1. È l’energia stessa che controlla la propria attività
La ricerca della
realtà richiede immensa energia. Quando l’essere umano non cerca la realtà,
spreca la sua energia facendo dei danni e così induce la società a tenerlo sotto
controllo. Ora, è possibile dedicare energia alla ricerca di Dio, della verità,
ed essere nello stesso tempo delle persone che, nel portare avanti questo
processo di scoperta della verità, comprendono i fatti fondamentali della vita e
non possono venire distrutte dalla società?
Vedete, gli esseri
umani sono energia e se non cercano la verità la loro energia diventa
distruttiva; così la società li tiene sotto controllo e impone loro uno schema
che soffoca l’energia di cui dispongono... Forse vi sarete accorti di un altro
fatto interessante e molto semplice: quando volete veramente fare qualcosa, ecco
che avete a disposizione l’energia che vi serve...
E l’energia stessa è in grado
di controllare la propria attività; non avete alcun bisogno di imporle
dall’esterno una disciplina. Nella ricerca della realtà, l’energia crea il
proprio ordine, la propria disciplina. L’essere umano che cerca la realtà si
comporta spontaneamente in maniera corretta e questa correttezza non potrà mai
essergli imposta né dalla società, né dal governo.
2. La dualità crea conflitto
Qualsiasi conflitto,
che sia fisico, psicologico o intellettuale, e uno spreco di energia. È
straordinariamente difficile rendersene conto e liberarsi da ogni conflitto,
perché quasi tutti noi siamo stati educati a lottare, a fare sforzi. Questa è la
prima cosa che ci insegnano a scuola: fare sforzi. Così continuiamo a lottare e
a sforzarci per tutta la vita. Per essere buoni è necessario lottare; bisogna
combattere il male, bisogna essere capaci di resistere, di controllarsi. Così,
in qualsiasi campo, da quello dell’educazione a quello sociologico o religioso,
agli esseri umani si insegna a lottare.
Vi dicono che per
trovare Dio dovete lavorare, dovete sottoporvi a una disciplina, dovete
praticare degli esercizi, dovete torturare la vostra anima, tormentare la vostra
mente e il vostro corpo; dovete rifiutare, reprimere; non dovete guardare certe
cose; dovete lottare, lottare sempre per ottenere qualcosa al cosiddetto livello
spirituale, che in realtà non è affatto spirituale! così nella società ognuno si
preoccupa solo di se stesso e della propria famiglia.
...In qualunque
direzione ci muoviamo, noi non facciamo altro che sprecare energia. E questo
spreco di energia e fondamentalmente conflitto: un conflitto tra quello che
“devo” o “dovrei” fare e quello che “non devo” o “non dovrei” fare. Quando si è
creata una dualità, il conflitto diventa inevitabile. Allora bisogna capire la
dualità, come si produce e come funziona. È evidente che ci sono l’uomo e la
donna, il rosso e il verde, la luce e il buio, l’ato e il basso; questi sono
fatti. Ma quando facciamo uno sforzo per separare l’idea dal fatto, è lì che
sprechiamo energia.
3. La formulazione di un’idea
Se chiedete: “Come
faccio a non sprecare energia?”, vi aspettate di poter fare ricorso a un’idea
per risparmiare energia. E se vivete secondo quell’idea, così come e stata
formulata, vi trovate di nuovo immersi nella contraddizione. Ma se vi rendete
conto di come sprecate le vostre energie, capite che la causa principale di
questo spreco e il conflitto. c’è conflitto quando avete un problema e non lo
risolvete mai, quando vivete nel ricordo di qualcosa che ormai non c’è più,
quando vivete attaccati alla tradizione.
È essenziale capire la
natura stessa dello spreco di energia e questa comprensione non vi viene da
Shankara, da Buddha o da qualche santo, ma dall’effettiva osservazione del
conflitto che esiste nella vostra vita quotidiana. Allora, il conflitto
determina il piu grande spreco di energia, ma per evitarlo non potete mettervi a
sedere pigramente da qualche parte, smettendo di fare qualsiasi cosa. IL
conflitto ci sarà sempre finché l’idea sarà più importante del fatto.
4. Dove c’è contraddizione, c’è conflitto
Potete vedere che la
maggior parte di noi vive nel conflitto è nella contraddizione, non solo
esteriormente ma anche interiormente. Contraddizione implica sforzo... e uno
sforzo e uno spreco di energia. Dove c’è contraddizione, c’è conflitto. E dove
c’è conflitto, c’è anche lo sforzo per superarlo, che è un modo per opporsi al
conflitto. Quando vi opponete a qualcosa, si genera una certa energia; lo sapete
quando opponete resistenza, proprio da questa resistenza scaturisce energia.
Tutte le nostre azioni
si basano su un attrito: quello che devo fare incontra la resistenza di quello
che non devo fare. Da questa contrapposizione, che è una forma di conflitto,
scaturisce energia; ma, se la osservate bene, è un’energia molto distruttiva,
non è creativa...
La maggior parte della
gente vive nella contraddizione. In quelle persone che possiedono un dono, un
talento, come quello di saper scrivere o dipingere, si genera una tensione che
consente loro di trovare l’energia necessaria ad esprimersi, a creare, a
scrivere, ad essere.
Maggiore e la tensione, più forte e il conflitto e piu
importante quello che viene prodotto. Questa noi la chiamiamo creazione, ma non
lo è affatto. È il risultato del conflitto. Affrontare il fatto che siete in
conflitto, che siete in contraddizione, lascia affiorare un’energia che non ha
nulla a che fare con la resistenza e il conflitto.
