Possiamo
dire che il corpo, come espressione del mondo materiale, è
caratterizzato dalla frequenza vibratoria più bassa, il piano dell’anima
da una frequenza media e quello spirituale dalla più alta. Per elevare
al piano dell’anima un aspetto che si è stabilizzato al livello più
basso di vibrazione come sintomo fisico, deve quindi essere immessa
energia. Una quantità ancora maggiore di energia sarà poi necessaria per
raggiungere il piano spirituale.
Nel processo
inverso dell’insorgere della malattia, questa energia è stata
trattenuta. Quando veniamo confrontati con qualcosa con cui non vogliamo
avere a che fare, tratteniamo energia consapevole e lasciamo cadere
questo “qualcosa” nella psiche e quindi nel corpo.
Ciò che
rifiutiamo a livello di coscienza e crediamo di poter rimuovere,
ignorandolo, approda in realtà, per usare una terminologia di Jung,
nell’ombra.
L’ombra
quindi è costituita da tutto ciò di cui non vogliamo prendere atto e che
non vogliamo accettare, ma che preferiamo ignorare. È perciò
diametralmente opposta all’Io, che invece è formato da tutto ciò che
accettiamo con piacere e con cui ci identifichiamo.
Ma poiché
l’ombra è una parte necessaria della nostra totalità, possiamo divenire
sani, cioè interi, completi, solo integrandola. Un uomo completo,
infatti, è costituito da Io e ombra. Insieme danno vita al Sé, cioè
all’essere umano integrato.
L’accettazione
e l’elaborazione degli elementi d’ombra che si sono incarnati nei
sintomi è di conseguenza la via che conduce alla scoperta di se stessi.
Le malattie
sono manifestazioni dell’ombra che, affiorando dalle profondità
dell’anima alla superficie del mondo fisico, diventano facilmente
accessibili e rappresentano quindi una guida eccellente.
Per
trasferire i sintomi da un piano di bassa frequenza vibratoria ad uno ad
alta frequenza, è necessario disporre di energia prodotta dal paziente
stesso.
Il polmone è
l’organo che presiede allo scambio di gas: col suo aiuto inoltre
riusciamo a comunicare, poiché il linguaggio si articola grazie
all’espirazione. Noi tutti respiriamo la stessa aria e per questo grazie
ai nostri polmoni siamo in contatto gli uni con gli altri. All’interno
del corpo, questi due organi mettono in comunicazione la parte destra e
quella sinistra, proprio come la respirazione collega consocio e
inconscio. Nessuna altra funzione organica ha altrettante importanza a
questi due livelli. I polmoni quindi ci pongono di fronte al problema
vero e proprio, che è quello del contatto con la comunicazione.
L’infiammazione, è un conflitto armato, una lotta che si svolge nel
tessuto organico. Gli anticorpi combattono contro i virus, ci si arma,
si muore, si vince.
La polmonite incarna quindi un conflitto a livello di comunicazione.
Occorre chiedersi: perché tutto questo avviene, proprio a me? Perché proprio ora? Che cosa mi impedisce? A che cosa mi spinge?
L’omeopatia
non combatte un sintomo con il suo opposto, ma si allea con esso e con
alternative analoghe lo sostiene nel tentativo di introdurre nella vita
del malato un principio mancante.
Che la
medicina in origine si basasse su questo concetto, è dimostrato dal suo
emblema: il serpente attorcigliato al bastone di Esculapio. Esso è il
simbolo del mondo polare degli opposti e per procedere si attorciglia
attraverso i due poli della realtà.
Esso possiede il veleno che può sia uccidere, che guarire.
Come
nell’antichità, quando i serpenti venivano deposti nel tempio di
Esculapio, anche ai nostri tempi il compito specifico ed esclusivo del
medico è ricavare dal veleno della polarità un dono che aiuti il
paziente a crescere e guarire.
Paracelso
sottolinea come, in ultima analisi, tutto ciò che è presente su questa
terra è un veleno. La quantità di veleno contenuta in ciascun elemento
ne determina la tossicità.
La medicina
omeopatica procede su questa strada fin dalle sue origini e queste sono
le basi del suo pensiero, delle sue terapie e addirittura della
realizzazione dei suoi medicinali.
Da veleni
come quello della vipera o dell’arsenico, l’omeopatia ricava farmaci
attraverso succussioni o agitazioni, liberandoli gradualmente della loro
materialità.
I medici
omeopatici sottolineano che il cosiddetto potenziamento di un farmaco
non è una diluizione bensì una dinamizzazione. In questo modo la
sostanza o tintura originaria viene diluita ogni volta in rapporto 1:10
(diluizione decimale, D) o in rapporto 1:100 (diluzione centesimale, C) e
a ogni passaggio la sostanza di base viene nuovamente agitata e immessa
nel solvente. Con questo metodo le potenze superiori a D 23 non
contengono più traccia della sostanza iniziale, ma soltanto
l’informazione completa, svincolata dalla sua originaria tossicità. Tale
informazione appartiene così al campo spirituale e ha superato il piano
materiale a più bassa vibrazione.
