“Noi non siamo integri.
Siamo il prodotto di un’infinità di influenze,
di migliaia di condizionamenti,
di deformazioni psicologiche.
Siamo il frutto della propaganda e della cultura.
Noi non siamo integri
e quindi siamo esseri di seconda mano.”
(Jiddu Krishnamurti)
“Tutti
conosciamo quel tremendo senso di solitudine nel quale né i libri né la
religione servono più a niente, quando tutto quello che rimane dentro
di noi è un vuoto spaventoso. La maggior parte di noi non riesce ad
affrontare quel vuoto, quella solitudine; così fuggiamo e andiamo a
cercare rifugio nella dipendenza da qualcosa, perché non possiamo
sopportare di rimanere soli con noi stessi. Accendiamo la radio,
leggiamo, lavoriamo, chiacchieriamo incessantemente occupandoci delle
cose più diverse, dell’arte, della cultura.
Ma
arriva il momento nel quale non possiamo fare a meno di imbatterci in
quel senso tremendo di isolamento. Anche se abbiamo un ottimo lavoro in
cui tuffarci disperatamente, anche se ci mettiamo a scrivere libri,
dentro di noi c’è questo vuoto tremendo. E siccome vogliamo riempirlo,
ricorriamo alla dipendenza. Ci rifugiamo nella dipendenza, nei
divertimenti, nella religione; facciamo dell’assistenza, ci diamo al
bere, alle donne, facciamo di tutto per riempire quel vuoto.
Ma
se ci rendiamo conto che qualunque cosa facciamo per riempirlo o per
nasconderlo non serve assolutamente a nulla; se ce ne rendiamo conto non
a parole, vediamo l’assurdità di quello che stiamo facendo… allora ci
ritroviamo ad affrontare un fatto. Non è questione di liberarsi dalla
dipendenza. Il fatto non è la dipendenza; la dipendenza è solo una
reazione a un fatto... Perché allora non affronto il fatto e sto a
vedere che cosa succede?
A
questo punto sorge il problema dell’osservatore e dell’osservato.
L’osservatore dice: “Mi sento completamente vuoto; non lo sopporto” e
fugge da questa sensazione. L’osservatore dice: “Io sono diverso da
questo vuoto”. Mentre invece l’osservatore e proprio questo vuoto; non
c’é un osservatore che stia vedendo quel vuoto. L’osservatore è
l’osservato. Quando questo accade, avviene una rivoluzione tremenda
nella mente e nei cuore.
Cercate
semplicemente di rendervi conto del vostro condizionamento. Lo potete
percepire solo indirettamente, collegato a qualcosa. Non potete
rendervene conto in astratto, non avrebbe molto significato. Possiamo
solo essere consapevoli del conflitto. Il conflitto affiora quando non
c’è corrispondenza tra una sfida e la risposta che essa richiede. Il
conflitto è il prodotto del nostro condizionamento. Condizionamento
significa attaccamento: attaccamento al nostro lavoro, alla tradizione, a
quello che possediamo, alle persone, alle idee e così via.
Se
non ci fossero attaccamenti, dove andrebbe a finire il condizionamento?
Certamente non potrebbe esserci. Allora perché ci attacchiamo a
qualcosa? Sono legato al mio paese, perché identificandomi con la mia
patria mi sento qualcuno. Mi identifico col mio lavoro, così Il lavoro
diventa importante. Io sono la mia famiglia, sono quello che possiedo.
Mi attacco a queste cose e quello a cui mi attacco mi offre la
possibilità di fuggire da quel vuoto tremendo che sento dentro di me.
L’attaccamento
è una fuga e questa fuga rafforza il condizionamento. C’è una
solitudine che non ha nulla di filosofico, ma che implica uno stato
interiore di rivolta contro l’intera struttura della società che, in
qualunque forma si manifesti, democratica, comunista o fascista, è
l’organizzazione del potere in tutta la sua brutalità. Quello stato
interiore comporta una straordinaria percezione degli effetti del
potere.
Avete
mai osservato i soldati durante una parata militare? Non sono più
esseri umani, sono macchine; sono i vostri figli, sono i miei figli che
stanno impettiti sotto il sole. E questo accade dovunque, in America
come in Russia. Questa situazione non riguarda soltanto i militari, ma
anche tutti gli appartenenti a un ordine monastico, quelli che vivono
nei monasteri o che fanno parte di gruppi in cui si concentra un immenso
potere. Solo una mente che non appartiene a nulla può scoprire quella
solitudine, una solitudine che nessuno potrà mai coltivare.