5. L’energia creativa
La questione è: esiste
un’energia che non faccia parte del campo del pensiero, che non nasca dalla
contraddizione, che non sia frutto di un’imposizione, che non scaturisca dalla
frustrazione per non essere arrivati al successo? Avete capito la domanda? Spero
di essere stato chiaro. Perché, se non scopriamo quell’energia che possiede una
qualità che non ha nulla a che fare col pensiero e con l’energia frammentaria e
meccanica del pensiero, la nostra azione sarà distruttiva, qualunque cosa
faremo, sia che ci occupiamo di riforme sociali, che scriviamo ottimi libri, che
concludiamo buoni affari, che alimentiamo i nazionalismi o ci dedichiamo alla
politica. Chiediamoci se questa energia esiste realmente, non in teoria, perché,
quando si tratta di affrontare i fatti, inventarsi delle teorie è davvero un
segno di infantilismo e di immaturità. È come quando una persona deve essere
operata di cancro: è inutile che vi mettiate a discutere su quali strumenti
verrànno usati; dovrete affrontare il fatto che quella persona sarà operata.
Allo stesso modo, la mente deve smettere di essere schiava del pensiero.
Il
pensiero opera nel tempo e produce continuamente invenzioni: qualsiasi genere di
apparecchiatura, gli aerei a reazione, i frigoriferi, i razzi, l’esplorazione
dell’atomo e dello spazio sono frutto del pensiero e della conoscenza che il
pensiero ha accumulato. Tutte queste cose non hanno nulla a che fare con la
creazione; inventare non è creare; la capacità di fare qualcosa non c’entra con
la creazione. Il pensiero non sarà mai creativo, perché e sempre condizionato e
quindi non sarà mai libero. Solo quell’energia che non è un prodotto del
pensiero è creativa.
6. L’energia suprema
L’idea che ci facciamo
dell’energia e del tutto diversa da quel fatto che è l’energia. Usando concetti
e formule, vorremmo far affiorare un’energia della più alta qualità. Ma nessuna
formula potrà mai trasmettere quella qualità dell’energia che è costante
rigenerazione e rinnovamento.
...La forma suprema di
questa energia, il suo culmine, e quello stato della mente nel quale non affiora
alcuna idea, alcun pensiero, alcuna scelta, alcun motivo. Quello stato e pura
energia.
Non ci si può mettere a cercare quest’energia. Non potete chiedere:
“Dimmi che cosa devo fare per averla, qual e il modus operandi”. Non c’eun modo
per ottenerla. Se vogliamo scoprire per conto nostro la natura di quest’energia,
dobbiamo cominciare a capire come consumiamo la nostra energia quotidiana,
quando parliamo, quando ascoltiamo cantare un uccello o una persona, quando
guardiamo un fiume, l’immensità del cielo e gli abitanti di un villaggio,
sporchi, affamati, malati; o quando guardiamo un albero che diventa sempre più
scuro nella penombra della sera. L’osservazione di qualsiasi cosa è in se stessa
energia. Quest’energia la traiamo dal cibo, dai raggi del sole. L’energia fisica
di cui disponiamo quotidianamente può ovviamente essere aumentata, migliorata,
mangiando cibi di qualità e così via. È necessario preoccuparsi di questo. Ma
quando quella stessa energia diventa energia psichica, cioè energia che alimenta
il pensiero, e accoglie in sé delle contraddizioni, va completamente sprecata.
7. L’arte di ascoltare e l’arte dell’abbandono
Qualcuno vi sta
dicendo qualcosa e voi ascoltate. È come se vi abbandonaste in quell’ascolto.
Nell’atto di ascoltare c’è un abbandonarsi. Vedere un fatto, percepire un fatto,
significa abbandonarlo. L’ascoltare un fatto, il guardare qualcosa hanno un
effetto straordinario quando non interviene il minimo sforzo del pensiero.
Prendiamo, per
esempio, l’ambizione. Abbiamo parlato a sufficienza di quali effetti l’ambizione
produce. Una mente ambiziosa non conoscerà mai la simpatia, la pietà, l’amore.
Una mente ambiziosa è crudele, a qualsiasi livello, esteriormente,
interiormente, spiritualmente. Voi ascoltate un’affermazione del genere. La
ascoltate, la interpretate a modo vostro e chiedete: “Come faccio a vivere in
questo mondo, che è tutto basato sull’ambizione?”.
Questo significa che non
avete ascoltato. Avete risposto ad un’affermazione, avete reagito a un fatto; ma
non avete guardato Il fatto. Lo avete interpretato, ve ne siete fatti
un’opinione. Avete reagito a un fatto, ma non l’avete guardato...
Se possiamo ascoltare
senza esprimere valutazioni, senza reagire, senza giudicare, allora certamente
il fatto genera quell’energia che distrugge e toglie di mezzo l’ambizione da cui
scaturisce il conflitto.
8. L’attenzione senza resistenza
Sapete che cos’è lo
spazio. In questa stanza c’è spazio. Spazio è la distanza che dovete percorrere
per arrivare a casa vostra, è la distanza tra il ponte e la vostra casa, tra
questa riva e l’altra riva del fiume. Ora, c’è spazio nella vostra mente? Oppure
la vostra mente e così affollata che non ha più alcuno spazio? Se nella vostra
mente c’è spazio, in quello spazio c’è silenzio e da quel silenzio proviene ogni
altra cosa, perché in quel silenzio potete ascoltare, potete fare attenzione
senza opporre la minima resistenza. Per questo è molto importante che nella
mente ci sia spazio. Se la mente non è affollata, non è occupata senza sosta dal
pensiero, allora può ascoltare il cane che abbaia, il rumore del treno che passa
su quel ponte lontano ed essere anche pienamente consapevole di quello che una
persona sta dicendo qui. Allora la mente e viva, non è morta.