Ogni
malattia è espressione di un’idea calata nel corpo, cioè di un modello
che nella coscienza è assente. Qui si può intervenire con informazioni
analoghe, farmacologiche oppure spirituali.
Nel primo
caso parliamo di omeopatia, mentre nel secondo di presa di coscienza del
modello o del significato della malattia. L’informazione è per sua
natura a un livello di vibrazione superiore rispetto al problema del
corpo. Se si riesce a riportare la problematica a questo livello
superiore, il veleno si trasforma in dono. La manifestazione dell’ombra
nella sintomatologia determina la sua illuminazione e la malattia si
trasforma in cammino di autoconoscenza.
La chiave per entrare in una concezione del mondo meno causale e più sincronica è il simbolo.
Questo termine “simbolo” deriva dalla parola greca symbellein che significa mettere insieme, unire.
Per cogliere
l’essenza nella sua totalità, nell’interpretazione della malattia è
necessario collegare tutte le singole impressioni in un modello, ossia
ogni piccolo simbolo deve essere integrato in un simbolo che li abbracci
tutti.
Poiché non
esiste alcuna cultura né antica né moderna che abbia dei rituali,
possiamo dedurne che essi fanno parte integrante della vita umana. La
loro efficacia, in proporzione alla loro diffusione, è stata poco
studiata, soltanto nell’ultimo decennio, con la teoria di Sheldrake sui
campi morfogenetici, è stato possibile tentare una spiegazione.
Shaldrake scoprì ed ebbe conferma sperimentale, che tra i diversi esseri
viventi esistono rapporti che sfuggono a qualsiasi spiegazione logica.
Postulò allora i campi morfogenetici, che consentono questi collegamenti
senza bisogno di materia e di trasmissione di informazioni.
Parecchi
esperimenti dimostrano che gli essere viventi si trovano
inspiegabilmente collegati gli uni agli altri in un campo comune,
proprio come accade alle particelle delle fisica atomica (Teorema di
Bell). Esse vibrano contemporaneamente al medesimo livello vibratorio e
si comportano quasi come se fossero un unico essere; possono essere
paragonate ad un grande branco di pesci o ad un campo di grano mosso dal
vento. In condizioni di controllo è possibile verificare che manca
assolutamente il tempo di entrare in contatto secondo le consuete
modalità.
L’americano
Conden riuscì a trovare qualcosa di paragonabile a questo comportamento
anche negli esseri umano. Fece filmare persone che conversavano tra loro
e dalle immagini proiettate al rallentatore emerse che i suoi
interlocutori entravano in comunicazione tra loro nello stesso istante
grazie a movimenti quasi impercettibili detti micromovimenti. Questo
vibrare all’unisono è riscontrabile presso tutti gli esseri umani fatta
eccezione per i bambini autistici. Nel campo della vita organica ci si
avvicina a relazioni corrispondenti a quelle inspiegabili della fisica
delle particelle elementari.
Mentre
continuiamo a credere che sono le più diverse cause a far muovere il
mondo, la fisica moderna dimostra esattamente il contrario: in realtà
regna un sincronismo inspiegabile e la causalità è soltanto un errore,
anche se plausibile, nel nostro pensiero.
I fenomeni
che si presentano nei campi morfogenetici avvengono sincronicamente e
non sono spiegabili da un punto di vista causale. I rituali sono la
strada più diretta per creare tali campi e per entrare nella realtà. Se
si considerano gli antichi riti di iniziazione e di guarigione, le
nostre ipotesi si trasformano in certezza. Noi che non crediamo più nei
riti e non siamo in grado di creare campi solidi, non riusciamo neppure a
immaginare tali realtà.
I rituali nella nostra società
Le antiche
civiltà che conosciamo avevano senza eccezione un elemento comune: dai
simboli creavano dei rituali per le fasi principali di passaggio della
vita, ma anche per la vita quotidiana con le sue esigenze.
Soltanto l’uomo moderno crede di poter fare a meno dei rituali, che considera superstizioni superate.
Accanto alle
poche cerimonie consapevolmente conservate, come battesimo, cresima,
matrimonio, sepoltura, ce ne sono moltissime altre, di cui siamo più o
meno consapevoli, che vivono proprio grazie al loro carattere rituale
(controllare più volte la chiusura di qualcosa, contare i pali dal
finestrino del treno …).
Il nostro
sistema giudiziario si basa sul fatto che i componenti della società
credano nell’antico rituale dell’amministrazione della giustizia e lo
accettino. Per quale altro motivo, se non per servire il rituale della
giustizia, un uomo di legge adulto dovrebbe indossare una toga e una
parrucca?
Perché in
segno di saluto offriamo la mano destra aperta e non invece il pugno
sinistro? I rituali non sono logici, bensì simbolici, sono modelli in
azione operanti, senza i quali la vita sociale sarebbe impossibile.
Il problema,
a questo punto, è che i rituali di cui non siamo consapevoli sono meno
efficaci di quelli consapevoli e che nelle moderne società industriali
predomina una forte tendenza all’inconscio.
