L’inviata di RT (Russia Today, canale satellitare russo diffuso a livello mondiale, ndt) Anastasia Churkina si è diretta verso la sede della base militare della più scandalosa prigione americana e ha scoperto un potente meccanismo di copertura.
Il volo da Fort Lauderdale, in Florida, a Guantanamo è stato l’unico della mia vita che, decollando da un aeroporto pubblico, non fosse stato prima segnalato sul tabellone delle partenze. Solo una manciata di persone in attesa all’imbarco. Qualche soldato cupo e dall’aspetto stanco- giovani sui vent’anni – e i membri dello staff molto meno eccitati di noi, in quanto, ovviamente, saranno stati in questo posto completamente nascosto già dozzine di volte.
Non so se sia stato il nostro entusiasmo a generare la sensazione di mistero nelle nostre menti, ma quando un’addetta del Duty Free mi chiese dove ero diretta, alla mia risposta “Guantanamo”, replicò, con un sorriso vivace sulle labbra: “Oh, le Bahamas – giusto?” Io annuii. E così ebbe inizio l’occultamento.
Quando molti di noi sentono parlare della prigione di Guantanamo o la immaginano senza averla vista di persona, pensano ad un luogo oscuro e inquietante, circondato da filo spinato, con cancelli che si chiudono ma non si aprono, carcerati con tute arancioni e mani ammanettate dietro la schiena, torture, scioperi della fame e costrizioni alimentari. Immagini di prigionieri della guerra al terrorismo dell’America, che si sono formate nel corso di oltre un decennio. In realtà, gli ufficiali americani che gestiscono il sistema, lavorano duramente per assicurarsi che nessuna controversia possa essere testimoniata dai giornalisti in visita, o addirittura che nessuno dei dipendenti della base parli con loro. Lo staff del carcere fa tutto ciò che può per far sì che le testimonianze dei giornalisti siano tali da non aver realmente niente a che fare con quel luogo notoriamente scandaloso, come più volte denunciato da U.S. Human Rights fin dal 2002.
Nessuna delle interviste organizzate per noi sul posto dal team di Guantanamo che si occupa dei rapporti con i media, è stata accidentale. Gli ufficiali esperti hanno imparato a minimizzare eccessivamente qualsiasi accusa mossa contro la prigione e gli elementi dello staff recentemente assunti rispondono comunemente, alle domande riguardanti torture e costrizioni alimentari, con la frase “Sono arrivato solo il mese scorso”.
I programmi per i giornalisti vengono scritti fino all’ultimo dettaglio, prima che essi mettano piede qui dentro. Un lungo documento, che delinea cosa è concesso e cosa è vietato, deve essere firmato prima che venga approvata la visita. Così vediamo cucine dove il cibo è preparato sia per i detenuti che per i soldati, la biblioteca locale, le fantastiche attrezzature sportive introdotte per i militari che lavorano qui, un grande teatro open-air e così via. Però, ciò che interessa a noi – e presumo a molte delle persone che vengono in questo posto – è la vita reale dei detenuti e le loro storie – cosa da cui siamo tenuti a distanza.
Le visite nei due settori attivi in cui ci hanno condotti, sono state così brevi che, quando sono giunte al termine, ci siamo detti: “Aspetta, tutto qui?!”. Gli ufficiali, chiedendoci di rimanere anonimi ed impedendoci di filmare i loro volti, ci hanno mostrato velocemente celle vuote preparate precedentemente proprio per le visite dei media, tutte piene di pigiami puliti, libri nuovi, oggetti e prodotti utili per la igiene personale, letterature pre-selezionate e piccole boccette di shampoo “Maximum Security”. (Chiesi se fosse uno scherzo o se quello shampoo fosse veramente diverso da quello utilizzato dallo staff. Loro dissero che non lo sapevano, ma concordarono con me sul fatto che fosse un nome assurdo).