9. L’attenzione senza sforzo
C’è attenzione quando
la mente non è assorbita da nulla? C’è attenzione quando non ci si concentra su
alcun oggetto? C’è attenzione quando nella mente non affiorano motivi,
pressioni, obblighi? La mente può essere completamente attenta senza escludere
nulla?
Certamente, solo così c’è attenzione; in ogni altra situazione la mente
può solo illudersi di essere attenta. Se potete dare tutta la vostra attenzione
a qualcosa senza lasciarvi assorbire e senza alcun senso di separazione,
scoprirete che cosa significa meditare, perché in quell’attenzione non c’è il
minimo sforzo, non c’è divisione, né lotta, né la ricerca di un risultato. La
meditazione è un processo che libera la mente da qualsiasi sistema; consente di
essere attenta senza farsi assorbire e senza doversi sforzare per concentrarsi.
10. Un’attenzione che non esclude nulla
Credo che ci sia
differenza tra l’attenzione che è rivolta ad un oggetto e l’attenzione che non
ha oggetto. Ci concentriamo su un’idea, su quello in cui crediamo o su un
oggetto; ma la concentrazione è un processo che separa. C’è però un’attenzione,
una consapevolezza che non producono alcuna separazione. E c’è una scontentezza
che non ha alcun motivo, che non è la conseguenza di una frustrazione, che non
può essere orientata in una direzione prestabiliita, ne può venire soddisfatta.
Forse non sto usando la parola giusta per definire questo stato, ma ritengo che
questa straordinaria scontentezza sia essenziale. Sotto qualsiasi altro aspetto
si manifesti, la scontentezza diventa immediatamente una ricerca di
soddisfazione.
11. L’attenzione non ha limiti, non ha frontiere
Per educare la mente,
dovremmo dare importanza all’attenzione, non alla concentrazione. La
concentrazione costringe la mente a focalizzarsi su un punto determinato, mentre
l’attenzione non ha frontiere. Quando la mente si concentra, si restringe, si
limita entro determinati confini; ma se vogliamo capire la mente nella sua
totalità, la concentrazione diventa un ostacolo. L’attenzione non ha limiti, non
è ristretta entro i confini della conoscenza.
La conoscenza richiede
concentrazione e per quanto possa essere estesa, rimarrà sempre chiusa entro i
suoi limiti. In quello stato che è attenzione la mente può usare, e usa, la
conoscenza, che necessariamente è il risultato della concentrazione. Ma una
parte non potrà mai essere la totalità; sommando le varie parti non si arriverà
mai alla percezione dell’intero. La conoscenza, che è un processo di accumulo
basato sulla concentrazione, non porterà mai alla comprensione
dell’incommensurabile. L’intero non potrà mai stare entro i confini di una mente
concentrata.
Quindi l’attenzione ha
un’importanza fondamentale e non ha nulla a che fare con lo sforzo della
concentrazione. L’attenzione e uno stato in cui la mente impara di continuo e in
questo stato non c’è un centro ove si accumulano esperienza e conoscenza. Una
mente concentrata su se stessa si serve della conoscenza per espandere le
proprie ambizioni: così, inevitabilmente, la sua attività è piena di
contraddizioni e diventa antisociale.
12. L’attenzione totale
Che cosa intendiamo
per attenzione? C’è attenzione quando forziamo la mente ad essere attenta?
Quando dico a me stesso: “Devo fare attenzione, devo controllare la mente ed
eliminare ogni pensiero”, questa voi la chiamereste attenzione? È evidente che
non lo è. Che cosa succede quando la mente si impone di fare attenzione? Crea
una resistenza che impedisce il formarsi di altri pensieri; la mente è occupata
a resistere, a respingere i pensieri che si presentano e quindi non è in grado
di stare attenta. È così, vero?
Per capire fino in
fondo una cosa dovete darle tutta la vostra attenzione. E scoprirete subito
quanto sia difficile, perché la vostra mente e abituata a farsi distrarre.
Allora dite: “Per Giove, bisogna fare attenzione, ma come devo fare per stare
attento?”. Così siete di nuovo alle prese col desiderio di ottenere qualcosa e
la vostra attenzion e non potrà mai essere completa... Per esempio, quando
vedete un albero, non siete attenti se dite: “Quella è una quercia”. Oppure,
quando vedete un uccello, non siete veramente attenti se dite: “Quello e un
pappagallo” e subito dopo vi voltate per andare altrove. Dando un nome a quello
che vedete, smettete di essere attenti...
Mentre se foste pienamente
consapevoli, se foste capaci di guardare qualcosa con un’attenzione totale,
scoprireste che avviene una completa trasformazione e questa attenzione totale e
bene. Non c’è nient’altro al di fuori di questa e non potete ottenerla con la
pratica. Esercitandovi potete diventare capaci di concentrarvi, cioè di
costruire intorno a voi delle pareti protettive, che isoleranno “colui che si
concentra”. Ma questa non è attenzione, è separazione.
13. La fine della paura è il principio dell’attenzione
Come è possibile che
sorga uno stato di attenzione? Non lo si può produrre con la persuasione, il
confronto, la punizione o la ricompensa, che sono tutte forme di coercizione.