L’importanza dei rituali si sgancia sempre più dalla coscienza e precipita nell’ombra.
Anche se non
conosciamo più le radici, ma continuiamo a seguire le regole che ne
derivano, rimaniamo al sicuro, protetti dal modello. Il pericolo
consiste solo nel fatto che, insieme ala consapevolezza, si affievolisce
anche la carica psichica. Se le regole sono seguite solo
meccanicamente, senza consapevolezza, perdono di vigore. Se il loro
significato non viene più riconosciuto, risultano prive di senso. Quando
smettiamo di interpretarle, perdono necessariamente importanza.
Mentre le
culture arcaiche confidavano sulla forza iniziatica dei riti della
pubertà, noi abbiamo tolto ulteriormente vigore ai loro relitti,
comunione e cresima. Vissuti senza alcuna consapevolezza, essi
degenerano in abitudini che non svolgono più la loro funzione. Credendo
di risparmiare ai ragazzi gli orrori della più oscura superstizione, li
abbiamo invece derubati di importanti possibilità di maturare.
Poiché il
passaggio non avviene senza riti, i giovani d’oggi devono cercare
alternative. Le prime sigarette, fumate quasi ritualmente fra amici,
costituiscono un tentativo in questo senso.
Sapendo bene di non essere ancora adulti, osano anticipare uno dei privilegi del mondo dei grandi proibito a loro.
Infrangendo questo tabù gli adolescenti sperano inconsciamente di ottenere l’ingresso nel nuovo modello.
Proprio come nei riti arcaici della pubertà, il gesto è dominato dalla paura.
Un altro
rito compensativo ancora importante è l’esame della patente. Per poter
guidare un’automobile, è necessario dimostrare di esserne all’altezza.
Superato questo vero e proprio esame di maturità, iniziano sulla strada
le prove di coraggio.
Il problema
di tali azioni compensatorie è che, per mancanza di consapevolezza e
soprattutto per l’assenza di un aiuto esterno, in questo caso da parte
degli adulti, i giovani non trovano sicurezza, diventano dipendenti da
questi rituali sostitutivi e diventano accaniti fumatori e guidatori
folli, ma non adulti.
Nei tempi
antichi, l’inizio della vita veniva celebrato con un rituale di nascita,
mentre la fine dell’esistenza con un rituale di morte.
Oggi abbiamo
per lo più confinato entrambi nelle cliniche e, di conseguenza, in una
sorta di nascondiglio, dove si svolgono rituali inconsci. I rituali
della medicina possono aiutarci a capire il valore generale della
ritualistica nei processi di guarigione e saranno perciò oggetto di
un’analisi accurata.
Rituali della medicina moderna
Rituali della medicina moderna
Nei tempi antichi, l'inizio della vita veniva
celebrato con un rituale di nascita, mentre al fine dell'esistenza con un
rituale di morte. Oggi abbiamo per lo più confinato nelle cliniche e, di
conseguenza, in una sorta di nascondiglio, dove si svolgono rituali inconsci. I
rituali della medicina possono aiutarci a capire il valore generale della
ritualistica nei processi di guarigione e saranno perciò oggetto di un’analisi
accurata.
Osservando attentamente, ci si rende conto
che nelle cliniche moderne ha luogo una quantità impressionante di magie che
farebbero onore a qualsiasi medico. Quando anticamente i pazienti si mettevano
sotto la protezione di un guaritore, si affidavano di fatto all’altro mondo e,
rimettendosi a Dio, ovvero alla sciamano suo rappresentante, rinunciavano ad
autogestirsi.
Anche oggi, a livelli ancor più alti, si verifica qualcosa di
simile: il paziente moderno, una volta arrivato alla porta della clinica,
rinuncia ad ogni diritto di autodeterminazione. La porta costituisce sempre un
punto importante di ogni clinica, poiché sorveglia l’ingresso nell’altro mondo,
svolgendo le funzioni che in passato erano proprie della porta del tempio: il
mondo al di là della porta fa paura per la sua imperscrutabilità e per tutto
ciò che si cela dietro a ogni malattia. I pazienti non di rado si sentono
angosciati per ciò che dovranno affrontare e che riescono solo a intuire.
Simili sensazioni erano probabilmente vissute anche da chi nell’antichità
andava alla ricerca della guarigione in un tempio di Esculapio.
Non appena i pazienti, seguendo una procedura
molto severa, vengono registrati, sono subito mandati a letto. Anche quando
arrivano in piena salute, la sera prima di una visita o di un’operazione,
essendo in ospedale devono necessariamente stare a letto. La testa, centrale di
comando del corpo, non deve mantenersi in posizione eretta: deve in linea di principio
restare bassa. Con ciò si acquisisce la certezza che i pazienti, almeno
fisicamente, sono ai piedi dei medici e che i rapporti non avvengono allo
stesso livello. Ora non c’è più molto da discutere e meno ancora da decidere. Nella
forma e nel contenuto i malati vengono trasformati in tempi brevissimi in
pazienti (=lat. colui che ha pazienza).
