L'oscuro mentore
.....Solo per capire a che grado di infamia siamo stati precipitati, facciamo un po’ di storia.
È
noto e accettato anche dagli eroi, che la rappresaglia compiuta alle
Cave Ardeatine fu una conseguenza per l’attentato compiuto dagli eroici
partigiani a Via Rasella. Iniziamo con il considerare: chi erano i
partigiani?
Per
prima cosa una puntualizzazione: contrariamente a come si vuol far
credere, Roma non fu mai “città aperta” perché se la proposta venne
accettata dal comando germanico, fu rifiutata dagli “angeli del bene”,
infatti questi continuarono a volare vomitando bombe sulla “Citta’
Eterna”.
Anche
se poco più che bambino ricordo perfettamente che la popolazione
romana, come altrove, anche se stanca della guerra non nutriva astio né
verso i tedeschi né verso i fascisti. Questo stato di cose non era
gradito ai vertici del Cln i quali, dopo aver constatato che gli
attentati messi in atto nei mesi precedenti, pur avendo causato morti e
feriti fra i soldati italiani e tedeschi, non avevano determinato
rappresaglie di massa degne di nota, decisero di predisporre un
attentato di così grandi proporzioni da rendere inevitabile una adeguata
rappresaglia. A tale scopo fu scelta la data del 23 marzo 1944, e non a
caso: infatti quel giorno coincideva con l’anniversario della
fondazione dei Fasci di Combattimento.
Pertini,
Bauer e Amendola, il vertice, cioé, del Cln, inizialmente fissarono
come obiettivo la manifestazione dei fascisti che era in programma; ma
questa idea fu scartata perché, giustamente, qualsiasi fosse stato il
danno arrecato ai fascisti, questi mai avrebbero risposto con una
rappresaglia di grandi dimensioni come era nei desiderata del Cln. La
mira fu allora spostata sui tedeschi i quali, proprio per la loro
ottusità teutonica, caddero nella diabolica trappola. Quindi, per essere
più chiari, si può affermare che alle Cave Ardeatine fu una mano
tedesca a premere il grilletto, ma le cartucce furono caricate dalle
mani dei vertici del Cln.
Il
resto è più o meno noto, ma sono poco noti (ovviamente) gli sforzi
fatti da Mussolini e dai piu’ alti vertici del suo governo per
dissuadere i tedeschi dall’effettuare la rappresaglia. È pure poco noto
che Amendola, dopo l’attentarto, si incontrò con De Gasperi dal quale
ricevette le congratulazioni per “il grande botto”. Ma c’e’ qualche
altra cosa da aggiungere per rendere il fatto (se possible) ancora più
disgustoso: ancora oggi qualcuno accusa Bentivegna, la Capponi e gli
altri “eroi” dell’impresa di Via Rasella per non essersi presentati e
salvare così la vita ai 330 (335) ostaggi. Non avrebbero potuto (anche
se lo avessero voluto) perché, consegnandosi avrebbero vanificato quanto
i capi del Cln avevano progettato, cioé ottenere quella grande
carneficina sulla quale l’antifascismo faceva grande affidamento.
Quindi
tutto rientra nella norma: gli stalinisti, che della politica demoniaca
sono maestri, da quel “grande botto” tutt’ora ricavano le loro fortune
avendo accanto anche, come complice, quel partito che dovrebbe ispirarsi
alla pietà cristiana.
Il notissimo Giorgio Bocca, fascista e antifascista, nel suo Storia dell’Italia partigiana ha scritto, fra l’altro: "Il
terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante,
ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo
premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per
coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. È una
pedagogia impietosa, una lezione feroce".
Anche il democristiano Benigno Zaccagnini non è da meno di Giorgio Bocca; infatti ha scritto: “La rappresaglia che veniva compiuta era un mezzo per suscitare maggiore spirito di rivolta antinazista e antifascista, e quindi si giustificava”. O ancora: il giornalista Luciano Moia (“Il Giornale” del 1° settembre 1993) ha osservato che . Risulta difficile non intervenire e far osservare che è facile scrivere “suscitare spirito di rivolta” o che “si suscitava maggiore spirito di rivolta…”, quando gli autori di questi atti di eroismo si nascondevano magari nei conventi, come accadeva, e facevano coinvolgere nelle rappresaglie dei cittadini che erano assolutamente innocenti. E fra questo, osservo, che anche quei militari ai quali era imposto di far parte dei plotoni di esecuzione, erano vittime di quelle sciagurate azioni.
