“Chiunque si appoggi al Tao
nel governo degli uomini,
non cerca di forzare le situazioni
né di sconfiggere i nemici con la forza delle armi.
Per ogni forza ce n’è un’altra che le si oppone.
La violenza, sia pure benintenzionata,
ricade sempre su chi la compie.”
(Lao Tzu, Tao te Ching)
“Immaginate
una politica che si basi sulla presenza mentale. Immaginate una
mentalità di governo e un processo democratico che conosca e onori il
fatto che “l’universo è sempre fuori dal nostro controllo” e che
“cercare di dominare gli eventi va contro il flusso del Tao” e non
perché questa frase campeggi, incisa su marmo, sulla facciata di un
qualche palazzo governativo, ma perché se n’è fatta esperienza di prima
mano, perché nella società vasti strati della popolazione coltivano la
pratica di consapevolezza.
I
nostri processi decisionali e anche la visione di quelli che sono i
nostri interessi personali sarebbero radicalmente differenti, se si
accordassero con quel tipo di mentalità, con quel genere di saggia
umiltà. Allora il consenso e l’azione potrebbero nascere - molto più di
quanto succede oggi - dalla saggezza e dalla compassione, e anche dal
fatto di capire quanto siano distanti le apparenze dalle cose così come
sono; e così le nostre azioni mirerebbero alla realtà invece che le
apparenze.
Quelle
azioni darebbero forma a ciò che ogni comunità si augura di ricevere
dagli organi di governo, da una saggia democrazia: una ricerca sincera
su quali siano i bisogni interiori ed esteriori dei suoi costituenti e
della società più vasta in cui si svolge la vita, la libertà e la
ricerca della felicità… L’espressione “la solita politica” in genere
indica un’opinione piuttosto disincantata dei politici, il che spesso è
comprensibile.
Forse
quello di cui abbiamo bisogno, di questi tempi, è una politica che sia
davvero “diversa dal solito” che marci scandendo un passo diverso o
magari non marci affatto, ma piuttosto scorra; a cui ci si avvicini con
una mentalità ortogonale che tenga bene a mente “le cose reali” e che
insieme si ricordi anche che tutti noi siamo parte dell’unico, indiviso
corpo del mondo.
Se
sperimentassimo più intimamente la nostra interconnessione con una
pratica reale potremmo renderci conto molto prima che tutti i nostri
egoistici impulsi e motivazioni e prospettive limitano la nostra
capacità di percepire il quadro più ampio e il modo in cui potremmo
realmente renderci utili. Vedremmo che le nostre motivazioni e le
prospettive ristrette sono fonte di grande sofferenza, per noi stessi e
per gli altri.
Da
una prospettiva del genere nascerebbero spontaneamente più saggezza e
compassione, e un’azione più efficace e benevola. La politica stessa
diverrebbe una disciplina della coscienza apportatrice di trasformazione
e di guarigione. I primi a trarne beneficio sarebbero gli stessi
politici, ma alla fin fine ne trarrebbe beneficio tutto il mondo.
Potrebbe
essere questa l’unica vera sfida della nostra specie e del nostro
tempo: dare risposta alla possibilità della nostra vera natura di esseri
umani, perché sappiamo immaginarle e conoscerle e perché vediamo le
potenziali conseguenze che ha lasciarle senza risposta, rimanere nel
nostro stato consensuale di trance per pura inerzia, non risvegliarci,
non “riprendere i sensi.”
Sappiamo di poter essere accecati dalla nostra stessa mente, specie quando percepiamo in modo sbagliato la realtà delle cose e ci lasciamo travolgere da emozioni distruttive. In quei casi ci contraiamo, letteralmente e metaforicamente, e quindi ci riduciamo; in quello stato di contrattura mentale le decisioni che prendiamo, le cose che diciamo e che possiamo fare finiscono per creare un bel po’ di danni a noi stessi e agli altri.