Che vengano messi a letto come bambini
da un’infermiera, dopo essersi spogliati su suo ordine, rientra nel gioco: essi
non decidono più niente da soli, che venga loro detto perfino quando andare a letto e quando
alzarsi. Iniziano a scendere la scala che li porta a livelli infantili. nella
maggior parte delle cliniche, ci si ritrova in parecchi nella stessa stanza
come quando si era piccoli. Ne consegue che è l'infermiera a decidere quando si
deve dominare per il bene dei "cari
bambini" naturalmente... luci spente e occhi chiusi!
La mattina seguente,
dopo aver eseguito l'ordine di lavarsi, viene distribuita la colazione, ovviamente
non secondo i gusti dei pazienti. Spetta di nuovo ad altri decidere ciò che è
meglio per loro, e se non mangiano tutto, ricevono benevoli rimproveri con
relative occhiatacce. Alcune infermiere aggravano ancora di più questa
situazione, utilizzando inconsapevolmente una specie di linguaggio per bambini,
a fin di bene naturalmente, ma che contribuisce ad assegnare un ruolo sempre
più inesorabile.
In ospedale quindi viene celebrato un rituale
in grande stile allo scopo di trasformare le persone in pazienti e i pazienti
in bambini. Tanti piccoli dettagli favoriscono questo processo: se i pazienti
vogliono passeggiare, lo devono fare in pigiama in camicia da notte o in
accappatoio, certamente non come farebbero adulti normali. Del resto, tanto
sano non possono essere se durante la visita devono rimanere a letto,
aspettando pazientemente che i loro semidei pronuncino la loro sentenza. Sono
proprio loro, infatti, a decidere ampiamente della sorte dei pazienti, ai quali
vengono comunicati soltanto i risultati finali: mentre i medici si consultano,
si servono infatti di un linguaggio misterioso difficilmente comprensibile ai
più, confrontano curve, grafici e misurazioni, che hanno l'apparenza di
impenetrabili arcani.
La visita, cioè il controllo medico al
capezzale del malato, si svolge sempre secondo un rigido rituale: in genere
viene celebrato un saggio di perfetta gerarchia. Gerarchia significa
letteralmente in greco "dominio degli dei". E quindi è una logica
conseguenza che il capo, posto in cima a questa gerarchia, domini come il
sacerdote del sole e ripartisca i poteri tra coloro che fanno parte del suo
seguito. Le libertà, che la fanteria delle infermiere concede, vengono
gradualmente escluse: lui dà l'impressione di sapere tutto e non ha bisogno di
fornire alcuna motivazione.
Nella mente dei pazienti può affiorare il
ricordo di un padre severo, di un autoritario capo di famiglia. Rispetto e
stima vengono imposti se non si instaurano spontaneamente. I tentativi di
quest'epoca democratica di eliminare le gerarchie incontrano proprio in
medicina ostacoli profondamente radicati.
L'intero rituale di regressione, progettato
con cura, ha per i pazienti anche lati piacevoli: ad esempio, vengono portati
in giro quasi sempre col proprio letto, perfino quando potrebbero camminare.
l'importante è che non si affatichino e che non pensino troppo. La pace del
corpo, dell'anima e dello spirito viene raccomandata caldamente. Così un'altra
conseguenza è che non i pazienti, bensì i dottori, decidano quando i primi
possano ricominciare a muoversi con le proprie gambe e tornare a casa.
Se i pazienti non capiscono i segni e non si
comportano secondo i dettami dei medici, vengono rimproverati e rimessi al loro
posto attraverso sanzioni. "Quello del 17 è un tipo difficile"
annotano le infermiere e lo comunicano eventualmente alle alte sfere. Se si
tratta di un paziente veramente difficile, il direttore stesso, utilizzando
preferibilmente il plurale maiestatis, si rivolge a lui dicendo: "Che
problema abbiamo oggi ...?".
Naturalmente la medicina ha inventato molte
motivazioni per giustificare tali disposizioni, senza bisogno di ricorrere alla
parola rituale. Ma uno sguardo razionale riesce sempre a smascherare i fatti.
Si dice che i dottori di diverse nazionalità, per potere comunicare tra loro,
dovrebbero parlare latino: in realtà, in vent'anni di studio e di pratica non
mi è mai capitato di incontrare un medico che parlasse tale lingua con un
collega e che all'occorrenza fosse in grado di farlo. Se fosse tentato di
farlo, sarebbe senz'altro preso per pazzo. In ogni caso, c'è sempre abbastanza
latino tra i medici: le parole decisive vengono espresse in codice davanti ai
pazienti, ai quali, come ai bambini, non si vuole far conoscere tutta la
verità.
Lo stesso accade con il bianco
"sterile" del personale della clinica, per il quale non fa alcuna
eccezione. Motivi igienici per scegliere il bianco, o il giallo, non ne
esistono. Perché allora in tutto il mondo è stato scelto il bianco? Forse per
il fatto che il Papa veste di bianco, come la maggior parte dei guro? Forse
anche i semidei hanno bisogno di abiti rituali per le loro cerimonie segrete,
anche se non vogliamo ammetterlo? Oppure il bianco è inseparabile
dall'esperienza medica, perché unisce in sé tutti i colori ed è quindi il
colore della totalità e della perfezione?
