La
“Brexit” getta una luce particolarmente cruda sulla strategia del
“federalismo furtivo” adottata dai capi dell’UE col Trattato di
Maastricht e la conseguente ideologia europeista alla base di tale
strategia. In realtà tale strategia, e il suo strumento privilegiato,
l’Euro, hanno provocato la reazione degli elettori inglesi, esortandoli
non a lasciare l'”Europa”, come alcuni sostengono, ma una particolare
istituzione, l’Unione Europea. La scelta degli elettori inglesi è stata
in gran parte spiegata [1].
Il fatto che figure del governo inglese,
come il ministro della Giustizia Michael Gove, abbiano chiesto un voto
per l’uscita europea, è significativo. La Brexit mette in discussione
quello che oggi è la spina dorsale della politica qualificata
europeista, quella di François Hollande e di Angela Merkel. L’impatto va
ben oltre l’uscita di un Paese dall’UE, la Gran Bretagna, la cui
adesione all’UE era in realtà molto esigua. La crisi della strategia
europeista è una svolta. Solo sbarazzandosi dell’aporia europeista si
può davvero pensare a una costruzione europea.
I fondamenti ideologici del federalismo furtivo
In primo luogo è necessario capire il cosiddetto processo del “federalismo furtivo” adottato dal Trattato di Maastricht e che s’incarna nell’euro. Tale strategia si basa sul rifiuto delle Nazioni, rifiuto collegato alla diffidenza o vero e proprio odio per le Nazioni. Pertanto aderiscono a tale approccio liberal-conservatori, chi pensa che la nazione moderna implichi la democrazia e chi resta fedele a una profonda sfiducia verso chi ha un pensiero conservatore, gli ex di “sinistra” (Cohn Bendit ne è un esempio) che odiano la Nazione in quanto cumulo di mediazione radicata nella storia percepita d’ostacolo alla loro visione millenarista ed apocalittica del “fine” della storia [2], e i socialdemocratici che cercano di trasporre in uno Stato superiore la poca incidenza delle loro politiche che gli impedisce di aver successo nel quadro nazionale.
In primo luogo è necessario capire il cosiddetto processo del “federalismo furtivo” adottato dal Trattato di Maastricht e che s’incarna nell’euro. Tale strategia si basa sul rifiuto delle Nazioni, rifiuto collegato alla diffidenza o vero e proprio odio per le Nazioni. Pertanto aderiscono a tale approccio liberal-conservatori, chi pensa che la nazione moderna implichi la democrazia e chi resta fedele a una profonda sfiducia verso chi ha un pensiero conservatore, gli ex di “sinistra” (Cohn Bendit ne è un esempio) che odiano la Nazione in quanto cumulo di mediazione radicata nella storia percepita d’ostacolo alla loro visione millenarista ed apocalittica del “fine” della storia [2], e i socialdemocratici che cercano di trasporre in uno Stato superiore la poca incidenza delle loro politiche che gli impedisce di aver successo nel quadro nazionale.
Tali diverse versioni della nazione si articolano
in modi specifici a seconda della cultura politica di ogni Paese. In
Francia c’è la combinazione delle dimissioni di gran parte della classe
politica nel 1940 con il trauma delle guerre coloniali. In Germania c’è
il peso della colpa collettiva del nazismo, aggravato dal trauma della
divisione in due nel 1945-1990, che spiega l’avanzata dell’europeismo
nell’élite. La Germania, Paese oggettivamente dominante dell’UE, non si
permette di pensare alla propria sovranità e non può vivere che
contrabbandandola secondo la formula della sovranità “europea”. Non si
possono capire altrimenti gli errori politici commessi nei confronti
della Grecia sulla questione dei rifugiati, errori che perseguitano oggi
Angela Merkel.
