mercoledì 9 novembre 2016

Israele si preocupa per la vittoria sciita ad Aleppo. E va a Mosca.


Lunedì, una delegazione di personalità israeliane s’è recata a Mosca per incontri con le autorità russe.

Secondo il Jerusalem Post, sono deputati della commissione affari esteri e della commissione forze armate, guidati da Avi Ditcher, appunto presidente della Commissione esteri, e falco del Likud. Prima di partire, il falco ha diramato alle agenzie ebraiche:
Protesterò per il voto di Mosca all’UNESCO, scandaloso e inaccettabile”.  
Un’idea fissa, evidentemente. La delegazione dovrà “persuadere la Russia ad adottare posizioni più positive verso Israele”.

Secondo le fonti di Teheran, Israele “ha paura di una vittoria dell’Asse di Resistenza ad Aleppo”  (Asse di Resistenza chiamano le forze militari congiunte sciite- che combattono in Siria: Hezbollah, alawiti  e cristiani per Assad, corpi dell’Iran) e vuole garanzie da Mosca soprattutto riguardo all’Iran: stato che per Israele “sostiene il terrorismo” (tradotto dalla neolingua: non ha voltato le spalle ai palestinesi).

Israele in Siria si trova a fianco dei sauditi, del Katar, degli Usa e della Turchia a sostenere i jihadisti, i terroristi e  mercenari che ora stanno cedendo; e nella prospettiva di una vittoria dell’Asse, lo stato ebraico si trova in posizione imbarazzante, di cui sta cominciando a valutare i pericoli.

La vasta politica di destabilizzazione promossa dagli Usa sul progetto israeliano (Piano Kivunim) sta dando risultati forse opposti a quelli sperati. Hanno adesso le forze armate russe molto vicine, che li tengono sotto la portata degli S-400, e alleate alle forze armate iraniane combattenti per mantenere Assad a Damasco.

Dall’inizio della guerra in Siria, l’aviazione sionista ha bombardato più volte le posizioni dell’esercito regolare siriano e convogli di Hezbollah (allo stesso modo gli americani hanno sistematicamente distrutto le infrastrutture civili della Siria: ponti, centrali elettriche, fabbriche), e sempre impunemente, perché Damasco non osava tirarsi addosso un altro nemico bellico nella guerra aperta.

A metà settembre però qualcosa è cambiato: la contraerea siriana ha abbattuto un F-16 israeliano (e un suo drone); la cosa è stata smentita da Israele, ma ha lasciato le più vive inquietudini nella leadership sionista. Fino a che punto Mosca è davvero alleata dell’Iran? Tanto più che, come dicono le fonti iraniane, certe fonti “riferiscono di contatti sempre meno frequenti tra le forze russe in Siria e Israele, il che inquieta Tel Aviv”. I taciti accordi e lo scambio di informazioni militari volti ad evitare scontri diretti con l’aviazione israeliana non sono più tanto importanti per gli stati maggiori russi. Cosa è cambiato?

Saldatura Cairo-Teheran?

Ad Ovest di Sion, l’avvicinamento dell’Egitto di Al Sissi a Mosca e alla Siria è evidente: ad ottobre russi ed egiziani hanno tenuto un’esercitazione congiunta, novità assoluta. Nello stesso ottobre, altissimi ufficiali dell’intelligence sono volati a Damasco per incontrare una delegazione di pari grado, capeggiati  dal generale Ali Mamlook, consigliere di sicurezza nazionale del Presidente Assad. A novembre, soldati e ufficiali egiziani sono arrivati a Damasco per esercitazioni e scambio di intelligence sulla guerriglia urbana e contro-terrorismo.

Voci non confermate parlano di tonnellate di armamento e munizioni che la Russia invia – tramite l’Egitto – all’armata “nazionale” della Libia, il governo di Tobruk non  riconosciuto dagli occidentali.