Molti elementi, tra cui la magia relativa
all'igiene, fanno pensare a motivazioni più profonde. All'origine il bianco era
ostacolato dalla medicina, però nel tempo l'igiene è riuscita ad ottenere un
posto fondamentale tra i nuovi riti sostitutivi. Oggi il bianco viene difeso
energicamente e talvolta in modo irrazionale, proprio come in origine era
combattuto. Queste cariche emotive così forti sono in genere un segnale
nascosto dietro a una situazione. In questo caso, le norme igieniche emergono
dal profondo insieme delle cerimonie di purificazione. Una purificazione densa
di significato è quella che si può osservare nei chirurghi nella fase
preparatoria all'operazione. Si lavano le mani per diversi minuti sotto acqua
calda corrente, servendosi di un sapone forte e di una spazzola dura. I tempi
di questo lavaggio sono prestabiliti e controllati scrupolosamente con orologi
di precisione.
Tuttavia al termine di quest’ operazione le
mani sono ancora così "sporche" che alla fine vengono nuovamente
irrorate a lungo con dell'alcol ad alta gradazione. Infine restano ancora molti
dubbi sulla loro reale pulizia e vengono quindi nascoste sotto guanti di gomma
sterilizzati. Nei riti magici erano consapevolmente previste delle cerimonie di
purificazione per le mani, però non altrettanto minuziose.
Le molte pratiche minori di purificazione che
caratterizzano la vita quotidiana di una clinica possono essere considerate
riti, poiché in realtà non producono nulla dal punto di vista dell'igiene il
medico disinfetta ogni cosa, perfino la parte di cute su cui si fa l'iniezione,
quando è stato ormai dimostrato che tale gesto non ha alcun valore igienico. I
medici, però, con una buona ragione, non vogliono abbandonare questo rito a cui
sono legati. Cercano piuttosto le più strane giustificazioni per preparare la
parte da trattare alla maniera degli antichi sciamani; operano prima con gesti
privi di reale efficacia ma validi sul piano della magia.
L'alcol svolge in
questo contesto la stessa funzione dell'acqua santa quando si entra in chiesa.
Da questo punto di vista igienico, nessuno dei due purifica ma tuttavia
purificano e consacrano in senso più profondo.
I dottori rimangono a buon diritto ancorati al loro rituale, atteso
altrettanto giustamente dal paziente, poiché tali cerimonie, tanto in medicina
quanto in altri campi, sono realmente necessarie. Talvolta le motivazioni sono
veramente strane, per il motivo che difendono gli antichi rituali dagli
eventuali riformatori. Scopo e motivazione rimangono quindi intatti.
Anche la normale prassi medica cela una
quantità di rituali inconsci. Dopo aver legittimato la loro posizione a
personale subalterno attraverso certificati medici e dopo una lunga ed
estenuante attesa, i pazienti diventano degni del loro nome. In un'atmosfera di
tensione, insieme ad altri malati, bramano il momento decisivo in cui verranno
finalmente dimessi. Lo attendono e lo temono proprio come mille anni fa i
pazienti aspettavano l'incontro con Esculapio, il dio della guarigione. Ammessi
infine ai misteri del medico, questi si rivelano tutt'altro che chiari. Il
senso e lo scopo delle apparecchiature utilizzate su di loro restano per i
pazienti ancora oscuri.
Tuttavia, si sentono rassicurati nel vedere e nel
verificare che il loro dottore è pronto ad affrontare qualsiasi evenienza,
anche se tali strumentazioni, non sempre sono messe a punto, non servono allo
scopo. Naturalmente, il medico ha sempre poco tempo a disposizione: come
potrebbe, del resto, essere altrimenti vista l'importanza del suo incarico! Per
i malati l'idea di fare attendere anche per un solo minuto lui che in genere fa
pazientare per almeno un'ora, è impensabile. Alla fine, per un decisivo e
brevissimo istante, il medico rivolge la parola ai "pazienti!": prima
essi sarebbero stati definiti verbalmente malati, oggi, invece, lo sono solo in
base a una documentazione scritta.
Contemporaneamente viene pronunciato il
giudizio finale sulla malattia: vengono fissati scadenze e farmaci ai quali
dovrà cedere. Con la prescrizione il medico, forte della sua autorità, stabilisce
e decreta una proroga per il paziente e il suo sintomo. Una volta trascorso il
periodo stabilito, il paziente è automaticamente guarito. Questa minaccia era
stata prima attestata con un certificato di inabilità al lavoro, ora invece con
un secondo documento il paziente viene rapidamente dimesso. Ma tale
documentazione continua a rimanere oscura per due motivi diversi: Da un lato,
l'ortografia è illeggibile, dall'altro le parole e i segni appartengono ad un
altro mondo. Ma il farmacista, ugualmente parato di bianco e quindi
appartenente alla stessa categoria[1]
di iniziati, decifra la ricetta e porge al paziente le salvifiche gocce o
compresse. Il modello è antico ed efficace.
