Il protagonista principale di
questa politica sono gli Stati Uniti. Con le sue provocazioni,
Washington cerca d’iniziare un conflitto e coinvolgervi non solo la
Corea democratica, ma anche la Cina.
Teste di ponte di Washington
Il fatto che la regione Asia-Pacifico, in particolare l’Asia orientale, sia una delle principali direttrici della politica estera della nuova amministrazione degli Stati Uniti, è noto da molto prima della nomina ufficiale di Donald Trump. In primo luogo, la squadra del futuro presidente degli Stati Uniti inviò un segnale negativo a Pechino, stabilendo contatti con le autorità di Taiwan. Poi Washington chiarì che non avrebbe abbandonato l’alleanza con Giappone e Corea del Sud. Gli Stati Uniti iniziarono la marcia forzata della militarizzazione di questi Paesi per consolidarne lo status di “portaerei inaffondabili” di Washington.
Il fatto che la regione Asia-Pacifico, in particolare l’Asia orientale, sia una delle principali direttrici della politica estera della nuova amministrazione degli Stati Uniti, è noto da molto prima della nomina ufficiale di Donald Trump. In primo luogo, la squadra del futuro presidente degli Stati Uniti inviò un segnale negativo a Pechino, stabilendo contatti con le autorità di Taiwan. Poi Washington chiarì che non avrebbe abbandonato l’alleanza con Giappone e Corea del Sud. Gli Stati Uniti iniziarono la marcia forzata della militarizzazione di questi Paesi per consolidarne lo status di “portaerei inaffondabili” di Washington.
Il calendario di incontri e visite di alti funzionari degli
Stati Uniti è significativo. Il primo dei leader mondiali ad incontrare
Trump dopo la sua elezione fu il Primo ministro del Giappone Shinzo Abe.
Il capo del governo giapponese si affrettò a fare una visita ufficiale
negli Stati Uniti a febbraio. Durante la visita fece delle dichiarazioni
importanti. Secondo Trump, Washington è al “100% dedita all’alleanza
con il Giappone”, e non ha intenzione di rivedere l’accordo di
cooperazione e mutua sicurezza firmato nel 1960.
L’accordo sulla difesa
collettiva, tra le altre cose, autorizza il soggiorno nel Paese di un
contingente di 54000 soldati degli USA. Inoltre, come sottolineato da
Trump, l’accordo riguarda anche le isole Senkaku (Diaoyu), una sfida
diretta alla Cina che le considera suo territorio. Inoltre, Trump e Abe
avvertirono Pechino dall’aumentare l’attività nel Mar Cinese
Meridionale, nascondendo la loro solita interferenza con le lacrime di
coccodrillo sulla “violazione della libertà di navigazione e di volo”.
Pochi giorni dopo. le portaerei dell’US Navy entrarono nella zona. Il
loro comandante, contrammiraglio James Kilby, disse apertamente che lo
scopo dell’azione era una “prova di forza”. E’ ovvio che senza la crisi
politica in Corea del Sud (il 9 dicembre la presidentessa Park Geun-hye è
stata deposta per corruzione), la leadership del Paese sarebbe stata
pronta ad omaggiare il boss d’oltremare.
Così Tokyo e Seoul, nel sistema
“mondiale degli Stati Uniti”, continuano ad occupare un posto speciale,
e la minaccia di Trump di ridurre il costo delle presenza era pura
demagogia preelettorale.
Lo dimostrano le visite in Corea del Sud e
Giappone del nuovo segretario alla Difesa James Mattis, facendovi i suoi
primi viaggi all’estero. Il capo del Pentagono ribadiva le
dichiarazioni di Trump sull’inviolabilità della cooperazione militare e
politica con tali Paesi. Passi concreti seguirono presto. Ai primi di
febbraio, nelle Hawaii si ebbe il test congiunto USA-Giappone dei
missili intercettori SM-3.
Allo stesso tempo, gli Stati Uniti inviarono
10 nuovi F-35B sulla base aerea di Iwakuni, nell’isola di Honshu. Prima
della fine dell’anno vi saranno trasferite le unità della portaerei
nucleare Ronald Reagan; sessanta aerei. Il Giappone sviluppa la
propria produzione militare. Secondo il programma adottato, ogni anno
costruirà due cacciatorpediniere dal dislocamento di 3000 tonnellate. Il
Paese non nasconde che le nuove navi pattuglieranno il Mar Cinese
Orientale, cioè “contenere” la Cina
L’aggressore non è chi pensiamo
La militarizzazione della Corea del Sud è anche maggiore. Per farlo hanno trovato un comodo alibi: il programma missilistico e nucleare della Corea democratica. Gli sforzi occidentali per demonizzare Pyongyang non sono stati vani: quasi tutti ripetono che il “regime nordcoreano è aggressivo”, e che presumibilmente aspetta solo il momento giusto per lanciare i suoi missili nucleari. Ad esempio citando il test dell’anno scorso, così come lanci di missili balistici.