L’eliminazione della paura è il principio dell’attenzione. La paura esisterà
sempre finché ci sarà la spinta ad essere qualcosa, a diventare qualcosa, a
cercare il successo, non potendo evitare tutte le frustrazioni e le
contraddizioni che questo comporta.
Potete insegnare come si fa a concentrarsi,
ma non potete insegnare l’attenzione, proprio come non è possibile insegnare la
libertà dalla paura. Quando ne comprenderete le cause, la paura verrà eliminata.
L’attenzione Sorge spontaneamente quando lo studente wive in un’atmosfera di
benessere, quando si sente al sicuro, a suo agio e si rende conto che solo
l’amore può portare ad un’azione disinteressata. L’amore non fa confronti e
quindi si dissolvono l’invidia e quella tortura che è il cercare di diventare
qualcosa.
14. Non c’è un traguardo da raggiungere
Ci si può esercitare
ad essere umili? Se vi rendete conto di essere umili, non lo siete. Voi volete
la certezza di essere arrivati. Questo significa che state sempre cercando di
arrivare da qualche parte, di conseguire uno stato nel quale nulla vi possa
disturbare, nel quale sperimenterete una felicità eterna e una benedizione senza
fine. Ma, come dicevo prima, non c’è alcun traguardo da raggiungere, c’è solo un
apprendimento costante. Nell’ininterrotto fluire dell’atto di imparare sta la
bellezza della vita. Se raggiungete una meta, non avete più nulla da fare. E
siccome tutti volete arrivare, o siete arrivati, da qualche parte, non solo nel
campo degli affari, ma in qualsiasi campo vi troviate ad agire, scoprite di
essere insoddisfatti, frustrati, infelici.
Signori, non ci sono traguardi da
raggiungere, c’è solo un imparare, che diventa faticoso solo quando accumulate
conoscenza. Una mente che ascolta con un’attenzione totale non si preoccupa dei
risultati, perché scorre di continuo, è sempre in movimento come un fiume. Una
mente simile è inconsapevole delle sue attività, nel senso che non esiste
l’alimentazione di un sè, di un “me” che pretende di raggiungere una meta.
15. La conoscenza non è consapevolezza
La consapevolezza è
uno stato nel quale la mente osserva qualcosa senza accettarlo o rifiutarlo; lo
guarda per quello che e. Solo se guardate un fiore mettendo da parte le vostre
conoscenze botaniche, lo vedrete nella sua interezza; ma quando la mente osserva
il fiore attraverso la conoscenza botanica che possiede, non vi consente di
vederlo veramente. Nulla impedisce di avere delle conoscenze botaniche, ma se
questa conoscenza occupa per intero la mente e la oscura, non potete guardare
veramente il fiore che vi sta di fronte.
Così, guardare un
fatto significa esserne consapevoli e in questa consapevolezza non c’è scelta,
non c’è condanna, non c’è simpatia o antipatia. Ma quasi tutti noi non siamo
capaci di questa consapevolezza, perché per tradizione, per abitudine, non
affrontiamo mai un fatto mettendo da parte i nostri condizionamenti. Dobbiamo
renderci conto di quello sfondo di condizionamenti che si manifesta tutte le
volte che siamo di fronte a un fatto. Solo quando l’unica cosa che vi interessa
è osservare un fatto, quello sfondo condizionato smette di interferire. Quando
il vostro interesse principalè e quello di capire un fatto e vi rendete conto
che il vostro condizionamento vi impedisce di comprenderlo, proprio il vostro
vitale interesse a capire spazza via il condizionamento.
16. L’introspezione non è mai completa
Nella consapevolezza
c’è solo il presente. Quando siete consapevoli vi rendete conto che l’influenza
del passato controlla il presente e modifica il futuro. La consapevolezza e un
processo integrale che non crea alcuna divisione. Per esempio, se mi pongo la
domanda: “Credo in Dio?”, se sono consapevole, nel momento stesso in cui me la
pongo, posso osservare che Cosa mi induce a fare questa domanda; se sono
consapevole, percepisco quali sono le forze che mi costringono a porre una
domanda del genere.
Mi rendo conto della paura e delle tante forme in cui si
manifesta; è per paura che i miei antenati hanno creato un’idea di Dio, che
hanno trasmesso anche a me. Questa idea si e mescolata con le mie reazioni, così
io ho cambiato, ho modificato il loro concetto di Dio. Se sono consapevole,
percepisco in tutta la sua interezza quel processo che è il passato e i suoi
effetti sul presente e sul futuro.
Quando siamo
consapevoli ci rendiamo conto di come sotto l’influsso della paura ognuno di noi
si forma il concetto di Dio. Forse c’è stato qualcuno che ha avuto un’esperienza
autentica della realtà, di Dio e ne ha parlato ad altri, che si sono avidamente
impossessati di questo racconto e hanno dato il via all’imitazione. La
consapevolezza è completa in se stessa, mentre l’introspezione rimarrà sempre
qualcosa di incompleto. Dall’introspezione scaturisce qualcosa di scadente, di
doloroso, mentre la consapevolezza porta sempre con sè entusiasmo e gioia.
17. Vedere l’intero
Come guardate un
albero? Lo vedete nella sua interezza? O lo vedete per intero o non lo vedete
affatto. Passandogli accanto potete dire: “Guarda quell’albero, com’è bello!”,
“È un mango”, oppure dite: “Non so che alberi siano quelli, forse sono
tamarindi”. Quando vi fermate a guardare un albero, non lo vedete mai nella sua
totalità; e questo significa che non lo state affatto vedendo.