Osservando le presunte vite dei prigionieri mostrate dallo staff del campo di detenzione, è impossibile riuscire a capire se il tutto abbia qualcosa a che fare con il reale modo in cui loro passano il tempo rinchiusi qui dentro. Nonostante le ripetute richieste, non ci è stato concesso più di un minuto per dare un’occhiata veloce, attraverso una finestra con vetri oscurati, ad un detenuto. Siamo rimasti scioccati all’idea che sarebbe stato tutto quello che avremmo potuto vedere.
Nonostante le nostre richieste di poter documentare qualcosa in più, addirittura senza filmare, ci hanno comunicato che ci era già stato mostrato a sufficienza e che il nostro programma era fin troppo pieno rispetto ad altri. Un ufficiale di alto grado ci disse che non volevano che trattassimo i detenuti come “qualcosa di curioso”. Così avremmo dovuto fare un altro tour in una radio locale, per esempio, cosa che non aveva niente a che fare con il carcere.
Lo sfondo della scandalosa prigione è inaspettato. La Guantanamo Bay è una fantastica località tropicale. Fa parte dei Caraibi, dopotutto, quindi, mi chiedo, perché dovrebbe sembrare diversa rispetto alle Bahamas o alle Bermuda? Non è così. E certamente non è zeppa di interminabili campi di prigionia e combattenti nemici dell’America scortati da guardie.
La base militare fu affittata dal Governo degli Stati Uniti molto prima che George Bush e i suoi compari ideassero il concetto moderno della guerra al terrorismo americana. La base è in affitto dal 1903 (circa un secolo). Curiosamente, secondo un contratto con i cubani, gli Stati Uniti pagano un affitto mensile di circa 4.500$ in modo da poter usufruire di queste 45 miglia-quadrate di territorio. In realtà, i cubani hanno rifiutato il denaro per decenni, ma senza riuscire ad ottenere la dipartita degli americani. Secondo l’accordo iniziale, il contratto di affitto non può cessare finché entrambe le parti non concorderanno sulla decisione. Ciò è sempre stato, ovviamente, molto conveniente per gli U.S.A.
La struttura della base militare di Guantanamo è molto simile a quella di un qualsiasi campus universitario americano. Soldati e visitatori come noi alloggiano in semplici dormitori – per lo più in coppia. Coloro che vengono impiegati qui per 6-9 mesi arrivano da soli e devono condividere la stanza con un coinquilino dello stesso sesso. Quelli che invece devono stabilirsi qui per 2-3 anni, principalmente ufficiali militari uomini di alto grado, portano le loro famiglie.
Dato che non abbiamo mai avuto tempo per noi stessi tra uno scatto e l’altro e abbiamo sempre consumato i pasti con la nostra scorta militare, specializzata nell’accompagnare ovunque i media – ho avuto poche occasioni per poter chiedere loro in che modo questo tipo di lavoro abbia influenzato le vite private di ognuno. Uno dei sergenti di grado minore, una giovane donna recentemente assunta, mi ha detto che ai soldati è permesso avere appuntamenti tra loro, ma solo con quelli dello stesso grado – non con i superiori.
Per quanto riguarda il personale militare che lavora qui, gli unici che stanno a diretto contatto con i media e, tra loro, parecchi specificatamente designati a parlare coi giornalisti, sono tutt’altro che gli stereotipati impiegati di una struttura di detenzione. Affascinanti giovani ragazzi (la maggior parte tra i 20 e i 30 anni), pieni di sogni, ottimismo e obiettivi per il futuro. Quando abbiamo chiesto loro di testimoniare sul terribile impatto che ha Guantanamo sui diritti umani negli USA, molti ci hanno risposto che non la pensano allo stesso modo. Loro sono qui per lavorare. Molti hanno anche confermato di non aver personalmente mai rilasciato testimonianze controverse e che non conoscono nessuno che l’abbia fatto.