Capite?
Rendervene conto significa mettervi fuori gioco e nessun uomo di
governo, nessun presidente vi inviterà mai a pranzo. In quella
solitudine affiora l’umiltà. È una solitudine che conosce l’amore, non
il potere. L’uomo ambizioso, che sia religioso o no, non saprà mai che
cos’è l’amore. Chi si rende conto di tutto questo possiede la capacità
di vivere e di agire nella totalità. Questa qualità affiora attraverso
la conoscenza di noi stessi.
Per
evitare di soffrire coltiviamo il distacco. Qualcuno ci ha detto che
l’attaccamento prima o poi ci farà soffrire e allora vorremmo essere
distaccati. L’attaccamento ci da soddisfazione, ma quando ci accorgiamo
che comporta anche sofferenza, cerchiamo soddisfazione nel tentare di
essere distaccati. Ma non c’è differenza tra attaccamento e distacco,
perché per noi rimangono entrambi mezzi per procurarci piacere.
In
realtà quello che stiamo cercando è soltanto la nostra soddisfazione, e
la vogliamo a tutti i costi. Accettiamo la dipendenza e l’attaccamento
perché ci danno piacere, sicurezza, potere, un senso di benessere; anche
se inevitabilmente comportano dolore e paura. E quando cerchiamo il
distacco, siamo ancora in cerca di piacere, perché non vogliamo essere
offesi o feriti interiormente.
Quello
che cerchiamo è il piacere, è la nostra soddisfazione. Dovremmo capire
questo processo senza condannarlo, senza giustificarlo, altrimenti non
avremo modo di uscire dalla confusione e dalle nostre contraddizioni. Il
desiderio che ci assilla in continuazione potrà mai essere soddisfatto?
O è un pozzo senza fondo?
Non
importa che cosa desideriamo; quello che desideriamo può essere infimo o
elevato, ma si tratta pur sempre di desiderio, un fuoco che brucia e
riduce in cenere tutto quello che tocca. il desiderio di soddisfazione
sempre arde in continuazione, ci brucia dentro è non ha fine. Tanto
l’attaccamento quanto il distacco ci legano; entrambi devono essere
trascesi…
Non
so se vi siete mai sentiti soli: all’improvviso vi rendete conto di non
essere in relazione con nessuno. Ve ne rendete conto non
intellettualmente, ma effettivamente... Vi sentite completamente
isolati; pensiero ed emozione si bloccano; non sapete da che parte
voltarvi. Non c’è nessuno a cui possiate rivolgervi, né dei, né angeli. È
come se se ne fossero andati tutti quanti oltre le nubi; e quando le
nubi scompaiono vi accorgete che anche loro sono scomparsi e voi
rimanete totalmente soli.
Ma
c’è una solitudine completamente diversa, una solitudine ricolma di
bellezza. Questa solitudine vi è necessaria. Quando l’essere umano non
ha più nulla a che fare con la struttura sociale, fatta di avidità,
ambizione, invidia, arroganza, quando smette di desiderare una posizione
e il successo e si libera da tutto questo, allora si ritrova in quella
solitudine, completamente diversa dalla solitudine che ben conosciamo.
Allora c’è una grande bellezza e il senso di una straordinaria energia.
Sebbene
siamo tutti esseri umani, abbiamo costruito delle barriere che ci
separano gli uni dagli altri, le barriere del nazionalismo, della razza,
della casta, della classe sociale, che ci condannano a vivere
nell’isolamento, nella solitudine. Una mente rinchiusa nel suo
isolamento, nella sua solitudine, non ha la minima possibilità di capire
che cos’è la religione.
Può
credere in qualcosa, può aggrapparsi a teorie, formule, concetti, può
tentare di identificarsi con quello che essa chiama Dio, ma io ho
l’impressione che la religione non abbia in realtà nulla a che fare con
le fedi, i preti, le chiese e i cosiddetti libri sacri. Si può capire
quale sia lo stato di una mente religiosa solo quando cominciamo
a comprendere la bellezza. E ci si deve accostare alla comprensione
della bellezza con quello stato della mente che è solo perché non ha
confronti.
Quando
la mente vive in uno stato nel quale non ha bisogno di nulla, può
conoscere la bellezza; nessun altro stato può consentirle di
avvicinarla. La solitudine di cui stiamo parlando non è isolamento e non
è nemmeno legato ad una capacità eccezionale in qualche campo; essa
semplicemente implica il sostegno della sensibilità, dell’intelligenza,
della comprensione.