Accade la stessa cosa
con la consapevolezza. Se non vedete come funziona la vostra mente in tutte le
sue attività, non potete dire di essere consapevoli. Un albero è fatto di
radici, di un tronco, di rami grossi e sottili, di ramoscelli estremamente
delicati, di foglie verdi, di foglie morte e di foglie appassite, di foglie
brutte e di foglie mangiate dagli insetti, di foglie che stanno per cadere; e
poi ci sono i fiori e i frutti. Tutto questo fa parte dell’interezza
dell’albero.
Similmente, se osservate come funziona la vostra mente proprio come
osservereste un albero nella sua interezza, vedrete affiorare l’approvazione, la
condanna, la negazione, Il conflitto, il senso di inutilità, la frustrazione, la
disperazione e la speranza. Tutto questo fa parte della consapevolezza. Non c’è
nulla che debba essere lasciato fuori. Allora siete consapevoli in modo
estremamente semplice della vostra mente, osservandola nella sua interezza; non
guardate soltanto un angolino del quadro, chiedendovi: “Chi ha dipinto questo
quadro?”
18. Consapevolezza e disciplina
La consapevolezza,
quando viene perseguita attraverso una pratica, ed è ridotta ad un’abitudine,
diventa noiosa e pesante. La consapevolezza non sottostà alle regole che
vorremmo imporle. Seguire una pratica implica istituire un’abitudine, implica
fare uno sforzo, esercitare la volontà. Tutto questo esclude la consapevolezza.
Dove c’è sforzo c’è distorsione.
Consapevolezza non è
soltanto il rendersi conto di quello che è fuori di noi – il volo degli uccelli,
le ombre e la luce, il movimento inarrestabile del mare, gli alberi, il vento,
il mendicante, le automobili lussuose , ma e anche il rendersi conto di tutto
quello che avviene psicologicamente, le tensioni e i conflitti che sono dentro
di noi. Voi non condannate il volo di un uccello: lo osservate, ne cogliete la
bellezza. Ma quando siete di fronte alla lotta che si scatena dentro di voi, la
condannate o la giustificate. Non siete capaci di osservare il vostro conflitto
interiore senza pendere da una parte o dall’altra, o senza cercare
giustificazioni.
Essere consapevoli dei
vostri pensieri, dei vostri sentimenti senza identificarvi, senza reprimerli,
non è affatto noioso, non genera sofferenza; se però siete in cerca di un
risultato o di un guadagno, allora il conflitto aumenta e vi assale la noia di
dover continuare a lottare.
19. Quando un pensiero fiorisce
In quello stato che è
consapevolezza la mente accoglie tutto: i corvi che volano veloci nel cielo, i
fiori sui rami, le persone che ti stanno sedute di fronte, i colori dei loro
abiti; è una consapevolezza senza barriere, che richiede la capacità di vedere,
di osservare, di accogliere il profilo di una foglia, la forma di un tronco; ti
permette di accorgerti di come è fatta la testa della persona che ti sta accanto
e di vedere che cosa sta facendo. Essere pienamente consapevoli e agire con
questa consapevolezza significa essere consapevoli di tutto Il proprio essere.
È
una mente mediocre quella che possiede qualche capacità particolare, limitata ad
un campo specifico, e che cerca di affinare le sue capacità limitate, da cui
trae la propria esperienza. Una mente mediocre è limitata, ristretta. Ma quando
c’è la con sapevolezza di tutto il proprio essere, che coglie ogni pensiero,
ogni sentimento, senza mai limitarli, ma anzi lasciandoli sbocciare e fiorire,
questa consapevolezza non ha nulla a che fare con la concentrazione, che può
essere sviluppata come una capacità particolare e che quindi sarà sempre
limitata.
Far sì che un pensiero
o un sentimento fioriscano richiede attenzione, non concentrazione. Quando parlo
di far fiorire un pensiero o un sentimento, intendo dire che si debba lasciare
ad essi la libertà di manifestarsi per vedere che cosa succede. Qualsiasi cosa
per fiorire ha bisogno di libertà, ha bisogno di pace, non può venire repressa.
Non potete imprigionarla nelle vostre valutazioni, come quando dite: ‘”Questo è
giusto, questo e sbagliato; dovrebbe essere così; non dovrebbe essere così”.
Così facendo, impedite al pensiero di fiorire. Il pensiero può fiorire solo
nella consapevolezza, perciò, se approfondite veramente la questione, scoprirete
che il fiorire del pensiero e anche la fine del pensiero.
20. La consapevolezza passiva
Nella consapevolezza
non c’è divenire, non c’è nulla da guadagnare. C’è un’osservazione silenziosa
senza scelta, senza condanna, da cui scaturisce la comprensione. Quando, in uno
stato nel quale non esiste il minimo sforzo per accumulare o accettare qualcosa,
i pensieri e i sentimenti possono affiorare e manifestarsi, c’è una
consapevolezza incredibilmente vasta, nella quale gli strati più profondi e
nascosti della coscienza rivelano il loro significato. Questa consapevolezza
rivela un vuoto creativo che non si può né immaginare ne definire. La vastità
della consapevolezza e il vuoto creativo sono una cosa sola, costituiscono un
processo unitario, non sono due cose diverse.
Quando osservate in silenzio un
problema senza condannarlo o giustificarlo, affiora una consapevolezza passiva
nella quale il problema viene capito e risolto. La consapevolezza implica una
straordinaria sensibilità, nella quale il pensiero smette di fare affermazioni e
scopre i suoi limiti. Finché la mente proietta o definisce qualcosa, non potrà
esserci creazione. Solo quando la mente ha smesso di creare problemi, quando e
calma, vuota, in uno stato di vigile passività, allora c’è creazione. Creazione
implica negazione, che però non è l’opposto dell’affermazione. L’essere niente
non è antitetico all’essere qualcosa. Un problema esiste solo quando siamo in
cerca di un risultato. Quando non cerchiamo più alcun risultato, anche il
problema scompare.