I dottori hanno collocato la loro rispettata
posizione al centro di queste procedure magiche, in modo che sia immediatamente
evidente quanto essa sia importante e decisiva. Anche se in realtà solo Dio può
decidere della vita e della morte, una categoria di persone cerca di operare
nello stesso modo. Se si osservano tutti i gesti esteriori di uno sciamano,
ecco apparire un medico. Anche la divisa, come a entrambi e va al di là del
colore. Le differenze gerarchiche sono indicate perfino sui camici: oggi le
infermiere possono fare a meno delle loro cuffiette, ma ahimè, bisogna
ricordare che un tempo indossavano un mantello dal colletto rigido, il che dava
loro la possibilità di arrogarsi uno dei privilegi del medico.
I veri sciamani
rinuncerebbero con riluttanza ai loro amuleti carichi di forza, mentre, dal
canto loro, i dottori portano invece stetoscopi che, all'occasione, passano sul
corpo o sul cuore del paziente. Gli sciamani si servono di continuo di una
lingua incomprensibile per i non iniziati ed eseguono gesti e rituali il cui
significato più profondo è noto solo a loro, ma i nostri medici moderni non
sono da meno. La dignità dei guaritori si esprime spesso in atteggiamenti che
tengono ben poco conto delle cose del mondo. Possono permettersi di lasciar
attendere i pazienti e di curarli in base alla gerarchia, dall'alto in basso.
In
virtù della loro posizione, non vogliono avere niente a che fare con problemi
materiali e lasciano che siano altri a raccogliere le offerte. Anche i dottori
di oggi sfruttano al massimo questa possibilità, in primo luogo con i pazienti
e le loro mutue, in secondo luogo presso le disponibili case farmaceutiche. E,
proprio come tanto tempo fa, hanno dei collaboratori che svolgono al loro posto
io compiti meno dignitosi[2].
In conclusione anche i guaritori sono circondanti da segni che esigono
rispetto, impressionano i non iniziati, o addirittura, incutono paura. In
questo contesto colpisce il rapporto, sviluppatosi nel corso della storia, tra
i dottori e il serpente compagno di Esculapio che si attorciglia
pericolosamente attorno al bastone che porta il suo stesso nome.
Esculapio, il
primo medico, aveva potere sul serpente e il suo regno, la polarità. Il vero
guaritore è in grado di rendere visibile la propria irradiazione, creando una
sorta di aureola attorno al capo. I medici moderni non hanno gli stessi poteri
e cercano di compensare in qualche modo questa carenza. Colpisce, però, il
fatto che il loro prototipo sia oggi rappresentato dallo spettrografo
dell'otorinolaringoiatra che, quanto meno, tenta di imitare la corona di luce
e, posto sulla fronte, richiama alla memoria ancora un altro simbolo del sole:
lo specchio che, grazie ai suoi raggi luminosi, attira su di sé l'attenzione
dei non iniziati.
Leggendo la nostra ironica descrizione si può
avere l'impressione che ci si trovi di fronte a relitti bisognosi di restauro
del potere dei medici o della loro megalomania. Questa valutazione tiene conto,
però, solo di una delle facce della medaglia. Osservando con attenzione anche
l'altra, si scopre il modello centrale ed efficace, oggi come ieri di una medicina che non sa neppure perché
funzioni.
La malattia è sempre una regressione e porta
automaticamente l'uomo ad assumere l'atteggiamento di chi è stato consegnato
alla giustizia o di chi si trova in una condizione di assoluta impotenza. La
posizione orizzontale fa capire una cosa: non è la vita che giace ai nostri
piedi, ma siamo noi che giaciamo ai piedi della vita. Questo rende ogni forma
di malattia dignitosa e onesta. L'atteggiamento di umiltà, unito alla necessità
di raccoglimento e all'obbligo di obbedire alle parole "Sia fatta la Tua
volontà", ha effetti salutari. La malattia permette, allora di prendersi
una vacanza dall'estenuante comportamento umano e, soprattutto, dal "sia
fatta la mia volontà". Più consapevolmente si accetta questa condizione e
si trova l'umiltà necessaria ad affrontarla, più efficace risulterà il rito di
guarigione.
Da questo punto di vista i tentativi di dare
al paziente uguaglianza di diritti, pur pensati in buona fede, risultano sempre
controproduttivi rispetto al vero e
proprio modello di guarigione descritto. Ciò è particolarmente evidente nei
reparti ospedalieri privati, dove il trattamento di prima classe non determina
affatto guarigioni migliori: non si tratta, perciò di immettere il paziente
nella situazione determinata dalla sua malattia o di far valere i suoi diritti:
quello di cui ha bisogno è l'acquisizione della consapevolezza della propria
situazione di impotenza. Anche gli inconsapevoli riti moderni, che hanno luogo
negli ospedali, possono soddisfare tale esigenza.
Veramente pericolosi per le opportunità di
guarigione non sono l'organizzazione gerarchica della clinica o i rituali che
vi vengono celebrati, bensì le onnipotenti fantasie dei medici ciechi alla
realtà, che si illudono di avere potere su tutto.