Questa
solitudine richiede che la mente sia libera da qualsiasi influenza e
capace di non farsi contaminare dalla società. Questa solitudine è
necessaria per capire che cos’è la religione: religione significa
scoprire per conto proprio se esiste qualcosa che è immortale, che è al
di là del tempo. L’isolamento deve essere completamente superato, se
vogliamo scoprire una solitudine che non ha nulla a che fare con
l’isolamento.
La
solitudine di cui stiamo parlando richiede una mente integra, in cui ci
sia armonia fra tutte le sue funzioni. La nostra mente non è così;
divide e separa tutto quello che tocca. È questo il suo modo di
funzionare e quindi è condannata a vivere nell’isolamento. La solitudine
di cui parliamo non separa, non è influenzata dalla frammentarietà, non
è il prodotto della frammentarietà. La nostra mente è a pezzi, è piena
di frammenti, è stata costruita e ridotta così attraverso i secoli e
quindi non può conoscere quella interezza che è completezza.
Solo
quando la mente si rende conto dell’isolamento in cui vive, quando
scopre la sua frammentarietà, può consentire che l’interezza affiori.
Allora può esserci qualcosa che è incommensurabile. Sfortunatamente la
maggior parte di noi si accontenta di dipendere, vuole dipendere.
Vogliamo compagnia, vogliamo degli amici e continuiamo a vivere
mantenendo uno stato di separazione che inevitabilmente genera
conflitto.
Quella
solitudine che è interezza non conoscerà mai il conflitto. La mente che
vive nell’isolamento non potrà mai conoscere né capire quello stato che
è senza conflitto. La maggior parte di noi non conosce quella
solitudine che è interezza. Potete andare a fare gli eremiti su una
montagna, ma inevitabilmente porterete con voi le vostre idee, le vostre
esperienze, le vostre tradizioni, la conoscenza che avete accumulato.
Il
monaco cristiano, chiuso in un monastero, non conosce quella solitudine
che è interezza. Vive con i suoi concetti teologici, con le sue
immagini di idoli, con tutto quello in cui crede, con i dogmi legati al
suo particolare condizionamento. E si può dire la stessa cosa per il
sannyasin, in India, che si ritira dal mondo e vive in isolamento. La
sua solitudine non è interezza, perché anch’egli vive legato ai suoi
ricordi.
Sto
parlando di una solitudine nella quale la mente è del tutto libera dal
passato; in questa libertà c’è innocenza, che è virtù. Forse voi direte:
“È troppo chiedere una cosa simile; non si può vivere così in un mondo
tanto caotico, dove bisogna andare in ufficio tutti i giorni per
guadagnarsi da vivere, per mantenere i propri figli e dove bisogna
sopportare le lamentele del marito o della moglie.”
Eppure
io credo che quanto stiamo dicendo sia direttamente e strettamente
connesso alla vita quotidiana, al nostro agire quotidiano; altrimenti
non avrebbe alcun valore. Da quella solitudine, che è interezza
interiore, proviene una virtù che è forza è che porta con sé una
straordinaria purezza e gentilezza. Non ha molta importanza se si
commettono degli errori; non è questo che conta.
Quello
che è importante avere la sensazione di essere assolutamente soli,
intatti, al di là di qualsiasi contaminazione. Solo allora la mente può
conoscere, può cogliere quello che è al di là della parola, al di là del
nome, al di là di ogni immaginazione. Uno dei fattori che alimentano la
sofferenza degli esseri umani è il loro isolamento.
Fatevi
pure tutte le amicizie che volete, venerate i vostri dei, accumulate
una conoscenza straordinaria, datevi incredibilmente da fare nel campo
dell’assistenza sociale, discutete all’infinito di politica - cosa che i
politici fanno normalmente - ma non potrete minimamente scalfire
quell’isolamento. Nel suo isolamento l’essere umano cerca di dare un
significato alla vita o se ne inventa uno, ma la sua solitudine rimane.
Ora,
potete osservare questo isolamento per quello che è, senza fare
confronti, senza tentare di sfuggirlo, senza tentare di nasconderlo,
senza cercare di allontanarvene? Allora vedrete che questa solitudine
diventa qualcosa di completamente diverso. Noi non siamo integri. Siamo
il prodotto di un’infinità di influenze, di migliaia di condizionamenti,
di deformazioni psicologiche; siamo il frutto della propaganda e della
cultura.
(Jiddu Krishnamurti)
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2017/01/la-solitudine.html
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