21. Quello che viene veramente capito, non torna più
Nella consapevolezza
di sé non c’è bisogno di confessioni, perché questa consapevolezza è lo specchio
nel quale tutto si riflette senza la minima distorsione. Ogni pensiero, ogni
sentimento, vengono, per così dire, scaraventati sullo schermo della
consapevolezza per essere osservati, studiati, capiti. Ma il fluire della
comprensione viene interrotto quando cominciamo a condannare, ad approvare, a
giudicare, a identificarci. Più si osserva quello schermo – non per dovere o per
una pratica imposta, ma perché il dolore e la sofferenza hanno creato
un’insaziabile bisogno di capire che porta in sé la propria disciplina – più si
osserva quello schermo, piu si fa intensa la consapevolezza che porta con sé una
comprensione sempre piu profonda.
... Potete osservare
una cosa solo quando questa si muove lentamente; una macchina veloce deve
rallentare, se vogliamo studiarne il movimento. Allo stesso modo, si possono
studiare e capire pensieri e sentimenti solo quando la mente e in grado di
rallentare il proprio funzionamento. E quando la mente risveglia la sua capacità
di rallentare il proprio funzionamento, allora può tornare a muoversi molto
velocemente. E questo la rende estremamente calma. Quando girano molto
rapidamente, le pale di un ventilatore sembrano essere un’unica e solida lamina
di metallo. Per noi è molto difficile fare in modo che la mente si muova con una
lentezza tale da consentirci di percepire e capire ogni pensiero, ogni
sentimento. Tutto quello che viene veramente capito fino in fondo, non si
ripresenta più.
22. La violenza
Che cosa succede
quando date tutta la vostra attenzione a quella cosa che chiamiamo violenza? La
violenza non è soltanto qualcosa che, servendosi delle fedi e dei
condizionamenti, divide gli esseri umani; ma accompagna anche la nostra ricerca
di sicurezza personale e la nostra richiesta di protezione rivolta alle
istituzioni della società. Si può guardare la violenza con un’attenzione totale?
Se la osservate con tutta la vostra attenzione, che cosa succede? Che cosa
succede quando dedicate tutta la vostra attenzione a qualcosa, allo studio della
storia o della matematica, oppure quando usate tutta la vostra attenzione per
guardare vostra moglie o vostro marito? Non so se lo avete mai fatto.
Probabilmente la maggior parte di noi incapace di dedicare tutta la propria
attenzione a qualcosa. Ma se lo faceste, che cosa accadrebbe?
Signori, che cos’è
l’attenzione? Certamente, quando dedicate a qualcosa tutta la vostra attenzione
c’è cura, c’è riguardo; ma non potete avere riguardo se non c’è affetto, se non
c’è amore. E quando siete attenti, e nella vostra attenzione c’è amore, come può
esserci violenza? Capite? Formalmente condanno la violenza, cerco di fuggirla o
di giustificarla, oppure dico che è naturale che ci sia. Tutto questo però è
frutto della disattenzione. Ma quando dedico tutta la mia attenzione a quello
che chiamo violenza, e in questa attenzione c’è riguardo, affetto, amore, allora
dove è più lo spazio in cui può entrare la violenza?
23. È possibile porre fine alla violenza?
Che cos’è secondo voi
la violenza? È davvero molto interessante chiedersi se un essere umano che viva
in questo mondo possa smettere di essere violento. Alcuni gruppi sociali, alcune
comunità religiose, hanno cercato di smettere di uccidere gli animali. E altre
persone sono arrivate perfino a dire: “Visto che non volete uccidere gli
animali, allora perché distruggete i vegetali?”. Andando avanti di questo passo,
arrivate ad un punto in cui non potreste più esistere nemmeno voi. Dove
traccerete allora la linea di demarcazione? La traccerete arbitrariamente,
basandovi sui vostri ideali, sulle vostre immaginazioni, sulle vostre regole,
sul vostro carattere, sul vostro condizionamento? Direte: “Arrivero fin lì, ma
non andrò oltre”?
Che differenza c’è tra
la rabbia e la violenza di una persona e la violenza organizzata di una società,
che mette in piedi e mantiene un esercito per andare a distruggere un altro
gruppo sociale? Quando parlate di violenza, a quale forma di violenza vi
riferite? Oppure vorreste scoprire se l’essere umano possa mai liberarsi dalla
violenza, da tutta quanta la violenza e non da qualche suo aspetto
particolare?...
Sappiamo che cos’è la
violenza; non abbiamo bisogno di parole per descriverla o di azioni per
manifestarla. Dopo secoli di cosiddetta civilizzazione io sono ancora un essere
umano violento, un essere umano nel quale gli istinti animali sono ancora molto
forti. Allora da dove comincio a prendere in considerazione la violenza?
Comincio dalla periferia, cioè dalla società, oppure comincio dal centro, cioè
da me stesso? Tu vieni a dirmi che devo smettere di essere violento, perché la
violenza e una cosa brutta. Me lo spieghi in tutti i modi e io mi rendo conto
che la violenza negli esseri umani è una cosa terribile, sia che esploda fuori
di noi o dentro di noi. Ma allora, è possibile eliminarla?