A
lungo andare, la mancanza di intimità con il panorama interiore e di
familiarità con la sua capacità di configurare le nostre scelte e i
nostri comportamenti, attimo dopo attimo, può peggiorare il danno e
generare ancora più disarmonia, inquietudine e malattia… Corriamo tutti
il rischio di contrarci, per riflesso, a livello fisico, emotivo,
cognitivo e spirituale di fronte a quello che percepiamo come pericolo;
quel rischio è sempre seriamente aggravato dai nostri condizionamenti e
dalle cose che la nostra cultura dà tacitamente per scontate.
È
qui che entra in gioco la pratica di consapevolezza che può essere
utile a ogni livello per affinare, in noi, la capacità di vedere e di
conoscere la realtà delle cose, al di sotto delle loro apparenze e dei
nostri impulsi personali a contrarci in stati mentali miopi proprio
quando più servirebbe la chiarezza di visione e il distacco emotivo. Più
la consapevolezza diventa una pratica del cuore e una priorità del
mondo, più alta sarà la probabilità di rispondere alle situazioni
difficili in modo equilibrato e creativo, invece di reagire per riflesso
condizionato nel solito modo contratto.
Sarà
più facile essere proattivi e propositivi, capaci di ricorrere a
energie nuove, creative e più efficaci, e di generare altre energie.
Queste energie, a loro volta, possono catalizzare delle modificazioni e
delle trasformazioni negli individui, nelle organizzazioni e nelle
nazioni che ora sono governate essenzialmente dalla “solita politica.”
Immaginate
di utilizzare il nostro potere in modo conscio di fronte ad aggressioni
e sfide di ogni genere, a ogni livello del mondo, in base al
riconoscimento del fatto che un attaccante reale o potenziale ha già
dimostrato grandissima debolezza e disequilibrio con la stessa natura
aggressiva e quindi irrazionale o illusa del proprio atto o della
propria intenzione.
Il
che significa: immaginate come sarebbe non perdere la testa, reagendo
ad altri che l’hanno persa (come succede così spesso), altri la cui
rabbia genera altra rabbia, la cui violenza genera nuova insensata
violenza. Ci sono sempre stati individui e gruppi che si sono impegnati
in modi più umani e benevoli a definire e realizzare gli scopi più alti e
i fini più significativi delle varie imprese dell’uomo…
Uno
degli esempi notevoli di questa sorta è quella che ora è generalmente
nota come “imprenditoria sociale” …con cui le banche progressiste
possono fare milioni di piccoli prestiti a buon fine alle persone povere
in posti come il Bangladesh, prestiti che permettono loro di avviare
un’attività e innalzare la propria qualità di vita. In questo caso il
microcredito mette in discussione le forze che stanno dietro alla
povertà estrema e la mancanza di opportunità, e trova il modo di entrare
e stare nel fulcro di un dilemma prima ignorato, e di far ruotare le
cose intorno al nuovo elemento introdotto, con buoni risultati.
Il
cambiamento, oggi, sta nel fatto che si riconosce sempre più, e più di
prima, che i panorami interiori ed esteriori della mente e del mondo si
compenetrano l’uno nell’altro, e che occorre arrivare e conoscere e a
prendersi cura delle proprie motivazioni e dei propri pensieri e
sentimenti, e dei fattori economici e sociali che li influenzano, a
livello istituzionale come individuale, se si vuole che le intenzioni -
anche le migliori - si realizzino davvero.
Spesso
i politici si trovano a dover rispondere agli avvenimenti che accadono
senza neanche sapere bene che cosa stia accadendo o quali conseguenze
possono avere le specifiche azioni che possono intraprendere, specie se
non osservano le cose con uno sguardo d’insieme, ma si preoccupano più
di salvaguardare interessi privati e ristretti, economici o geopolitici,
o anche soltanto la propria reputazione.