In realtà proprio questi dottori, nonostante
il contributo che hanno dato alla costruzione della torre della scienza medica,
non hanno mai incontrato il vertice gerarchico, l'elemento sacrale. Anche se
oggi costruiscono con l'avorio, condividono il destino dei loro laboriosi
progenitori quando eressero la torre di Babele.
L'effetto
placebo, considerato con sospetto dai medici che pensano in modo
soltanto scientifico, e, più che mai, la "droga-medico" sono parti
essenziali del rituale moderno della medicina[3].
Tanto più i pazienti sono messi nella
condizione di riconoscere, almeno simbolicamente, la sovranità incontrastata
del sacro all'interno della gerarchia, tanto più grandi diventano le loro
possibilità di guarigione. il dottore è, in questo caso, colui sul quale è proiettata
la nostalgia di una guida che si accompagni e ci aiuti a raggiungere un luogo
più alto, se possibile altissimo. Una medicina, che lascia fuori Dio, cioè il
principio dell'unità, avrà sempre bisogno di divinità sostitutive, oppure la
guarigione le sfuggirà sempre dalle mani. Il semidio vestito di bianco è solo
una caricatura, ma è sicuramente meglio di nessun Dio.
Neppure la medicina
scientifica, che cerca di condurre la sua attività in modo oggettivo e esente
da influenzamenti psichici, può rinunciare a un Dio, che chiama semplicemente
"scienza". Per i fedeli della scienza, anche il credere in un
orribile e onnipotente medicina rappresenta una possibilità di guarigione.
Dallo scetticismo che caratterizza la religione della scienza, non deriva però
alcuna reale possibilità di guarigione.
[1] La
ricetta ha di fatto lo stesso valore di un documento. Se una persona
non autorizzata osasse apportare in essa delle modifiche, si renderebbe
giuridicamente perseguibile per falso in atto pubblico.
[2] I dottori trovano per lo più umiliante o addirittura logorante, rispetto al loro specifico lavoro, dover compilare i moduli della mutua per i loro pazienti.
[2] I dottori trovano per lo più umiliante o addirittura logorante, rispetto al loro specifico lavoro, dover compilare i moduli della mutua per i loro pazienti.
[3] Con effetto placebo si intende ogni
importante effetto farmacologico non dovuto al prodotto somministrato, ma alla
suggestione e che quindi è connesso col rituale della somministrazione del
farmaco, presieduto dal medico. Anche nei ritrovati chimici più potenti è stata
riscontrata la presenza di questo effetto. Perfino le droghe come la morfina
possono talvolte essere sostituite con prodotti che si sono dimostrati in grado
di produrre un effetto placebo adeguato.
Rituali
della medicina antica
La medicina antica ci rivela la forza dei
campi energetici creati dai rituali. Gli ospedali dell’antichità erano templi
del dio Esculapio. I malati e coloro che avevano bisogno di assistenza
affrontavano lunghi viaggi per raggiungerli. Al loro arrivo, venivano
introdotti dai servitori del tempio a riti preparatori di armonizzazione e
purificazione. La medicina così come la concepiamo oggi non esisteva. Non
venivano eseguite operazioni, né tanto meno somministrati medicinali secondo le
concezioni odierne. Tra le scienze oggi conosciute, soltanto l’igiene e la
dietetica avevano un ruolo, che peraltro era molto più ampio di quello loro
attribuito ai nostri giorni.
Al centro di questa medicina c’era il tempio
stesso di Esculapio, inteso come spazio. I tanti rituali creavano il campo in
cui poteva avvenire la guarigione. Il paziente per intere settimane veniva
preparato a vivere nella notte decisiva dei suo soggiorno il sonno del tempio –
la cosiddetta incubazione. In quella notte particolare, si coricava in quel
punto specifico del tempio, in un’atmosfera appositamente preparata con luci ed
essenze profumate e alla fine si addormentava. L’avvenimento decisivo accadeva
nel sonno, secondo il detto: “Ai suoi il Signore dona nel sonno”. Il paziente
sognava la soluzione del suo problema: o la vedeva concretamente in immagini
davanti ai suoi occhi, oppure gli appariva Esculapio, che gli spiegava dove
portava la sua strada.
Per le nostre concezioni moderne questa
procedura sembra ingenua, però dovremmo prendere atto del fatto che questa
medicina aveva successo e produceva guarigioni. In base alla moderna
psicologia, potremmo dire che veniva creato uno spazio all’interno del quale la
soluzione poteva emergere dall’inconscio.
Se si intende la guarigione in senso più
profondo e non solo in quello di riparazione, questa medicina non ha affatto
bisogno di nascondersi al confronto di quella moderna: al contrario, conosceva
processi che noi stiamo riscoprendo soltanto adesso. Nella misura in cui
impareremo a prendere coscienza dei campi che ci dominano e a lavorare con
essi, ricominceremo ad avere rispetto per la medicina antica, che si basava
sulla conoscenza del rituale.