In più, l’Egitto ha rifiutato al richiesta saudita di impegnarsi nella guerra genocida agli Houti in Yemen, ed ha votato, al Consiglio di Sicurezza Onu, la risoluzione russa sulla Siria. Immediatamente l’Arabia Saudita ha tagliato al Cairo le forniture di gas e petrolio – ma queste sono state subito sostituite dalle forniture dell’Irak: con un accordo firmato da Al Sisi e dal primo ministro iracheno Haidar Al-Abbadi  con la mediazione di Mosca e di Teheran. 

Per il Cairo l’accelerazione dei nuovi legami di sicurezza ha una motivazione in più: la vittoria di Hillary Clinton peggiorerà le relazioni di Al Sissi con Washington, visto che la presidenza americana è così profondamente infiltrata dai Fratelli Musulmani, i cui interessi sono apertamente coltivati da Huma Abedin (e occultamente da Obama in tutti gli anni della sua presidenza)

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La prima Messa nella devastata chiesa della Immacolata Concezione, della cittadina cristiano di Karakosh presso Mossul, liberato dalle milizie cristiane.  
Ma per Israele ce n’è abbastanza per vedere il solidificarsi di un’alleanza fra i due paesi più popolosi, Egitto e Iran, uniti dalla Siria e dall’Irak sciita, sotto gli auspici di Mosca. Quindi l’urgenza con cui la delegazione del Likud vuol tastare il polso russo.

Che Mosca non stia più al gioco della finzione americano è evidente. Da ultimo, la sua diplomazia ha bollato la “riconquista di Mossul” voluta dalla propaganda Usa e a cui partecipa l’intera corte dei miracoli europea con la corte dei miracoli curdo-turca, di “operazione degenerata in un carnaio medievale di cui la prima vittima è la popolazione civile”, e dove gli occidentali “non hanno messo a punto alcun piano di salvataggio come corridoi umanitari e sistemi di evacuazione della popolazione” (naturalmente l’ONU non protesta).

Se la delegazione israeliana sia tornata tranquillizzata dalle intenzioni di Mosca, non sappiamo. Abbiamo però il parere di Boyan Chukov, ex consigliere e analista della repubblica di Bulgaria: un personaggio che per come parla e per forma mentis manifesta la sua “formazione”, l’intelligence dei tempi sovietici. No occorre molto per capire che sta riflettendo la valutazione di Mosca. Sulla “riconquista di Mossul” da parte degli Usa e la sua coalizione, per esempio: “Non si dimentichi che nel giugno 2014, la città è stata consegnata ai jihadisti senza sparare un colpo. Le forze speciali degli Stati Uniti hanno lasciato ai terroristi  tutto un armamento pesante nuovo, corazzati, cingolati, munizioni – e mezzo miliardo di dollari in contanti nelle diverse banche di Mossul. Ora cercano a Mossul una vittoria decorativa per mantenere il globalismo e il pan-americanismo per Hillary Clinton. Questo è il motivo per cui c’è da credere all’informazione secondo cui  è stata offerta una mancia d 1,2 miliardi di dollari ai leader jihadisti perché lascino Mossul”.

Daesh mandato a minacciare il Volga
Una messinscena, dunque, con carnaio di civili annesso? Chukov risponde: “L’assalto a Mossul va visto nel prisma della globalizzazione. Il Nobel per la Pace Obama ha bisogno, propagandisticamente, di concludere il suo mandato con una “vittoria” sul terrorismo globale, per aumentare il ‘rating’ del partito democratico Usa e dare una spinta iniziale a Hillary Clinton, se diventa presidente”.