Nell’arena
politica come in medicina, spesso si devono prendere decisioni sul
campo, attimo per attimo, giorno per giorno, sulla base di informazioni
incomplete e di grandi incertezze. Ne risulta che si leggono gli
avvenimenti in base a schemi, alle esperienze del passato,
all’intuizione; che si stanno a soppesare le probabilità, che si mettono
sulla bilancia, da un lato le contingenze e dall’altro il rapporto
rischio-beneficio.
Questi
sono tutti giudizi che richiedono una continua consapevolezza, che
hanno bisogno di discernimento e integrità; invece purtroppo, a volte,
si è inconsapevoli e non si capisce quale sia il proprio reale
“interesse privato.” In questo caso è inevitabile che i processi
decisionali siano influenzati da ideologie, alleanze politiche, bisogni
di questo e di quel gruppo di interessi, dei propri elettori e
sostenitori ai quali ci si sente obbligati a mostrare riconoscenza.
La
spinta ad affrontare le cose con una consapevolezza più spassionata e
su base più ampia - affiancata da una ricerca intelligente, da un
desiderio di guarigione e di salute e dalla dedizione al cosiddetto
“bene comune”ossia al benessere e la salute della società e del mondo, e
di ogni individuo che vi abita - può essere messa completamente in
ombra; a volte può andare del tutto persa…
Nel
peggiore dei casi, i politici possono essere tentati di distorcere o
confondere o negare il vero stato delle cose, a un tale livello da
equivalere in pratica alla dissimulazione, se non alla vera e propria
menzogna. In medicina si usa una parola specifica per definire questo
atteggiamento: è l’aggettivo “iatrogeno” che indica la condizione o il
problema generato da un errore professionale o dall’inettitudine del
medico o, più in generale, del sistema sanitario.
Molti
atteggiamenti e pratiche diffuse fra i politici sarebbero considerati
iatrogeni, persino criminali, se fossero applicati in medicina.
Purtroppo, in politica, la famiglia del paziente (ossia tutti noi) di
solito viene tenuta all’oscuro; ci viene detto solo quello che i medici
curanti vogliono che pensiamo, spesso facendo leva sulle nostre paure
più profonde e attribuendo la “fonte della salvezza” alle proprie idee e
strategie politiche, al proprio partito…
Abramo
Lincoln una volta disse: «Potete raccontare storie ad alcune persone
per tutto il tempo; potete raccontarle a tutti, qualche volta; ma non
potete raccontare storie a tutti per tutto il tempo.» E grazie al cielo!
Se i politici sapessero, nel profondo, per esperienza personale, che
non c’è un sé permanente dotato di esistenza autonoma da mantenere al
potere.
Potrebbero
ricordarsi o rendersi conto che staranno in circolazione solo per un
breve tempo, per quanto famosi e potenti diventino, persino se diventano
presidenti per uno o due mandati; che il loro potere e la loro fama
svaniscono; che quel che possono fare di buono è limitato, ma i danni
che possono fare sono immensi.
Una
salutare consapevolezza di questi paradossi potrebbe spingere a fare
più spesso la cosa giusta e per le giuste ragioni, forse anche a trovare
il modo di parlare di cose che stimolino i propri elettori e
sostenitori a espandere l’ambito di quello che considerano il proprio
vantaggio personale…
Non
sto sostenendo la causa di una qualche sorta di visione utopistica a
largo raggio; mi riferisco al potere dell’onestà e della sincerità fino
in fondo, alla fiducia nella bontà che si irradia da tutti noi quando si
incarna nelle persone che occupano posizioni di comando e ricoprono
alti incarichi. In sé si tratta di posizioni di prestigio che il popolo
(ossia noi) accorda a questa e quella persona per un po’ di tempo; a
esse si accompagnano sempre gradi responsabilità nei confronti della
popolazione che si governano.
(Jon Kabat-Zinn, Riprendere i sensi, Tea ed.)
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2017/01/vecchia-e-nuova-politica.html
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