Anche il democristiano Benigno Zaccagnini non è da meno di Giorgio Bocca; infatti ha scritto: “La rappresaglia che veniva compiuta era un mezzo per suscitare maggiore spirito di rivolta antinazista e antifascista, e quindi si giustificava”. O ancora: il giornalista Luciano Moia (“Il Giornale” del 1° settembre 1993) ha osservato che . Risulta difficile non intervenire e far osservare che è facile scrivere “suscitare spirito di rivolta” o che “si suscitava maggiore spirito di rivolta…”, quando gli autori di questi atti di eroismo si nascondevano magari nei conventi, come accadeva, e facevano coinvolgere nelle rappresaglie dei cittadini che erano assolutamente innocenti. E fra questo, osservo, che anche quei militari ai quali era imposto di far parte dei plotoni di esecuzione, erano vittime di quelle sciagurate azioni.
A
seguito di queste “azioni di guerra”, il Maresciallo Kesselring,
comandante supremo delle forze tedesche in Italia, lanciò, il 1° agosto
1944, un manifesto con il quale avvertiva che qualora quelle “azioni”
fossero continuate di aver “impartito alle proprie truppe i seguenti
ordini:
- 1) iniziare nella forma più energica l’azione contro le bande armate di ribelli, contro i sabotatori …
- 2) costituire una percentuale di ostaggi in quelle località dove risultano esistere bande armate e passare per le armi i detti ostaggi tutte le volte che nelle località stesse si verificassero atti di sabotaggio”.
Kesselring,
nel compilare il sopraccitato ultimatum, si riferiva alle Convenzioni
Internazionali firmate da quasi tutti i Paesi; tra questi la Germania e
l’Italia. Dal volume “Diritto Internazionale” alla voce “Combattenti”
fra l’altro si legge: “Sulla base delle Convenzioni de L’Aja del 1899 e
del 1907 sulla guerra terrestre (…) si possono classificare quattro
categorie di legittimi combattenti. Nella prima rientrano i militari
delle Forze Armate regolari di uno Stato belligerante, purché indossino
una uniforme conosciuta dal nemico, portino apertamente le armi,
dipendano da ufficiali responsabili e dimostrino di rispettare le leggi e
gli usi di guerra (…).
Gli illegittimi combattenti vengono dovunque
perseguiti con pene severissime e sono generalmente sottoposti alla pena
capitale. Nella guerra terrestre i franchi tiratori che operano nelle
retrovie nemiche, infiltrandosi alla spicciolata sotto mentite spoglie,
vengono passati per le armi in caso di cattura. Lo stesso dicasi per i
“sabotatori””.
Sempre
dal “Diritto Internazionale”, voce “Rappresaglia”: “La rappresaglia si
qualifica innanzitutto come “atto legittimo” (…). La rappresaglia
condotta obiettivamente illecita, diventa, per le particolari
circostanze in cui viene attuata, condotta lecita. La rappresaglia è,
fondamentalmente una “sanzione”, cioè una reazione all’atto illecito e
non un mero atto lecito, la cui liceità deriva dall’esistenza di un
precedente atto illecito (,,,), Poiché la rappresaglia si pone come
“risposta” ad un atto illecito, per essere legittima deve obbedire a
queste condizioni: vi deve essere stata lesione di un diritto o di un
interesse giuridico dello Stato autore e deve essere mancata la
riparazione (…). Non può mai violare le leggi umanitarie, cioè
fondamentali ed elementari esigenze di umanità (…). La scelta delle
misure da infliggere spetta allo Stato offeso.
Questo, però, prima di
passare all’azione, deve assicurarsi che l’offensore non voglia o non
possa riparare il danno (…). Compiuto inutilmente questi passi, potrà
applicare le misure che meglio crederà, uniformando però la sua condotta
alle condizioni di legittimità che abbiamo sopra esposte (…). La
rappresaglia è, cioè, un atto di violenza isolato nel tempo e nello
spazio, avente lo scopo di imporre il rispetto del diritto in relazione
ad una violazione subita, sì che possa cessare appena riparata l’offesa.
La nostra legge di guerra, approvata con R.D.8-VII-1938 n. 1415, regola
poi la materia delle ritorsioni e delle rappresaglie in tempo di guerra
con gli art: 8-9-10”.
