sinistra a destra, dal “manifesto” a Hillary Clinton
(gemellaggio di antica data, celebrato da Soros), a fare i belli, puri e lindi
e a candeggiare più bianco del bianco
l’unico nero di pelle e il più nero di tutti nell’anima che sia mai
entrato nella Casa Bianca. L’ipocrisia al suo sublime.
Vediamo come
stanno le cose partendo da un po’ più lontano. Sono i vuoti di memoria con cui
ci fregano.
Quel manigoldo inquinante di Trump,
quei santi ecologisti di Clinton, Gore e Obama
C’ero
anch’io al vertice del clima di Kyoto, Giappone, che si concluse con il peto
omonimo chiamato accordo, del quale tutti poi negli anni, per loro i secola
seculorum, se ne sono solennemente impippati. Brava gente, convinta di dover
sistemare le cose, era andata fin sotto il Sol Levante a vedere di salvare
cormorani, balene, foreste e vecchietti a rischiodi disidratazione. S’era visto
un laborioso tira e molla tra
volenterosi (quelli in via di
soffocamento, o di annegamento) e neghittosi (quelli dello “sviluppo”).
Si era arrivati a un qualcosa di appena decente che avrebbe dovuto assicurare
il contenimento del riscaldamento climatico (a proposito di uova e galline: chi se ne frega se antropico o ciclico:
il dato è la temperatura che sale e i gas che contribuiscono), prima che
arrivasse Al Gore,. Si, fu quel Al Gore, che successivamente ecologisti e
ambientalisti di bocca buona incoronarono principe senza macchia e paura della, peraltro inusitatamente profittevole,
Green Economy, a far saltare tutto.
Kyoto rasa al suolo da Gore
Ricordo che,
piombato nella conferenza l’ultimo giorno, a buon accordo concluso, noi
cronisti stavamo in una sala d’attesa dove il vice di Bill Clinton (marito
della candidata cult del “manifesto”), animalista di prima classe canina, ci
aveva lasciato in compagnia del suo
monumentale pastore tedesco. Unico membro della delegazione Usa, avremmo
scoperto poi, a non impegnarsi per la rovina del globo. Gore prese a
schiaffazzi chiunque avesse anche solo
un cappellino verde in testa, fin i poveri presidenti delle isolette del
Pacifico con l’acqua alla gola, cancellò ogni cosa, ogni impegno vincolante e
Kyoto generò l’aborto del cosiddetto mercato delle vacche per le emissioni
clima mutanti: i ricchi comprano licenze di inquinamento dai poveri puliti.
Cioè le multinazionali comprano il diritto a inquinare in altre aree del mondo,
appunto quelle povere e sottosviluppate. Gore, tirando pugni sul tavolo,
sentenziò che gli Usa non avrebbero firmato nessuna cosa che avrebbe imposto
agli Usa e ai paesi industrializzati di ridurre le emissioni. L’inquinamento si
fece merce e si poteva vendere e comprare nella forma dei “diritti di
inquinamento”. Accordo di Kyoto a
puttane. Né più né meno di Trump.
Un milione a chi trova un presidente
Usa ecologista
E né più né
meno di Trump pure Obama, al vertice di Copenhagen e poi al COP21 di Parigi,
solo che questo imperatoraccio killer di massa, nudo agli occhi di chi ha a
cuore le sopravvivenza di sé, dei figli e degli altri viventi, viene rivestito con
abiti sfolgoranti di candore da ancelle come “il manifesto” e altri commensali
dell’imperialismo. Trovatemi un solo presidente Usa, da quando la questione
ambientale e climatica è diventata un dramma della sopravvivenza, che non si
sia mosso in direzione ostinata e contraria alla salvaguardia dell’ambiente.
Che non sia quello delle tenute sue e dei suoi mandanti e cortigiani.. La linea
è sempre quella, come in politica estera: dettata dai rettili aggrovigliati
nello Stato Profondo.
Ah, l’Arcadia perduta di Obama!
Grandi annunci, grandi obiettivi, grandi
impegni a vincolare il riscaldamento sotto i 2 gradi Ma…. Provvedimenti
vincolanti e sanzioni in caso di mancata osservazione, zero. Tutta la COP 21 e
i relativi festeggiamenti, fuffa. Anzi, truffa. E Snowden fece trapelare
documenti che rivelavano come gli Usa, con le loro agenzie di intelligence, spiassero
le altre nazioni (soprattutto le più volenterose: Danimarca e Cina), onde
scatenare pressioni e lobby sui reprobi che si fossero azzardati a esigere
condizioni vincolanti e sanzionabili. Le
associazioni ambientaliste serie definirono il COP21 una farsa, una vergogna,
un raggiro.
Le altre, allora a far finta e, oggi, a farsi rapire dalla
nostalgia, come nel quadro del fiammingo Frans FranckenII: pastorelli gioiosi e ninfe infiorettate che
intrecciano danze ecologicissime a celebrare una finta Arcadia dell’armoniosa
convivenza tra tutte le creature senza, sopra, neanche un filo di fumo nero e,
sotto, una goccia d’acqua sozza.
E poi, per clima e ambiente, c’è la
cura “guerra”.
Tanto per la
coppia ambientalista Obama-Clinton. Quella a cui si ispira l’eco-indignato
regime italiota mentre taglia fondi alla rinnovabili, promuove quelle fossili e
intossica mari e terre con trivelle e pipeline. Quella del disastro Halliburton-BP
nel Golfo del Messico.
Quella del lancio
delle estrazioni più nocive, inquinanti e sismogeniche: scisti bituminosi e fracking.
Quello delle sette guerre dove far
passare oleodotti e gasdotti che rispondessero a Washington e ai suoi ufficiali
pagatori nel Big Oil.
Sette guerre, Afghanistan, Pakistan, Libia,
Siria,
Iraq, Yemen, Somalia, che già per conto loro, trasformando trilioni di
dollari
di cittadini in dimagrimento in milioni
di tank, blindati, veicoli aerei, navi, esplosivi e relativi carburanti,
tutti
all’ingrasso, tutti climamutanti, sono una bella dimostrazione di quanto
Obama
fosse migliore dello sproposito Trump. Tanto più che, a forza di uranio
impoverito e un trilione per l'ammodernamento delle sue atomiche, ha
pensato anche alle generazioni future.
fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/06/corbyn-tallona-may-urge-attentato-trump.html
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