La militarizzazione della Corea del Sud è anche maggiore. Per farlo hanno trovato un comodo alibi: il programma missilistico e nucleare della Corea democratica. Gli sforzi occidentali per demonizzare Pyongyang non sono stati vani: quasi tutti ripetono che il “regime nordcoreano è aggressivo”, e che presumibilmente aspetta solo il momento giusto per lanciare i suoi missili nucleari. Ad esempio citando il test dell’anno scorso, così come lanci di missili balistici.
L’ultimo
avveniva il 12 febbraio, quando fu lanciato un missile “Pukkykson-2”
(“Stella Polare-2”). L’ira di Stati Uniti ed alleati fu causata non
solo dal fatto che il test avvenne al momento della visita di Shinzo Abe
a Washington, ma che dimostrava anche le nuove capacità della Corea
democratica. Il missile fu lanciato da un’unità mobile ed era dotato di
un motore a combustibile solido, complicandone l’intercettazione dal
nemico.
In risposta, contro il Paese furono imposte severe sanzioni, tra
cui divieto d’importare minerali dalla Corea democratica, embargo sulla
fornitura di carburante per aerei e anche ispezione di tutte le merci
che entrano nel Paese. Purtroppo, la Russia vi ha aderito, mentre soffre
restrizioni inique. Alla fine di febbraio, il Ministero degli Esteri
russo preparava un progetto di decreto presidenziale sull’ulteriore
inasprimento delle sanzioni.
Il documento prevede la fine della
cooperazione scientifica e tecnica con Pyongyang, e vieta la fornitura
di rame, nichel e altri metalli, e così via. In altre parole, Mosca ha
accettato le regole imposte. Ma sono giuste? La politica verso la Corea
democratica è un esempio lampante dello stigma dell’anatema. La Corea
democratica è stigmatizzata unanimemente per dei peccati che non ha
commesso, e chi grida più forte non è giudice esente da qualsiasi
crimine. Per dieci anni, questo Paese non ha commesso alcuna
aggressione, e tutte le prove vengono effettuate sul proprio territorio.
A differenza degli Stati Uniti, che hanno trasformato Libia, Iraq,
Afghanistan, Siria e molti altri Stati in poligoni sanguinosi per le
loro armi.
Pyongyang ha apertamente detto che il programma nucleare e
missilistico serve a garantire la sovranità del Paese. Contrariamente
alla credenza popolare, la Corea democratica non brandisce il
“manganello nucleare” e valuta la possibilità di utilizzare l’arsenale
solo se attaccata. Nel frattempo, la leadership nordcoreana non esclude
il congelamento completo dei test, indisponendo l’occidente. Al settimo
Congresso del Partito dei Lavoratori dello scorso anno, la possibilità
di una moratoria fu avanzata. In cambio Pyongyang chiese solo una cosa:
la fine delle grandi esercitazioni in prossimità della linea
demilitarizzata.
Le regolari esercitazioni militari di Seoul e
Washington sono un fatto spesso trascurato. È un grave errore, perché
non sono in realtà semplici manovre, ma piuttosto una mobilitazione
completa e una concentrazione di forze nelle immediate vicinanze del
territorio della Corea democratica. Ad esempio, nelle manovre Key Resolve dello scorso anno parteciparono 300000 soldati coreani e 15000 degli Stati Uniti. Altre esercitazioni, Ulchi Freedom Guardian,
ricordavano a Pyongyang i terribili giorni della guerra di Corea:
giunsero sulle penisola i soldati di 9 Paesi, protagonisti della
coalizione filo-USA del 1950-1953.
Per comprendere la natura aggressiva
di tali manovre, basta elencarne gli obiettivi: attacco nucleare
preventivo sulla Corea democratica, sbarco a Pyongyang e distruzione
della leadership nordcoreana e, infine, occupazione totale del Paese. In
realtà, più volte l’anno in Corea del Sud si svolgono le prove generali
per l’invasione del Nord. A tal proposito, la posizione della RPDC, che
denuncia le manovre come ragione principale delle tensioni nella
penisola, è pienamente giustificata.
Chi parla di “aggressione di
Pyongyang” ha volutamente invertito il rapporto tra causa ed effetto.
Nel 2014-2015, la leadership della Corea democratica chiese più volte a
Seoul di riprendere il dialogo per la pace e riavviare il processo di
creazione della Confederazione coreana unificata, idea già avanzata da
Kim Il Sung. Tuttavia, il governo di destra di Park Geun-hye respinse
queste iniziative, ammettendo solo una variante della riunificazione:
l’assorbimento del Nord dal Sud sull’esempio della RFT con la RDT. Il
contingente statunitense in Corea del Sud fu rafforzato e le
esercitazioni congiunte assunsero un peso ancora maggiore. Solo dopo
Pyongyang riprese i test nucleari e missilistici.
Grandi e piccole provocazioni
L’ultima serie di lanci di missili è anche una risposta ai passi apertamente ostili di Seoul e Washington. Il Ministero della Difesa della Corea del Sud annunciava un piano per la “punizione di massa e la vendetta” con cui Pyongyang “sarà incenerita scomparendo dalla carta geografica” al minimo “segno di uso di armi nucleari”. I criteri per definire questo “segno” non sono specificati nel documento. Tuttavia, Seoul annunciava la creazione di un’unità speciale per la distruzione fisica della leadership politica e militare della Corea democratica, tra cui Kim Jong-un.