Spesso, possiamo presumere che alcune delle risposte alle domande che rivolgiamo al personale militare che lavora qui, non siano esattamente veritiere, ma piuttosto quelle ufficiali che hanno dovuto imparare a dare. Il lavoro è lavoro, immagino.
Qualcosa tipo questa potrebbe essere una comune conversazione:
- “Va bene se ci spostiamo per l’isola per i fatti nostri?”Ben – senza la sua uniforme militare – ci accompagna a cena, siede a tavola con noi, non parla molto. Quando gli chiediamo se vuole ordinare qualcosa, risponde che ha già mangiato.
- “Certo! Potete fare tutto quello che volete, ragazzi!”
- “Allora, stasera ci piacerebbe cenare da soli in quel ristorante vicino al nostro alloggio”.
- “Buona idea. Ma vi dispiace se Ben si unisce a voi? Non ha ancora cenato.”
- “Mmm… Ceeerto.”
Ci è stato detto che ci sarebbe stato costantemente qualcuno all’ingresso del nostro alloggio – 24/7 – giusto in caso avessimo avuto bisogno di qualsiasi cosa. Realizzammo presto che non gli interessava assicurarsi che potessimo avere una ciambella nel mezzo della notte se ne avessimo ardentemente desiderata una (una richiesta che sarebbe indubbiamente stata accomodata, in caso si fosse verificata, perché tutti sono molto amichevoli e disponibili con i giornalisti in visita) – ma piuttosto per essere sicuri che non lasciassimo l’hotel non sorvegliati, girovagando per la base militare da soli. Vale la pena comunque far notare che gli effettivi campi di detenzione dove sono rinchiusi i prigionieri erano troppo lontani perché riuscissimo a raggiungerli a piedi con il nostro equipaggiamento. Ma anche se fossimo riusciti nell’impresa di andare in giro senza accompagnatori, i campi sono così ben protetti che qualsiasi speranza di raccogliere materiale extra sarebbe stata inutile.
Io e il mio cameraman Nick concordammo presto sul fatto che uno degli aspetti più estenuanti dei nostri 4 giorni di viaggio (2 intere giornate sul campo e 2 di viaggio), non è stata la sveglia alle 5 del mattino o le 12 ore passate filmando in tempi serrati e con 40°, ma la costante compagnia della nostra scorta.
Ribadisco, bravi ragazzi, ma non ci era mai capitato di lavorare così in nessun altro luogo – osservati ad ogni passo, ad ogni scatto. Alla fine di ogni giornata lavorativa, il team dei media esamina assolutamente tutto il materiale raccolto - video, audio, foto, e addirittura scenette – e cancella qualsiasi cosa che ritiene essere una violazione della sicurezza.
Una delle cinque parti del nostro servizio si focalizza nello specifico sulle regolamentazioni riguardo alla condotta dei giornalisti sul campo, ma non intendo dilungarmi oltre su tale questione. Se osservate le storie, vedrete che ci è stato permesso di filmare il volto di un solo un residente. Per tutti gli altri – dai negozianti, a chi fa jogging, fino alle giovani mamme con i bambini nei passeggini – rivelare le loro identità in qualsiasi modo era fuori questione. Ma parlando con chiunque viva alla base, tutti sostengono di amare quel luogo e che non ci sia assolutamente niente da nascondere o di cui preoccuparsi.
Gli ufficiali che gestiscono Guantanamo parlano orgogliosamente degli intrattenimenti che hanno reso disponibili per i detenuti: parecchi libri in dozzine di lingue, DVD, videogiochi, riviste che i prigionieri hanno il permesso di richiedere. Tutti questi sono accuratamente censurati prima di essere distribuiti; gli addetti alla biblioteca si assicurano che niente di estremo – dalla violenza alla sessualità – capiti tra le loro mani. È come se tutti gli svaghi celassero il fatto che molti dei detenuti qui passino la maggior parte del loro tempo senza nessuna occupazione – solamente aspettando qualcosa che non accadrà mai.