In Italia c’è ancora la combinazione tra l’episodio
mussoliniano e gli “anni di piombo” che ha convinto gran parte della
classe politica che l’Unione europea sia l’unica soluzione per la
nazione italiana. E si possono moltiplicare gli esempi includendo Paesi
che non si amano i(Spagna, Portogallo) o che sanno di essere
irrimediabilmente divisi (Belgio). Ma questo è ovviamente un progetto
politico nato dall’odio di sé che non può avere futuro. Questa è la
prima falla dell’europeismo e del federalismo furtivo che, generati da
una visione essenzialmente negativa, non hanno un futuro promettente.
Il ruolo politico dell’euro
Questo progetto è essenzialmente incarnato dall’euro. Il crollo
politico dell’accettazione dell’idea di moneta unica, mentre le
condizioni necessarie per il successo non c’erano per nulla, e sarebbe
stato molto più logico attenersi a una moneta comune, una moneta che
coprisse senza sostituire quelle nazionali, si spiega con ragioni
politiche e psicologiche imperiose [3]. Anche in questo caso diversi da
Paese a Paese, ma tutti convergenti nell’idea che una volta creata la
moneta unica, i Paesi della zona euro non avrebbero avuto altra scelta
se non il federalismo.
Ciò che fu però trascurato nel processo era che
il federalismo non è un obiettivo unificante. Ci possono essere varie
forme di federalismo. E l’assenza di una discussione pubblica, di un
dibattito in contraddittorio, sulla strategia che impone furtività e
occultamento impediva di poter scegliere tra le diverse forme di
federalismo. Così la Germania progetta il federalismo come sistema che
gli dà voce nella politica degli altri Paesi, ma senza pagarne il costo
economico. Un federalismo squallido. La Francia vede nelle strutture
federali la continuazione della propria costruzione dello Stato,
intendendo imporre un federalismo che dia vita a un nuovo Stato-nazione,
ignorando però proprio la specificità della storia, e il fatto che
nazione e popolo furono costruiti in parallelo (e con più interazioni)
per quasi 8 secoli.
Da questo punto di vista, solo la storia della Gran
Bretagna è pienamente comparabile. L’idea implicita era creare così ciò
che l’impero napoleonico non poté con la forza. Tale idea è basata sulle
illusioni dell’universalismo francese che confonde valori con principi.
E’ tale enorme errore che ha spinto i funzionari francesi di destra e
sinistra in un vicolo cieco. Ciò che deriva dall’opzione federalista è
sia un concetto politico, che sarebbe il “sovrano”, che una questione
economica, quella dei trasferimenti. Si sa, avendolo detto in molte
occasioni, che tali trasferimenti costerebbero circa il 10% (dall’8% al
12% secondo gli studi) del PIL tedesco per il “bilancio federale” [4].
Non sorprende quindi che i tedeschi non li volessero perché, in realtà,
non possono. Il rifiuto della Germania di rivedere le regole per
consentire all’Italia di affrontare la crisi bancaria, mostra tutti i
limiti del concetto di solidarietà, essenziale in una federazione. Ma se
tale solidarietà non c’è, come convincere la popolazione a fondersi
democraticamente in un grande insieme? E qui troviamo la questione
politica del sovrano [5]. Il “federalismo” è condannato o a non esistere
o ad assumere la forma di federalismo meschino di voce asimmetrica
della Germania nella politica degli altri Paesi.
Questa è la conclusione
di Joseph Stiglitz nel suo ultimo libro [6], di cui una traduzione
francese uscirà questa estate. Se mettiamo fine all’euro o volgiamo
verso un federalismo che né i tedeschi né gli olandesi vogliono, l’euro
sarà la morte dell’UE, ma anche, e questo è grave, dell’idea di
cooperazione in Europa.
La responsabilità degli europeisti
Già ora il danno dall’euro è grave. Progettato per riunire l’Europa, l’euro in realtà ha fatto l’opposto: dopo un decennio senza crescita, l’unità è stata sostituita da dissenso e l’espansione dal rischio di uscirsene. La stagnazione dell’economia europea e le oscure prospettive attuali sono il risultato diretto dei difetti fondamentali insiti nel progetto dell’euro, un’integrazione economica tale da prevalere sull’integrazione politica, con una struttura che promuove attivamente le divergenze piuttosto che le convergenze. Ma più importanti sono le conseguenze politiche [7].