È
bene a questo punto ricordare che nel 1983, l’allora Presidente più
amato dagli italiani, Sandro Pertini, uno dei responsabili delle cercate
rappresaglie, in occasione del trentottesimo anniversario dell’eccidio
avvenuto a Pedescala per opera dei tedeschi, sempre a seguito di un
attentato compiuto dai partigiani, si recò, dicevamo in quella cittadina
per consegnare la consueta medaglia che però venne sdegnosamente
rifiutata con la seguente motivazione: “Sparavano, poi sparirono.
Rifugiandosi sui monti, dopo averci aizzato contro la rabbia dei
tedeschi, ci lasciarono inermi a subire le conseguenze della loro
sconsiderata azione. Per tre interminabili giorni guardarono le case e
le persone bruciare sotto di loro, ma non si mossero. Con quale coraggio
oggi proclamano di avere difeso i nostri morti e pretendono di ricevere
una medaglia davanti al monumento che ricorda il loro sacrificio?”.
Per
completare quanto scritto ed evidenziare ancora più di quale
mostruosità giuridica ci si sia macchiati con la persecuzione a danno di
un centenario, vogliamo ricordare che tutti i partecipanti al secondo
conflitto mondiale si avvalsero di quanto attestato nelle Convezioni di
guerra allora esistenti; solo pochi esempi: gli inglesi nel paragrafo
454 del British Manual of Military Law, oppure gli americani al
paragrafo 358 dei Rules of Land Warfire, attestati che prevedevano il
diritto di rappresaglia. A Berlino, l’Armata Rossa che la occupava
minacciò la fucilazione di ostaggi nel rapporto di 50 a 1. Il testo del
comunicato era il seguente: “Chiunque effettui un attentato contro gli
appartenenti alle truppe di occupazione o commette attentati per motivi
di inimicizia politica, provocherà la morte di 50 ostaggi> (Testo
pubblicato sul quotidiano Verordnugsblatt di Berlinio del 1° luglio
1945). Abbiamo sotto gli occhi un documento che riguarda un manifesto
rivolto alla popolazione tedesca della città di Tuttlingen con il quale
il 1° maggio 1945 il comando militare francese annunciava: “Avis a la
Popolation!” tradotto avvertiva che “per ogni soldato francese ucciso
dai cecchini o partigiani tedeschi sarebbero stati fucilati 50
(cinquanta) ostaggi”. In merito il signor Benedetto Anselmi osserva:
“Nel 1957 questo manifesto era esposto nel museo storico della città di
Tuttlingen (Baden Wuerttemberg), ma nel 1998, dopo che un giornalista
interessato al caso Priebke lo aveva fotografato, venne rimosso”.
Se
facciamo la proporzione fra le minacce di fucilazione di ostaggi fra
gli angeli del bene (gli alleati) e i crudeli nazisti, non possiamo non
osservare che questi ultimi erano, almeno, più umani.
Se
tutto ciò è vero, perché tanto accanimento contro Priebke? La risposta è
ovvia: Priebke faceva parte di coloro che avevano perso la guerra…
Per
i fatti dello scempio avvenuto il 24 marzo 1944 alle Cave Ardeatine fu
intentato un processo a carico di Herbert Kappler (di cui sarebbe
semi-comico parlare della sua fuga dall’ospedale Celio di Roma; ma lo
spazio stringe e dobbiamo evitare di addentrarci più di tanto), Tenente
Colonnello delle SS tedesche e comandante della polizia di sicurezza
della città di Roma. A dicembre 1945 il procuratore militare di Roma
promuoveva azione penale contro “Kappler e altri”. Fra gli “altri” c’era
anche il capitano Erich Priebke. Kappler, stando alla sentenza operò
“in concorso con circa cinquanta militari tedeschi a lui inferiori in
grado e da lui dipendenti”. Nel leggere la “Sentenza n. 631, del
Tribunale Militare Territoriale di Roma, in data 20.07.1948, anche un
profano di legge comprende immediatamente che si è voluto colpire e
indicare un colpevole, non il VERO COLPEVOLE , cioè chi fu la causa
dell’eccidio alle Cave Ardeatine. Nella Prefazione di detta sentenza si
legge chiaramente: “(…). Dalle ormai note vicende giudiziarie del
Capitano nazista Erich Priebke, implicato nell’eccidio delle Fosse
Ardeatine in Roma (…)”. IMPLICATO, come esecutore di un ordine, non il
BOIA, come certi eroi lo hanno accusato. Ma la sentenza non può ignorare
altri fatti, come ad esempio riconoscere: “Stabilito che l’attentato di
Via Rasella costituì un atto illegittimo di guerra (…)” e: “(…). Deriva
che in conseguenza dell’atto illegittimo di Via Rasella, lo Stato
occupante aveva il diritto di agire in via di rappresaglia”.