24. La causa fondamentale del conflitto
Per avere la pace nel
mondo, non pensate che basti desiderarla., se poi nelle vostre relazioni
quotidiane siete aggressivi, possessivi e alla costante ricerca di sicurezza in
questa vita o nell’altra. Dovete capire qual e la causa fondamentale del
conflitto, del dolore e toglierla di mezzo. Non vi basta mettervi a cercare la
pace fuori di voi. Ma, vedete, noi siamo molto pigri.
Siamo troppo pigri per
prenderci la responsabilità di capire noi stessi e questa tremenda pigrizia, che
in realtà e una forma di presunzione, ci fa pensare che spetti ad altri
risolvere il problema e procurarci la pace.
Oppure pensiamo che
basti togliere di mezzo quelle persone, che a quanto sembra non sono nemmeno
tante, che hanno il potere di scatenare le guerre. Quando una persona e in
conflitto dentro di sé, semina il conflitto anche fuori di sé. Solo noi possiamo
portare la pace in noi stessi e nel mondo, perché noi siamo il mondo.
25. Rendetevi conto che siete violenti
Gli aniimali sono
violenti. E anche gli esseri umani sono violenti, perché provengono dal mondo
animale. Fanno parte del loro essere la violenza, la rabbia, la gelosia,
l’invidia, la ricerca del potere e di una posizione di prestigio. Vogliono
dominare; sono aggressivi. L’essere umano e violento, come dimostrano migliaia
di guerre, e ha sviluppato un’ideologia a cui ha dato il nome di
“non-violenza”... Così, quando esplode effettivamente la violenza, come quando
scoppia una guerra tra due nazioni, tutti quanti tirano in ballo questa
“non-violenza”; un ideale che piace a tutti. Ora, quando siete violenti e
tuttavia nutrite un ideale di non-violenza, siete in conflitto. Il vostro
continuo cercare di diventare non-violenti fa parte del conflitto.
Vi imponete
una disciplina che vi impedisca di essere violenti; e anche questo è conflitto,
è attrito. Così, quando siete violenti e tuttavia perseguite un ideale di
non-violenza, rimanete essenzialmente violenti. La prima cosa da fare non è
cercare di diventare non-violenti, ma rendervi conto che siete violenti. È
vedere la violenza per quello che è, senza cercare di interpretarla, di
disciplinarla, di sopraffarla, di reprimerla; dovreste guardarla come se la
vedeste per la prima volta, cioè senza la minima interferenza del pensiero. Ho
gia spiegato che cosa voglia dire guardare un albero con innocenza, guardarlo
senza farsene alcuna immagine.
Ed è proprio così che dovreste guardare la
violenza, cioè lasciando da parte l’immagine che la parola stessa evoca. Quando
guardate la violenza senza che intervenga il minimo movimento del pensiero, la
vedete per la prima volta e quindi la guardate con innocenza.
26. Libertà dalla violenza
Potete vedere il fatto
della violenza, non solo fuori di voi ma anche dentro di voi, senza che si
frapponga il tempo tra la percezione e l’azione? Questo comporterebbe che nel
momento stesso in cui percepite la violenza, ne sareste liberi. Ne sareste
completamente liberi, perché non avreste consentito né al tempo, né ad
un’ideologia di intervenire.
Naturalmente non basta
che siate piu o meno d’accordo a parole con tutto questo; avete bisogno di
meditare profondamente su queste cose. Noi non ascoltiamo mai; la nostra mente,
le cellule del nostro cervello sono talmente condizionate dall’ideologia che
abbiamo costruito intorno alla violenza, che ci è impossibile guardare
direttamente il fatto della violenza. Lo guardiamo attraverso lo schermo di
un’ideologia e quindi facciamo intervenire il tempo. Ma nel momento in cui
consentite al tempo di intromettersi, impedite che la violenza scompaia.
Continuerete a tenervi la violenza, mentre predicate la non-violenza.
27. La causa principale della violenza
La causa principale
della violenza consiste nel fatto che ognuno di noi, dentro di sé,
psicologicamente, cerca continuamente la sicurezza. Ognuno di noi vuole sentirsi
sicuro psicologicamente, vuole sentirsi interiormente protetto e questa esigenza
interiore alimenta una costante richiesta di sicurezza anche fuori di noi. Tutti
quanti interiormente vogliamo delle certezze.
Per questo ci sono tutte quelle
leggi che riguardano il matrimonio, per consentirci di possedere un uomo o una
donna mediante una relazione che non rimanga confinata nell’incertezza. E quando
questa relazione viene messa in discussione, diventiamo violenti, perché dentro
di noi, nella nostra psiche, c’è l’esigenza costante di avere relazioni stabili
con qualsiasi cosa. Ma la stabilità, la certezza non esistono in alcuna
relazione. Interiormente, psicologicamente, ci piacerebbe essere sicuri, ma non
esiste una sicurezza che duri in eterno...
Tutto questo
contribuisce a scatenare la violenza, che è tanto diffusa in ogni parte del
mondo. Credo che chiunque abbia osservato, anche solo superficialmente, quello
che sta succedendo nel mondo, specialmente in questo sfortunato Paese, possa
vedere e scoprire dentro di sé, anche senza un grande impegno intellettuale,
tutto quello che, proiettato all’esterno, diventa la causa di una spaventosa
brutalità, insensibilità, indifferenza, violenza.
28. Il fatto e che siamo violenti
Vediamo tutti
l’importanza di porre fine alla violenza. Ma come faccio a liberarmi
personalmente dalla violenza, non solo da quella che si manifesta all’esterno,
ma da tutta quanta la violenza che mi porto dentro? Visto che l’ideale della
non-violenza non libera la mente dalla violenza, mi aiuterà a eliminarla
l’analisi delle cause della violenza?