Molte cose ci fanno pensare che i campi
morfogenetici costituiscono le vere e proprie strutture in cui si realizzano
crescite e guarigioni.
È possibile così spiegare armonicamente anche
la grande crescita, l’evoluzione: i campi creano la cornice all’interno della quale
si prepara tale evoluzione. Ad una cornice specifica si adattano però soltanto
immagini specifiche, e così nell’evoluzione non tutto è possibile, bensì
soltanto ciò che si adatta alla cornice. Perciò anche la guarigione nel senso
di completo ristabilimento non è raggiungibile in ogni caso, ma solo se rientra
nella natura del soggetto, se cioè è prevista nel suo modello. La guarigione,
intesa come redenzione del proprio modello, è invece sempre possibile.
Malattia e
modello
Le malattie costituiscono dei campi: ad ogni
sintomo non corrisponde soltanto una forma corporea, bensì anche un relativo
campo costituito da modelli di comportamento e di strategie di vita (e di
sopravvivenza).
Nella malattia una certa quantità di energia
si trasforma in una struttura fissa, che si radica profondamente nell’inconscio
come modello.
Soltanto l’aspetto formale emerge fino a
divenire visibile, proprio come la punta di un iceberg.
Specie per i tossicodipendenti è importante
capire che questo modello non può essere cambiato e che l’unica possibilità
consiste nel viverlo in altra forma.
Il campo che crea la malattia si nutre del
modello celato nel profondo.
Ad esempio un problema di aggressività
stabilisce il modello. A livello superficiale può assumere anche aspetti
visibilmente molto diversi, come allergie, pressione alta, calcoli biliari o
mangiarsi le unghie, ma tali manifestazioni descrivono soltanto il livello
corporeo superficiale, con cui lo stesso modello può esprimersi.
Frequenti accessi di rabbia, comportamento
violenti, caratterizzato dall’impulsività e anche approcci offensivi ai temi
dell’ombra, sono esempi di tale possibilità.
Anche sul piano del pensiero il modello
potrebbe assumere diverse configurazioni: fantasie aggressive di tipo sessuale
ne costituiscono un esempio possibile, come anche il pensiero radicale, che con
le sue radici è rivolto a un settore fondamentalmente oscuro. A livello
psicologico i sentimenti di auto-aggressione rappresenterebbero una variante, o
anche fantasie auto-distruttive e depressioni, oppure una vita emozionalmente e
sentimentalmente radicale.
Il mondo della psiche non si comporta né in
modo logico né in modo cronologico – qui regnano sincronicità e analogia, come
ci mostrano i sogni che facciamo ogni notte.
La vera guarigione richiede un’alternativa
nell’ambito del modello precostituito. Limitarsi a combattere un sintomo col
suo opposto procura un sollievo di breve durata, però a lungo termine
ingigantisce il problema. Involontariamente questa battaglia rinvigorisce ciò
che si combatte, cosicché col tempo devono essere erette mura difensive sempre
più resistenti.
Chi combatte
un esantema con il cortisone, avrà ben presto una pelle levigata, però spinge
le anergie corrispondenti in profondità, in genere fino ai polmoni, il nostro
secondo organo di contatto dopo la pelle.
Più si combatte un’eruzione a livello cutaneo, più il potenziale della malattia
aumenta in profondità e addirittura aumenta insieme alle misure difensive.
In
linea di principio accade la stessa cosa quando si cerca di combattere la
tristezza con le parole allegre. Le cosiddette affermazioni positive restano
infatti a livello superficiale e il potenziale depressivo si sviluppa. Dopo un
breve miglioramento che viene erroneamente interpretato come guarigione, il
tema rimosso affiora rapidamente altrove.
I rituali
costituiscono la struttura di base della vita sociale umana, essendone, in modo
consapevole o inconsapevole, i modelli-ombra.
Le malattie
sono i rituali d’ombra che possono mantenere l’uomo in equilibrio ed essere
sostituiti attraverso rituali consapevole dello stesso principio.
Le quattro
“cause” possono contribuire a decifrare
il rituale al quale il sintomo ci invita. Occorre inoltre individuare il campo
in cui l’interessato vive. Le domande di base sarebbero:
- (causa efficiente: che agisce dal passato) Da dove viene il sintomo?
- (causa finale: tensione allo scopo) Su quale base materiale si muove la malattia e che cosa ci rivela l’organo colpito?
- (causa formale: modello) In quale ambito si estende il sintomo? Quali sono le sue regole del gioco?
- (causa materiale: base materiale) A cosa tende il sintomo? Dove vuole portare il soggetto?
Domande sul rituale della malattia e sulla sua
cornice:
- In che modo proprio io ho determinato l’insorgere di questo problema?
- Perché succede proprio adesso? Nei processi cronici: quando sono stato colpito per la prima volta? Quando in modo particolarmente intenso?
- Perché questo disturbo colpisce proprio me?
- Quale modello ricorrente della mia vita si rivela nel rituale della malattia?
Rüdiger Dahlke
Fonte: Malattia linguaggio dell'anima - Rüdiger Dahlke
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