Allora,
brevemente. Perché fu condannato Herbert Kappler? Nella confusione del
momento a seguito dell’attentato e della ricerca delle vittime
sacrificali, furono uccisi 5 ostaggi in più. Leggendo gli atti della
sentenza risulta che Kappler fu condannato all’ergastolo per questa
dolorosa circostanza: cinque vittime in più furono sacrificate alla
falce e martello, ma gli esecutori furono i nazisti, vestiti di
stupidità teutonica. Ecco di seguito la parte della sentenza: “Difatti, è
risultato pienamente provato che 330 persone furono uccise in
conseguenza all’attentato di Via Rasella, mentre le altre cinque furono
fucilate per errore (…)”.
Prima
di terminare, ma ci sarebbe tanto da aggiungere, non possiamo non
ricordare quanto avvenne nel corso del processo e dopo nel caso del
criminale di guerra Erich Priebke. Proviamo a ricordarlo, avvalendoci di
quanto ha scritto il signor G.F.S..
L’Italia
non ha mai saputo un bel niente di Priebke, fintanto che lo scoop di un
giornalista americano non ha rivelato la sua residenza a San Carlos de
Bariloche in Argentina. Il governo italiano, da quel momento, ha
cominciato a sprecare i soldi dei contribuenti, cedendo alle pressioni e
inginocchiandosi davanti ad una nota lobby che impartì l’ordine di
chiederne l’estradizione al governo argentino per poi estradarlo in
Italia e processarlo, sempre a nostre spese. Un processo dal quale
Priebke fu assolto, ma la nota lobby, dopo la lettura della sentenza,
sequestrò il tribunale con dentro giudici, magistrati, avvocati e
carabinieri. Un atto criminale che se fosse stato eseguito da cittadini
non membri di questa lobby, sarebbero stati arrestati e incarcerati.
L’allora ministro della Giustizia, un certo Flick, si inventò un
ri-arresto di Priebke e alla fine l’agnello fu sacrificato ed ottenne
l’ergastolo.
Per
quanto riguarda la lobby citata osserviamo che si fa riferimento alla
Judenaktion avvenuta a Roma il 16 ottobre 1943, cioè la deportazione
degli ebrei romani dal ghetto. Non si dimentichi che questo avvenne
grazie alla caduta del Fascismo (sostituito dal cosiddetto Governo del
Sud di Badoglio). Mussolini, fintanto che fu al potere, non consegnò mai
nessun ebreo ai tedeschi, nonostante le loro insistenze e pressioni.
Anzi, gli ebrei provenienti dai territori occupati dalle truppe
germaniche venivano a decine di migliaia in Italia o salvati, per ordine
di Mussolini, dalle truppe italiane, in un momento in cui in Italia
vigevano le leggi razziali. Su questi fatti c’è una esaurientissima
documentazione sui nostri volumi Uno schermo protettore e Mussolini, il
fascismo e gli ebrei.
Prima di concludere, alcuni particolari non di secondaria importanza. Se il diritto di rappresaglia, come abbiamo visto era consentito nel corso del Secondo conflitto mondiale, oggi pochi sanno – o fanno finta di non sapere – che “l’articolo 33 della IV Convenzione di Ginevra del 1949 (attenzione alla data, nda), in deroga a quanto prima era consentito dall’articolo 50 dei Regolamenti dell’Aja del 1899 e del 1907, proibisce in modo tassativo le misure di repressione collettiva, di cui si ebbe abuso delittuoso nell’ultimo conflitto”. Per maggiore chiarezza: quegli eserciti che si avvalsero (certamente disumano) del diritto di rappresaglia, quando questo era consentito dalle Leggi di Guerra, nel dopoguerra vengono perseguiti e condannati. Si vada a vedere quel che è accaduto, o tuttora accade, in Corea, in Vietnam, in Cecenia, in Afghanistan, in Irak da parte degli americani o dei sovietici, senza dimenticare le rappresaglie che quasi giornalmente gli israeliani compiono contro i civili palestinesi, ripetiamo azioni tassativamente proibite dal lontano 1949!
