martedì 24 marzo 2015

Deus ex machina


Nella civile Svezia il vertice di un’azienda ha convinto i propri dipendenti a farsi inserire nella mano un microprocessore sottocutaneo. Usato per l’identificazione, il piccolissimo (e diabolico) marchingegno, sostituisce il badge e consente di aprire le porte, di eseguire fotocopie, di usufruire di vari servizi, ad esempio la mensa.

L’innovazione è stata decantata dai media come un portento tecnologico che un giorno sarà impiantato in ognuno di noi: mai più codici da ricordare, carte che si smagnetizzano o si smarriscono... mai più. Tutti i dati personali saranno contenuti, le in un dispositivo RFID con cui saranno espletati gli accessi a siti istituzionali, le operazioni bancarie, anagrafiche e burocratiche.

Sono significative le reazioni dell’opinione pubblica di fronte a questo passo decisivo verso una società ipercontrollata. Molti sono entusiasti del microchip, esaltando le “magnifiche sorti e progressive” della tecnologia, il deus ex machina del Terzo millennio; altri sono rassegnati. 
 
Qualcuno ritiene impossibile che i governi, le amministrazioni pubbliche o private decidano di imporre il microprocessore sottopelle: “Non siamo cani o gatti!”, esclamano. Non mi fiderei tanto: gli esecutivi di questi ultimi anni brillano per fanatismo nei confronti dell’agenda digitale con tutte le diavolerie annesse e connesse. Il grullo fiorentino intende rendere obbligatorio il Wi-Fi negli uffici pubblici e nelle scuole di ogni ordine e grado: come minimo, grazie a questo criminale progetto, ci prenderemo una bella cefalea.

Comunque non sarà necessaria un’azione coercitiva: l’establishment più che imporre, propone, anzi lascia balenare le rutilanti meraviglie di un futuro in cui saremo connessi alla Rete, ventiquattr’ore su ventiquattro. Sono lusinghe da cui sono attratte specialmente le nuove generazioni, già mezzo cablate, anima e corpo. Gli altri saranno persuasi; i recalcitranti si arrenderanno obtorto collo: chi non ha il microchip non mangia. Tra l’altro ogni cambiamento (e ciascun cambiamento rima con spavento) avverrà con sadica lentezza, con inavvertita gradualità, come da prassi.

Alcuni si chiedono per quale ragione in una struttura sociale in cui ormai il suddito (ex cittadino) è pedinato e sorvegliato dappertutto attraverso sofisticati sistemi, la feccia mondialista intenda ricorrere ad una tecnologia tutto sommato rozza, quale l’innesto di un microelaboratore. La risposta è nell’ossessione simbolica delle cosiddette élites: l’impianto è una sorta di sacramento al contrario, un rito controiniziatico cui è sottoposto l’ignaro impiegato.

Che cosa ci dobbiamo dunque attendere? In un consorzio “umano” dove una stomachevole pellicola come “Birdman” è osannata quasi fosse un capolavoro della cinematografia, magari per il virtuosismo dei piani-sequenza, quando il virtuosismo sta all’arte come una collana di bigiotteria ad un monile vero, che cosa ci dobbiamo attendere? Ci dobbiamo aspettare la rivelazione di un nuovo culto, il culto della macchina, perché... deus est machina.



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fonte: http://zret.blogspot.it/2015/03/deus-ex-machina.html#.VREx044XehQ

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