In fondo questo e uno
dei più grossi problemi che ci opprimono. Tutto il mondo è in preda alla
violenza, e dilaniato dalle guerre; la struttura stessa della nostra società,
che tende costantemente ad accumulare, e fondamentalmente violenta. E se voi ed
io dobbiamo essere personalmente liberi dalla violenza, completamente liberi e
non liberi a parole, allora che cosa dobbiamo fare senza cadere in un profondo
egoismo?
Capite il problema? Se
per liberare la mente dalla violenza metto in pratica una disciplina che
pretende di controllare la violenza pertrasformarla in “non-violenza”,
certamente alimenterò pensieri e azioni egoistiche, perché la mia mente sarà
continuamente impegnata a cercare di eliminare qualcosa per acquisire
qualcos’altro. Tuttavia mi rendo conto di quanto è importante che la mente sia
del tutto libera dalla violenza. Allora che devo fare? Non si tratta di sapere
come fare a non essere violenti. Il fatto è che siamo violenti e chiedersi:
“Come faccio a non essere violento?” crea un ideale che, secondo me, è del tutto
inutile. Mentre, se fossimo capaci di guardare la violenza e di comprenderla,
allora forse potremmo toglierla completamente di mezzo.
29. Distruggere l’odio
Il mondo costruito
sull’odio sta raccogliendo ora le sue messi. È lì da vedere. Questo mondo di
odio è stato costruito dai nostri padri e dai loro antenati; e anche noi vi
abbiamo contribuito. L’ignoranza affonda le sue radici in un lontanissimo
passato. Questo mondo di odio non si e formato per conto suo; è il risultato
dell’ignoranza umana, è il frutto di un processo storico. Anche noi abbiamo
contribuito all’opera dei nostri antenati e dei loro progenitori per mettere in
moto questo processo di odio, di paura, di avidità. E ora noi facciamo parte di
questo mondo finché accettiamo il modo in cui funziona.
Il mondo è
l’estensione di voi stessi. Se davvero desiderate distruggere l’odio, allora
dovete smettere di odiare. Se volete distruggere l’odio, dovete smettere di
alimentarlo nei suoi aspetti più sottili o più grossolani. Finché vi lascerete
prendere dall’odio, farete parte di un mondo di ignoranza e di paura. il mondo è
un’estensione di voi stessi, è una duplicazione, una moltiplicazione di voi
stessi. Il mondo non esiste separatamente dalle persone che lo costituiscono:
può esistere come idea, come stato, come organizzazione sociale, ma per
formulare quell’idea, per far funzionare un’organizzazione sociale o religiosa,
sono necessarie le persone.
La loro ignoranza, la loro avidità, la loro paura
tengono in piedi la struttura dell’ignoranza, dell’avidità, dell’odio. Se la
persona cambia, ci sarà un cambiamento anche in questo mondo di avidità e di
odio?... Il mondo è la riproduzione della. vostra incapacità di riflettere,
della vostra ignoranza, del vostro odio, della vostra avidità. Se foste seri,
attenti, consapevoli, non solo non avreste piu nulla a che fare con le brutalità
che generano dolore e sofferenza, ma trovereste nella vostra comprensione
interezza e pienezza.
30. Voi diventate quello contro cui combattete
Voi diventate quello
contro cui combattete... Se io mi arrabbio e anche tu ti arrabbi, che risultato
otterremo? Un’arrabbiatura ancora più grande. Tu diventi quello che sono io. Se
io sono cattivo e tu a tua volta mi affronti con cattiveria, questo significa
che anche tu sei cattivo, per quanto tu possa credere di essere nel giusto. Se
io sono brutale e tu per sopraffarmi usi metodi brutali, anche tu sei brutale
quanto me. Siamo andati avanti così per migliaia di anni.
Esiste una maniera
diversa di porsi di fronte all’odio che non sia quella di contrapporgli altro
odio? Se per calmare la rabbia che esplode dentro di me uso la violenza, mi sto
servendo di un mezzo sbagliato per conseguire un fine giusto, ma in questo modo
il fine giusto scompare. In questo modo di agire non c’è comprensione, non c’è
alcuna possibilità di trascendere la rabbia. La rabbia va pazientemente studiata
e capita; non può essere messa da parte con la violenza. La rabbia può essere
l’effetto di un’infinità di cause; sono queste che vanno capite, altrimenti la
rabbia non se n’andrà mai.
Noi abbiamo creato il
nemico, il bandito, e a nostra volta siamo diventati i nemici; così non sarà mai
possibile porre fine all’inimicizia. Dobbiamo capire la causa che crea
l’inimicizia e smettere di alimentarla con i nostri pensieri, i nostri
sentimenti, le nostre azioni. Questo è un compito veramente difficile, che
richiede costante consapevolezza di sé ed un’intelligenza estremamente
flessibile. La società, lo stato sono l’esatta espressione di quello che siamo
noi.
Il nemico e l’amico
sono il frutto del nostro modo di pensare e di agire. Noi siamo responsabili
dell’inimicizia che creiamo; quindi è molto più importante essere consapevoli di
quello che pensiamo e facciamo, piuttosto che preoccuparci dei nemici e degli
amici, perché solo pensando in maniera corretta porremo fine a qualsiasi
divisione. L’amore e al di là sia dell’amico che del nemico.
Jiddu Krishnamurti
Da: Il libro della vita (Aequilibrium ed.)
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