Prima di concludere, alcuni particolari non di secondaria importanza. Se il diritto di rappresaglia, come abbiamo visto era consentito nel corso del Secondo conflitto mondiale, oggi pochi sanno – o fanno finta di non sapere – che “l’articolo 33 della IV Convenzione di Ginevra del 1949 (attenzione alla data, nda), in deroga a quanto prima era consentito dall’articolo 50 dei Regolamenti dell’Aja del 1899 e del 1907, proibisce in modo tassativo le misure di repressione collettiva, di cui si ebbe abuso delittuoso nell’ultimo conflitto”. Per maggiore chiarezza: quegli eserciti che si avvalsero (certamente disumano) del diritto di rappresaglia, quando questo era consentito dalle Leggi di Guerra, nel dopoguerra vengono perseguiti e condannati. Si vada a vedere quel che è accaduto, o tuttora accade, in Corea, in Vietnam, in Cecenia, in Afghanistan, in Irak da parte degli americani o dei sovietici, senza dimenticare le rappresaglie che quasi giornalmente gli israeliani compiono contro i civili palestinesi, ripetiamo azioni tassativamente proibite dal lontano 1949!
Torniamo
per un attimo a quel 23 marzo 1944, cioè all’attentato di Via Rasella.
Questo, contrariamente a quanto si vuol far credere, non fu compiuto a
danno delle SS, ma contro militari altoatesini, quindi cittadini
italiani, i quali prima dell’8 settembre avevano indossato divise
italiane con tanto di stellette e dopo quella fausta data vennero
incorporati dai tedeschi nella compagnia Bozen. È bene rammentare che a
seguito dell’eroica azione non morirono trentatre tedeschi, ma a questi
vanno aggiunti altri nove che si spensero nelle quarant’otto ore
successive a causa delle ferite riportate. Ma, anche se la storiografia
ufficiale non lo ricorda, a seguito dell’eroica azione, perirono anche
alcuni civili; i loro nomi vengono ancora oggi celati, di certo possiamo
ricordare: Fiammetta Baglioni, di 66 anni, Pasquale Di Marco di 34 anni
e il piccolo Piero Zuccheretti di 13 anni che era talmente vicino al
luogo dell’esplosione che fu, in pratica, maciullato.
Quando
un giornalista chiese agli attentatori perché non si fossero presentati
e salvare così la vita a 335 infelici, questi risposero: . Più che
giusto, no?
NON
DOVEVANO PRESENTARSI, perché se lo avessero fatto addio Cave Ardeatine,
addio lacrimuccia versata dal Presidente più amato dagli italiani e dai
suoi predecessori e successori, quando senza ritegno alcuno vanno ad
offendere con la loro presenza, una volta di più, le vittime da loro
volute, che riposano nel Sacrario senza pace e senza Giustizia.
Riteniamo
giusto riportare quanto attesta lo storico Pierangelo Maurizio a pag.
98 del suo Via Rasella cinquant’anni di menzogne ( I nomi citati sono
gli autori dell’attentato): “(…). Il 23 marzo ’50 alcuni di loro (degli
attentatori) furono premiati. Rosario Bentivegna, Franco Calamandrei e
Mario Fiorentini con la medaglia d’argento al valor militare, medaglia
d’oro per Carla Capponi. Le proposte per i riconoscimenti non erano
state avanzate dal ministro della Difesa. Si era trattato di una
proposta “politica”, presentata e avallata con un proprio decreto
dall’allora presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi, lo
stesso che poco dopo l’attentato si era incontrato con Giorgio
Amendola, mostrando – secondo la ricostruzione dell’esponente comunista –
“un ammirato stupore”. Alcuni parenti delle vittime delle Ardeatine
trascinarono nel tribunale civile gli attentatori, Rosario Bentivegna,
Franco Calamandrei, Carlo Salinari e Carla Capponi, oltre ai membri
della giunta militare del Cln: Riccardo Bauer, Sandro Pertini, Giorgio
Amendola. Ma i giudici – appunto civili – del tribunale di Roma con
sentenza del 26 maggio ’50, un mese e mezzo dopo che De Gasperi aveva
decorato i gappisti, stabilirono che si era trattato di “un atto
legittimo di guerra” (?), e quindi “né gli esecutori né gli
organizzatori possono rispondere civilmente dell’eccidio disposto a
titolo di rappresaglia dal comando germanico” (…).
Signori
lettori: stabilite Voi… Quindi nessuna meraviglia su coloro che saranno
gli ispiratori degli eroi che poi si sarebbero scagliati
coraggiosamente contro la salma dell’ormai centenario Erich Priebke,
fatto avvenuto nel corso del suo funerale a ottobre del 2013.
(In)giustizia è fatta! A Via Rasella è morta la Giustizia ed è seppellita alle Cave Ardeatine!
Filippo Giannini
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