E Daesh, cacciato da Mossul (o pagato per andarsene), dovrebbe esser mandato in Siria a combattere Assad? La risposta di Chukov è impressionante:
Certi analisti credono che lo scopo non sia primariamente di trasferire i jihadisti da Mossul ad Aleppo  e Rakka, ma di trasferire i combattenti di Daesh nell’Afghanistan del Nord, dove li attendono arsenali di armi (mal) sorvegliate in sette basi americane semi-sguarnite. Ci sono forti sospetti che gli Usa vogliano ripetere in Afghanistan l’elegante trucco che hanno messo in atto nel giugno 2014 a Mossul, colla teatrale consegna degli arsenali”.
Gli americani starebbero per mandare i jihadisti in Afghanistan? E a quale scopo? Risponde Chukov:
Il dispiegamento di Daesh in Afghanistan permetterà ai jihadisti di spiegare una linea offensiva Herat-Mara col compito di raggiungere il porto di Turkmenbashi (Krasnovodsk) in Turkmenistan e di continuare la loro offensiva lungo il Mar Caspio verso il Kazakstan e la regione del Volga, in Russia”.
 
La zona d ‘operazione futura che gli americani hanno pensato per Daesh?

Dunque “certi analisti” (a Mosca) sono convinti che gli americani, senza mettere “stivali sul terreno”, manderanno i loro mercenari jihadisti a minacciare militarmente la Russia da Sud, insidiandola nel Caspio.

Il che converge bene con l’annuncio di Stoltenberg, al Times del 7 novembre, che la NATO prepara una “forza militare pronta a rispondere d’urgenza, in due mesi, a una eventuale aggressione militare russa contro i paesi baltici” – Sic. Sarà una forza di 300 mila uomini, ha precisato il rappresentante britannico alla NATO.

Così, Mosca vede completarsi l’accerchiamento. Preparativi della prossima guerra per Hillary presidentessa. (L’intervista a Chukov merita di essere letta per intero:  https://southfront.org/why-cant-the-us-and-russia-reach-an-agreement-in-syria/) –

Il servo Gentiloni…

Da che parte starà l’Italia – o ci faranno stare i governanti – lo dice questo articolo di Libero, che mostra quanto scodinzoli Gentiloni attorno alla Famiglia:

Fra le varie mail della corrispondenza di John Podesta, capo della campagna elettorale di Hillary Clinton, pubblicate da Wikileaks, ce ne è anche qualcuna partita dall’Italia: la serie inviata dal capo della segreteria particolare del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, a Huma Abedin, la più stretta collaboratrice di Hillary che oggi rischia di farle perdere con lo scandalo e-mail la corsa verso la casa Bianca.

A leggere quelle corrispondenze, che precedevano un viaggio negli Stati Uniti il 9 dicembre del 2014, Gentiloni stava supplicando di potere avere un faccia a faccia con Hillary fosse stato solo per un caffè.

Huma, la fidata collaboratrice di origine marocchina che è diventata nota soprattutto per gli scandali dell’ex marito (da cui ora si è separata), Antonhy Weiner, solito mandare autoscatti osè a donne conosciute sul web, è stata sempre cortesissima.

Ma il caffè non l’ha concesso. Nonostante la segreteria di Gentiloni assicurasse che altri incontri, come quello con il sottosegretario di Stato John Kerry, si sarebbero chiusi alla velocità della luce in caso di un sì di Hillary. Pare che la futura candidata democratica alla Presidenza non si sia sciolta davanti alle parole della segreteria di Gentiloni, che giurava che per il ministro italiano “sarebbe stato un onore incontrarla e discutere con lei dei principali dossier di politica internazionale. Aggiungo che Gentiloni è anche membro del Partito democratico italiano, e per questo noi siamo legatissimi ai democratici americani…”. Chissà poi a che titolo la Clinton, che non aveva alcun incarico pubblico, avrebbe potuto discutere meglio di Kerry dei dossier di politica internazionale…
http://www.liberoquotidiano.it/news/l-imbeccata/12006444/gentiloni-supplico-huma-la-reietta-per-incontrare-la-clinton.html


Maurizio Blondet


fonte: http://www.maurizioblondet.it/israele-si-preoccupa-la-vittoria-sciita-ad-aleppo-va-mosca/

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