Tutti i nostri problemi personali, i nostri dispiaceri, i vari
stati di nevrosi, di sofferenza psicologica che sembrano dominare la
nostra vita, hanno la loro origine nei nostri pensieri.
Possiamo biasimare le circostanze esterne per i nostri problemi - cosa
che facciamo di solito - ma se esaminiamo quello che è realmente il
problema troviamo - immancabilmente - che è il nostro pensiero a
proposito di quelle circostanze che crea il problema. E' la nostra interpretazione intellettuale degli eventi e la reazione emozionale che deriva da quest'interpretazione.
Il problema non sussiste al di là della sfera del pensiero. "Astieniti
da qualunque pensiero concettuale - dice Huang Po - e la verità ti sarà
rivelata." Quest' idea che il pensiero è il nemico, che il pensiero è la
causa piuttosto che la soluzione di tutti i nostri problemi, ecco
qualcosa che è per noi difficile da accettare.
Siamo stati educati a
credere nel potere del pensiero. Dopo tutto è il pensiero che ci
distingue, noi gli umani, da tutte le altre creature viventi. E' solo
attraverso il pensiero che sperimentiamo il sentimento d'una identità
personale. Penso dunque sono. Senza pensiero non sono niente. Siamo
tuttavia talmente avviluppati nei nostri pensieri, talmente identificati
a queste parole che costantemente fluiscono attraverso la nostra
esperienza, che raramente ci diamo la pena di esaminare cos'è questo
strano processo.
Per osservare la corrente dei pensieri, è necessario mantenere una distanza da questa corrente, poiché siamo così facilmente trascinati dal suo slancio straordinario. Questo lo si può ottenere - come insegnava Ramana Maharshi - focalizzando l'attenzione sul pensiero "Chi sono?"
Non appena ci accorgiamo che la nostra attenzione vagabonda, dovremmo
riportarla a questo pensiero:chi sta pensando? Chi è l'osservatore? Chi è
questo "io" che sembra pensare questo pensiero?
E' proprio questa
inchiesta verso l'interno della natura dell' "io", lo sperimentatore,
che potrà condurci alla sorgente e da là alla soluzione di tutti i
nostri problemi.
D'altronde è inevitabile che questa inchiesta cominci con il processo familiare di un analisi intellettuale. Attraverso
quest'analisi, potrei arrivare alla conclusione che questo "io" che sto
cercando sia l'osservatore, il soggetto del meccanismo sensoriale
dell'esperienza. Potrei analizzare questo meccanismo sensoriale in vari
modi, distinguendo un modo visivo, uditivo, olfattivo, tattile,
sentimentale e naturalmente intellettuale (legato al pensiero).
Gli
avvenimenti empirici si manifestano in ognuno di questi modi e osservo
questi avvenimenti come osservo un film su uno schermo cinematografico,
lo schermo della pura coscienza.
Ma la domanda resta:" chi sono?" chi
è l'osservatore? Chi è cosciente dei vari avvenimenti sullo schermo
della pura coscienza? Sono un'entità separata, seduta qui in uno spazio
nebuloso, che osserva la mia vita, i miei pensieri, visioni e suoni
proiettati su uno schermo interiore?
No; questo "io-me" che si
annuncia così rumorosamente e con tale ostinazione nei miei pensieri è
lui stesso solo un pensiero che esiste intellettualmente sullo schermo.
Questo "io-me" che cerco, è solo un altro avvenimento empirico sullo
schermo della pura coscienza. E' soltanto un pensiero. I pensieri sono
delle parole, delle frasi impiegate per interpretare la realtà
dell'esperienza. "Pensare" è anch'essa una parola, un'etichetta per
descrivere quest'esperienza particolare di parole che appaiono sullo
schermo della pura coscienza.
Queste parole sono legate secondo alcune
regole, la grammatica della nostra lingua: una delle regole è che i
verbi devono avere un soggetto. In tal modo, interpretando l'esperienza
della vista, la mente fa sorgere la frase "io sto vedendo". Tutti questi
suoni poi, che sembrano succedersi? Dovranno pure succedere a qualcuno:
così il pensiero "io sento" sorge sullo schermo della pura coscienza. "Io " è un pensiero che ha un ruolo nel processo del pensiero, ma la parola rappresenta forse qualcosa che esiste veramente?
"Piove": ecco un altro pensiero ordinario, un'interpretazione di un
avvenimento empirico, ma in questo pensiero non c'è soggetto e non
immaginiamo che la parola piove contenga un'entità, come nella frase "io
penso" o "io vedo". Dunque se "io" è solo un pensiero, un
avvenimento empirico che appare sullo schermo della coscienza, allora
chi è colui che è cosciente di questo schermo? Oppure la parola
"cosciente" chiede forse un soggetto che soddisfi le regole della
grammatica? Più cerco questo soggetto inafferrabile e più mi convinco
che non esiste. Non c'è nessun osservatore. Non c'è nessun'entità seduta
qui intenta a osservare quest'esperienza. Vi è solo lo schermo con
tutte le visioni, i suoni, i gusti, gli odori, i pensieri che sfilano
affinché…nessuno li osservi!