Allo stesso tempo, gli uomini di servizio alla base non hanno accesso a molte delle informazioni. Ancora più importante, è a malapena consentito qualsiasi accesso a internet, e nel caso ci fosse, ai militari è vietato visitare certi siti web come, ad esempio, WikiLeaks. Per loro, qualcosa di riservato resta sempre riservato, anche se le informazioni rilasciate da WikiLeaks sono state rese pubbliche da tempo.
Mi domando se gli uomini di servizio si ritrovino a cercare tali informazioni prima o dopo il loro impiego nella base o se preferiscano restare nell’ignoranza.
Dal 2002, la struttura di detenzione di Guantanamo ha accolto un totale di 779 prigionieri. La maggior parte di questi presunti combattenti nemici sono stati rilasciati senza nessun precedente capo d’accusa. 164 rimangono dietro le sbarre di Guantanamo, per più della metà è stato da tempo approvato il rilascio o il trasferimento. Solo 6 detenuti sono attualmente sotto processo – dei quali solo 2 sono in corso. Tutti gli altri sono in attesa. Ogni singolo giorno trascorre senza sapere cosa accadrà loro in futuro e quanto tempo ancora dovranno passare qui.
Un avvocato che lavora coi prigionieri ci ha rivelato che non c’è niente che essi desiderino maggiormente che poter condividere le loro storie con i giornalisti, poter parlare apertamente delle proprie lotte ed informare il mondo su ciò che realmente succede. Questo è, tuttavia, impossibile, perché a nessun detenuto – finché si trova nella struttura – è mai stato permesso di parlare con un giornalista. Possono trasmettere qualsiasi messaggio solo attraverso gli avvocati, o ancora, devono aspettare a raccontare le loro vicende finché non saranno stati scarcerati.
Anche se, negli ultimi anni, l’amministrazione di Obama è stata quasi sempre silenziosa riguardo Guantanamo, fatto principalmente dovuto ai miseri passi avanti per chiudere il campo, il lungo sciopero della fame di inizio anno ha riportato l’attenzione mondiale sulla prigione. Ma appena la protesta di massa è cessata, il dialogo pubblico sulla chiusura di questo posto è svanito nuovamente. Nel mentre, ci sono stati detenuti che hanno portato avanti scioperi della fame per anni, però giornalmente forzati a nutrirsi. Gli ufficiali di Gitmo (altro modo per riferirsi alla prigione, ndt) sostengono che sia il loro modo di attirare l’attenzione dei media. Qualsiasi siano le ragioni, gli scioperi della fame qui portano alla dolorosa, quanto non-etica, procedura (in accordo con illustri associazioni mediche) di avere un tubo spinto a forza, attraverso una narice, giù per lo stomaco.
Inoltre, questi ufficiali fingono di non aver mai sentito le critiche, confidandoci che il massimo che gli sia stato detto dai “pazienti” è “è fastidioso”. La mia indagine per provare queste possibili costrizioni alimentari è stata rifiutata.
La scusa ufficiale per non aver chiuso il campo di prigionia – come Obama aveva promesso proprio nel suo primo giorno di mandato – e che la Casa Bianca ha citato, è che il Congresso si è opposto. Numerosi esperti legali con cui abbiamo parlato, comunque, sostengono che basterebbe il potere decisionale del Presidente. Se veramente Barack Obama volesse la chiusura di Guantanamo, potrebbe farlo oggi stesso. Ma anche in tale caso, il detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” non sarebbe applicato: dopo oltre un decennio passato a deturpare l’immagine dell’America con questo discutibile capitolo della storia moderna, il concetto di Guantanamo rimarrà impresso a lungo, perseguitando Washington per ancora molti anni a venire.
Anastasia Churkina, corrispondente internazionale di RT
Affermazioni, punti di vista e opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente legate all’autore e non necessariamente rappresentano quelli di RT.
Fonte: http://rt.com
Link: http://rt.com/op-edge/rt-in-guantanamo-churkina-561/
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ILEA BONGI
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=12661
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