L’ultima serie di lanci di missili è anche una risposta ai passi apertamente ostili di Seoul e Washington. Il Ministero della Difesa della Corea del Sud annunciava un piano per la “punizione di massa e la vendetta” con cui Pyongyang “sarà incenerita scomparendo dalla carta geografica” al minimo “segno di uso di armi nucleari”. I criteri per definire questo “segno” non sono specificati nel documento. Tuttavia, Seoul annunciava la creazione di un’unità speciale per la distruzione fisica della leadership politica e militare della Corea democratica, tra cui Kim Jong-un.
Come notato, in caso di ostilità, questo compito sarà
realizzato da subito, qualunque sia il “danno collaterale” per la
popolazione civile della Corea democratica. La nuova amministrazione
statunitense si esprime con lo stesso tono. Chiamando la Corea
democratica “grave minaccia per la sicurezza regionale e globale”, il
segretario di Stato degli USA Rex Tillerson ha detto di preparare una
nuova strategia nei rapporti con Pyongyang.
Secondo lui, vanno
considerare tutte le opzioni senza escludere l’uso della forza militare
contro la Corea democratica. Era sostenuto dal comandante delle forze
USA in Corea del Sud Vincent Brooks, che invitava a rafforzare le
capacità d’attacco sullo Stato confinante. “La difesa convenzionale qui è inadeguata. Se non possiamo uccidere gli arcieri, allora non potremo intercettare tutte le frecce“,
aveva detto pittorescamente. In tale contesto, l’invio di armi in Corea
del Sud si è notevolmente intensificato. 24 elicotteri d’attacco
“Apache” sono stati assegnati alla base statunitense di Suwon. Altri 36
sono stati aggiunti all’aeronautica del Paese. Secondo Seoul, gli
elicotteri saranno trasferiti sulle isole Yeonpyeong e Baengnyeong, a 12
chilometri dalle coste della Corea democratica.
Non c’è migliore
provocazione: dopo la fine della guerra di Corea, il confine marittimo
tra i due Paesi non fu deciso e Pyongyang contesta la proprietà delle
isole. Inoltre, durante la visita di Mattis, fu confermata la volontà
d’installare il sistema antimissile THAAD prima della fine dell’anno. La
loro gestione sarà assegnata esclusivamente ai militari degli Stati
Uniti, e Seoul non avrà accesso neanche ai dati radar. Così, la Corea e
presto il Giappone, saranno collegati al sistema di difesa missilistica
globale creato dagli Stati Uniti per isolare Cina, Russia e Iran.
Ma
questa è solo una parte della militarizzazione. Per partecipare
all’avvio delle esercitazioni di marzo Key Resolve e Foal Eagle
arriveranno in Corea del Sud armi strategiche, come sottomarini
nucleari, aerei da combattimento F-22, bombardieri strategici e uno
squadrone guidato dalla portaerei nucleare Carl Vinson. Come
già detto a Washington e Seoul, le manovre sono di dimensioni senza
precedenti. Inoltre, saranno l’occasione per insediare permanentemente
armi strategiche in Corea del Sud. Il Capo di Stato Maggiore Lee
Sung-jin ha già presentato una richiesta in tal senso agli Stati Uniti.
Provocando la reazione della Corea democratica, Washington cerca di rafforzare la sua posizione nella regione. In tale contesto, l’assai misteriosa morte di Kim Jong-nam merita una particolare attenzione. Il fratellastro del leader nordcoreano ha vissuto per molti anni fuori dal Paese, conducendo una vita dissoluta e guadagnandosi da vivere facendo “rivelazioni” sul regime della Corea democratica. 16 anni dopo aver lasciato la Corea democratica, Kim Jong-nam fu ucciso nell’aeroporto di Kuala Lumpur (Malesia).
La domanda sorge spontanea: a chi giova? Non
certo alla leadership della Corea democratica, già sotto estrema
pressione da molti anni. Ma le forze interessate a destabilizzare l’est
asiatico, con l’assassinio di Kim Jong-nam, hanno un’occasione d’oro per
nuovi attacchi contro Pyongyang.
Non meraviglia che, subito dopo le
prime notizie dell’attentato, Seoul, attraverso il presidente ad interim
Hwan Ahnkyo, accusasse la Corea democratica, esortandola a punirla
severamente in quanto “Stato terrorista”? Ciò che appare come una
provocazione deliberata è la versione ufficiale, secondo cui Kim
Jong-nam fu ucciso con veleno VX, bandito dalla Convenzione sulla
proibizione delle armi chimiche.
Ora la Corea democratica sarà
certamente accusata non solo di omicidio, ma anche di usare armi
chimiche. E’ chiaro che tali eventi rientrano nello scenario per
destabilizzare la regione. E la Corea democratica non è l’unico
obiettivo.
Sergej Kozhemjakin, Pravda, 10/03/2017 – Histoire et Societé
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2017/03/24/la-militarizzazione-della-penisola-coreana-destabilizza-lasia/
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