Lo schermo della pura coscienza esiste -
non c'è dubbio che queste esperienze appaiano - ma quello che non si
riesce a trovare da nessuna parte è l'osservatore che osserva lo
schermo. Il cinema è vuoto e lo spettacolo continua. "Aspetta un
momento!" strilla ad un tratto una successione di pensieri, non appena
attraversa lo schermo di pura coscienza - "cos'è quest'assurdità? E'
chiaro che esisto. Tutte queste esperienze non succedono così, ma
succedono a me! A chi altri credi che succeda? Chi altri sta pensando
questo pensiero?" Naturalmente esisto. Esisto come pensiero sullo
schermo, come la vista di questa penna che scrive e si muove, la
sensazione di questo corpo seduto alla scrivania: anche questo esiste.
Sono tutti avvenimenti empirici che esistono sullo schermo della pura
coscienza.
La vista, i suoni, le sensazioni sorgono e svaniscono,
come i pensieri. Uno dei pensieri che sembra sorgere e svanire con più
frequenza degli altri è il pensiero "io-me", ma questo pensiero può
esistere solo secondo il modo intellettuale dell'esperienza, anzi domina
quest'esperienza.
Infatti il pensiero "io-me" è il pensiero primordiale che genera attorno ad esso un insieme di pensieri assai vasto di pensieri collegati, il cui frastuono sommerge lo schermo di pura coscienza. E da questo clamore sorge il pensiero che non sono quello che vorrei, che sono infelice, che le cose non sono giuste, che tutte queste esperienze là fuori nel mondo complottano in qualche modo contro questo "io-me" così vulnerabile e solitario. Il pensiero "io-me" uscito dalla fabbrica della mente, ha intessuto una nevrosi per se stesso. Ha inventato un assortimento di problemi particolarmente umani.
Infatti il pensiero "io-me" è il pensiero primordiale che genera attorno ad esso un insieme di pensieri assai vasto di pensieri collegati, il cui frastuono sommerge lo schermo di pura coscienza. E da questo clamore sorge il pensiero che non sono quello che vorrei, che sono infelice, che le cose non sono giuste, che tutte queste esperienze là fuori nel mondo complottano in qualche modo contro questo "io-me" così vulnerabile e solitario. Il pensiero "io-me" uscito dalla fabbrica della mente, ha intessuto una nevrosi per se stesso. Ha inventato un assortimento di problemi particolarmente umani.
Tutti
questi problemi esistono solo nella cornice intellettuale
dell'esperienza sensoriale. Sono problemi "miei", solo se emanano dal
pensiero "me", ma se l' "io-me" esiste solo in quanto pensiero senza
sostanza, allora cosa esiste? Soltanto questa presenza cosciente esiste.
Che distinzione c'è tra lo schermo di pura coscienza ed il suo
contenuto, tra la luce vista e colui che la vede, tra gli avvenimenti
sperimentati e l'esperienza stessa? A meno di usare il coltello
analitico della mente, non posso fare alcuna differenza.
Lo schermo ed il suo contenuto sono un'unica cosa.
Vi è solo QUESTO - Così-com'è - Così-Sia. Quest'esperienza di "Così
com'è è costantemente con noi. E' la nostra vera natura. Tuttavia siamo
talmente identificati con i nostri pensieri che si auto-generano
costantemente, che non riusciamo a realizzare che quello che siamo non è
questo bla-bla rumoroso di un pensiero via l'altro, ma la totalità
dell'esperienza, di cui la parte discorsiva (intellettuale) ne è solo
una parte. Allorché, a volte, riusciamo a vedere al di là dei pensieri e
sperimentiamo tutto QUESTO esattamente com'è, con i pensieri e tutto il
resto - allora sorge da qualche parte un sentimento - sottile o molto
gioioso - che avvolge e colora tutto lo schermo della coscienza pura e
dice a se stesso (dato che non c'è nessun altro): "Sì, questo è perfetto.
Ecco come deve essere. E' questo." Allora? Che vantaggio ci dà leggere
queste parole? Che vantaggio pensare questi pensieri? Siamo forse più
felici? Siamo forse più vicini alla soluzione dei nostri problemi?
La sola soluzione a qualunque problema - come ripeteva senza stancarsi Ramana Maharshi - è di vedere chi ha il problema.
Una volta realizzato che un problema esiste solo nel regno del pensiero,
e una volta realizzato che non c'è un "pensatore" di questi pensieri,
che i pensieri fanno irruzione sullo schermo della pura coscienza, come i
suoni scoppiano nella realtà della nostra esperienza, allora il
problema non è più un problema. E' solo una configurazione particolare
di pensieri, solo un disegno di piccole onde sulla superficie
dell'esperienza. Chi pensa? Chi prova collera, ansietà, imbarazzo,
confusione, desiderio, invidia, frustrazione, cupidigia, odio,
irritazione, dispiacere? Nessuno.
DI ISABELLA DI SORAGNA
Nessun commento:
Posta un commento