venerdì 20 febbraio 2015

Giordano Bruno

 

Non avrei potuto dare al mio blog una dedica che rappresentasse meglio la mia ammirazione e il mio amore per uno dei filosofi più grandi che abbia avuto l’Italia.

Poteva essere uno studioso del tempo, riverito ed incensato se non fosse stato schiavo della verità il mio "intrepido cavaliere errante del Sapere".

Lui stesso ammette nella lettera proemiale di “De l’infinito, l’universo e mondi”:
“Se io, illustrissimo Cavalliero, contrattasse l'aratro, pascesse un gregge, coltivasse un orto, rassettasse un vestimento, nessuno mi guardarebbe, pochi m'osservarebono, da rari sarei ripreso e facilmente potrei piacere a tutti…”
E di seguito si chiede perché mai non possa essere in quella maniera. Insomma perché non poteva rimanere al suo posto, buono e tranquillo?

“Se volete intendere onde sia questo, vi dico che la caggione è l'universitade che mi dispiace, il volgo ch'odio, la moltitudine che non mi contenta, una che m'innamora: quella per cui son libero in suggezione, contento in pena, ricco ne la necessitade e vivo ne la morte; quella per cui non invidio a quei che son servi nella libertà, han pena nei piaceri, son poveri ne le ricchezze e morti ne la vita, perché nel corpo han la catena che le stringe, nel spirto l'inferno che le deprime, ne l'alma l'errore che le ammala, ne la mente il letargo che le uccide… ma per amor della vera sapienza e studio della vera contemplazione m'affatico, mi crucio, mi tormento.”
Personaggio colto e brillante allievo di un maestro aristotelico di scuola averroista, la sua impronta mentale è formata alla logica più implacabile: poco spazio vi è nella forma o negli orpelli, quello che conta è il valore dei concetti.

L’ utilizzo degli studi mnemotecnici arricchiscono la sua intelligenza ed in un solido teatro della memoria articola un universo, una metafisica che da le vertigini ai suoi contemporanei. L’universo è prodotto da Dio, come sua manifestazione, effetto infinito di causa infinita. L’universo è vivo in ogni sua parte e l’uomo partecipa di questo infinito tramite la trasmigrazione delle anime come affermava Pitagora.

Lo stesso mondo fisico è infinito e si colloca in uno spazio infinito, con una grande varietà di soli e di pianeti, è omogeneo nelle sue parti ma soggetto a continua metamorfosi. Dice nel Candelaio:
“… il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s’annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesimo. Con questa filosofia l'animo mi si aggrandisce, e me si magnifica l'intelletto...”
Rinnega l’idea della terra immobile al centro dell’universo ed afferma la centralità del sole, ma afferma anche l’infinità dell’universo per cui il sole è solo uno dei pianeti.
La terra è un corpo celeste come tanti altri, vi sono infiniti mondi in spazi infiniti e tali mondi sono abitati. Distingue tra le verità della fede e le verità delle scienze, ma non come semplice problema di competenze ma come primato della verità filosofica rispetto alla teologia.

Non ammette la fine del mondo, rigetta l’esistenza di inferno e paradiso, nega il giudizio universale, è scettico sulla trinità, senza paura afferma che il Cristo è un seduttore, il dogma della verginità di Maria è un’aberrazione e la messa è una blasfemia.

La bibbia è un tessuto di menzogne ed i teologi sono dei pedanti che aggrottano le sopracciglia per darsi un’aria importante, mentre i filosofi sono dei pedagoghi ignoranti accecati dal culto degli ideologi, (...) tutti "asini col basto" che passano la propria vita a sciupare tutti gli argomenti che vangano loro sulle labbra.

No, le donne non sono meno intelligenti degli uomini. No, la gente di chiesa non dovrebbe godere di beni così grandi ma accontentarsi di un po’ di brodo; no, gli Spagnoli non hanno fatto bene a scoprire l’America, perché hanno "violato la vita altrui" e gli indios sono esseri umani come gli altri e non sono delle mezze bestie.

Cosa invece fa innamorare perdutamente, il mio grande filosofo poeta?
“Anzi quello che n'innamora del corpo è una certa spiritualità che veggiamo in esso, la qual si chiama bellezza; la qual non consiste nelle dimensioni maggiori o minori, non nelli determinati colori o forme, ma in certa armonia e consonanza de membri e colori. Questa mostra certa sensibile affinità col spirito a gli sensi piú acuti e penetrativi; onde séguita che tali piú facilmente ed intensamente s'innamorano; ed anco piú facilmente si disamorano, e piú intensamente si sdegnano, con quella facilità ed intensione, che potrebbe essere nel cangiamento del spirito brutto, che in qualche gesto ed espressa intenzione si faccia aperto; di sorte che tal bruttezza trascorre da l'anima al corpo, a farlo non apparir oltre come gli apparia bello. La beltà dunque del corpo ha forza d'accendere, ma non già di legare e far che l'amante non possa fuggire, se la grazia, che si richiede nel spirito, non soccorre, come la onestà, la gratitudine, la cortesia, l'accortezza. Però dissi bello quel fuoco che m'accese, perché ancor fu nobile il laccio che m'annodava. “ (De gli eroici furori – Dialogo terzo)
Per tutto questo, potrei amarlo meno di quanto lo ami?
Nel proemio di “L’ombra delle idee” ammonisce:
“Ombra profonda siamo; non tormentateci, o inetti. Non voi richiede un'opera così seria, ma i dotti. “
Buona erranza.

Sharatan ain al Rami 
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2008/03/giordano-bruno.html

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