Già ora il danno dall’euro è grave. Progettato per riunire l’Europa, l’euro in realtà ha fatto l’opposto: dopo un decennio senza crescita, l’unità è stata sostituita da dissenso e l’espansione dal rischio di uscirsene. La stagnazione dell’economia europea e le oscure prospettive attuali sono il risultato diretto dei difetti fondamentali insiti nel progetto dell’euro, un’integrazione economica tale da prevalere sull’integrazione politica, con una struttura che promuove attivamente le divergenze piuttosto che le convergenze. Ma più importanti sono le conseguenze politiche [7].
L’Unione europea (e non solo la zona euro) è
impegnata in un processo politico dove la democrazia viene gradualmente
tolta alla gente. Il Trattato “Merkozy” o TSCG, votato dalla Francia nel
settembre 2012, è esemplare in tal senso. E la rivolta democratica in
Gran Bretagna può essere letta come reazione a tale meschino
federalismo, che gradualmente s’istituisce grazie alla volontà del
governo tedesco e alla passività del governo francese. Oggi è chiaro che
dobbiamo liquidare l’europeismo e i suoi strumenti, se non vogliamo
ritrovarci in pochi anni o addirittura mesi in una situazione di
conflitto tra nazioni che, troppo a lungo negate, non troverebbero più
spazio in cui è possibile un compromesso tra interessi diversi. È
pertanto opportuno dire quale sia la responsabilità storica dei
pro-europeisti, della loro ideologia in odio delle Nazioni, e del loro
strumento, l’euro.
Nella crisi che affrontiamo oggi, in cui l’uscita
dall’Europa del Regno Unito è solo un aspetto, e la crisi del sistema
bancario italiano un altro, la responsabilità degli europeisti e di
tutti coloro che li hanno lasciati fare, è centrale; fondamentale. La
rottura con l’ideologia europeista è dunque un atto di sicurezza. Di per
sé insufficiente. Rifiutare tale ideologia, voltare le spalle al
federalismo furtivo, riconoscere la nazione in cui vive e si nutre la
democrazia, non produrrà una soluzione immediata. Ma renderà possibile
la ricerca di una soluzione, sia in Francia che in Europa.
È certamente
una condizione insufficiente ma assolutamente necessaria. Questa
soluzione è già stata sollevata con l’idea della Comunità delle nazioni
europee. Sarà sicuramente specificata e può essere modificata, ma almeno
è in questa direzione che dobbiamo andare.
Jacques Sapir, Russeurope 30 giugno 2016
Note
[1] Sapir J., Brexit (e champagne)
[2] Cfr L’odio della sinistra per la sovranità
[3] Sapir J. Dovremmo lasciare l’euro?, Le Seuil, Paris 2012.
[4] Sapir J., Macron e il fantasma del federalismo nella zona euro e Federalismo?
[5] Sapir J., Sovranità, Democrazia, Laicità, Parigi, Michalon 2016.
[6] Stiglitz, J., L’Euro – Come una moneta minaccia il futuro dell’Europa, Penguin, Londra, maggio 2016
[7] Bloomberg
[1] Sapir J., Brexit (e champagne)
[2] Cfr L’odio della sinistra per la sovranità
[3] Sapir J. Dovremmo lasciare l’euro?, Le Seuil, Paris 2012.
[4] Sapir J., Macron e il fantasma del federalismo nella zona euro e Federalismo?
[5] Sapir J., Sovranità, Democrazia, Laicità, Parigi, Michalon 2016.
[6] Stiglitz, J., L’Euro – Come una moneta minaccia il futuro dell’Europa, Penguin, Londra, maggio 2016
[7] Bloomberg
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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