Il cosiddetto “accordo iraniano” non è
mai stato pensato come punto di partenza per il riavvicinamento tra
Washington e Teheran, ma piuttosto come pretesto per un maggiore
confronto.
L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald
Trump capitalizza sugli sviluppi della guerra persa dai sauditi nello
Yemen, così come sul test missilistico iraniano, per ritrarre l’Iran
come ingrato verso l’accordo diplomatico che il dimissionato Consigliere
della Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Michael Flynn suggeriva
non dovesse mai esserci stato. L’articolo del Guardian, “L’amministrazione Trump ha ufficialmente avvertito l’Iran, dice Michael Flynn”, afferma:
“L’amministrazione Trump ha detto che “ufficialmente invia all’Iran un preavviso” in reazione al test missilistico iraniano e all’attacco a una nave da guerra saudita dei ribelli filo-iraniani Huthi nello Yemen, ma senza dare dettagli su come Washington intende rispondere”.
Mentre i
commenti di Flynn, prima delle brusche dimissioni, sembravano genuine,
contro la posizione ipocrita della presidenza Trump, chi ha seguito i
veri autori della politica estera degli USA riconosce la sceneggiatura
molto familiare letta da Flynn, scritta non dall’amministrazione Trump,
ma dai pensatoi politici aziendal-finanziari non eletti, anni prima che
“il presidente Trump” entrasse in carica.
Le dimissioni di Flynn avranno
scarso peso su tale politica, dato che fu pianificata e attuata
sistematicamente anni prima che Donald Trump iniziasse la campagna
presidenziale. Il fatto che la posizione di Flynn sull’Iran rifletta
quella del resto dell’amministrazione Trump, ne è una prova sufficiente.
L'”offerta superba” della Brookings del 2009
Il documento della Brookings Institution intitolato “La via per la Persia: opzioni per una nuova strategia americana verso l’Iran” (.pdf), delineava esplicitamente il complotto degli USA per il cambio di regime a Teheran, affermando:
“…qualsiasi operazione militare contro l’Iran sarà probabilmente molto impopolare nel mondo e richiederà il contesto internazionale giusto, per garantirsi il supporto logistico all’operazione e ridurre al minimo i contraccolpi. Il modo migliore per ridurre al minimo l’obbrobrio internazionale e massimizzarne il supporto (riluttante o occulto) è colpire solo quando vi è la diffusa convinzione che gli iraniani abbiano avuto e respinta una superba offerta, tale che solo un regime deciso ad acquisire nucleare armi ed acquisirle per le ragioni sbagliate rifiuterebbe. In tali circostanze, Stati Uniti (o Israele) potrebbero rappresentare le loro operazioni come dolorose, non rabbiose, e almeno alcuni nella comunità internazionale concluderebbero che gli iraniani “ne sono responsabili”, rifiutando un ottimo affare”.
L'”offerta
superba” della Brookings fu presentata al pubblico e a Teheran nella
forma del cosiddetto Piano comune d’azione globale (JCPOA) o “accordo
iraniano”, nel 2015. E mentre Washington tentava di convincere il mondo
di aver cercato il riavvicinamento con Teheran, perfino perseguendo tale
accordo, versava denaro, armi e anche sostegno militare diretto al
tentativo di rovesciare l’alleata dell’Iran, la Siria, altro
prerequisito indicato dalla Brookings nel rapporto del 2009
sulla guerra all’Iran.
L’accordo, quindi, è in malafede dall’inizio,
come il suo tradimento inevitabile quando Washington ritenesse il clima
politico e strategico ottimo per ritrarre Teheran come doppiogiochista e
giustificare un confronto più ampio, in particolare sulla Siria
significativamente indebolita dopo 6 anni di guerra, e un Iran
significativamente legato finanziariamente e militarmente al destino
della Siria.
Trump contestava l’Arabia Saudita nella campagna elettorale, la difende sul sentiero di guerra
La retorica di Trump durante la campagna elettorale nel 2016 per la
presidenza, era pesantemente incentrata sulla lotta al terrorismo, e
accusava l’Arabia Saudita. In un messaggio greve su Twitter, Trump
annunciò:
“Il principe asino @Alwaleed_Talal vuole controllare i nostri politici degli Stati Uniti con i soldi di papà. Non lo farà quando sarò eletto. # Trump2016”
Ora, da presidente, la posizione di Trump sull’Arabia Saudita è
amichevole, implicando un maggiore confronto con l’Iran accusato di
armare e addestrare i combattenti nello Yemen che hanno attaccato una
nave da guerra saudita. L’amministrazione Trump e i media in generale
non ricordano che l’Arabia Saudita, da anni, impone la guerra totale
allo Yemen, in aria, terra e mare, direttamente e attraverso gli ascari
terroristici, dal territorio saudita e dalle acque internazionali, nel e
sul territorio yemenita, con l’invasione via terra e gli attacchi
aerei. La prospettiva che gli Stati Uniti invertano il riavvicinamento
diplomatico con l’Iran a causa delle forze yemenite in lotta contro
l’aggressione militare dell’Arabia Saudita, di per sé trasgredisce il
diritto internazionale e gli interessi del popolo statunitense.
Tuttavia, considerando i legami occulti dell’Arabia Saudita con il
terrorismo nello Yemen e in tutta la regione, in particolare in Siria e
Iraq, tramite al-Qaida, i suoi vari affiliati e il cosiddetto
Stato Islamico (SIIL), e nel mondo, gli USA dichiarando l’Arabia Saudita
“amica e alleata”, e accusando l’Iran di “comportamento destabilizzante nel Medio Oriente“,
chiariscono che o ne permettono la sponsorizzazione saudita del
terrorismo, o ne sono direttamente coinvolti.
Naturalmente, Flynn, già
direttore della Defense Intelligence Agency (DIA), sapeva della nota
della DIA del 2012 in cui s’invocava la creazione di un “principato”
(stato) “salafita” (islamico) su richiesta non solo delle monarchie del
Golfo Persico, ma anche dal membro della NATO Turchia, dall’Europa e
dagli stessi Stati Uniti. Così il resto dell’amministrazione Trump. Il
memo diceva:
“Se la situazione si dipana vi è la possibilità di stabilire un principato salafita dichiarato o meno nella parte orientale della Siria (Hasaqa e Dayr al-Zur), questo è esattamente ciò che le potenze che supportano l’opposizione vogliono, per isolare il regime siriano considerato profondità strategica per l’espansione sciita (Iraq e Iran)”.
Il memo della DIA spiegava poi esattamente chi fossero tali sostenitori “del principato salafita” (e i suoi veri nemici):
“Occidente, Paesi del Golfo e Turchia sostengono l’opposizione; mentre Russia, Cina e Iran sostengono il regime”.
L’Iran veniva specificamente dichiarato contrario all'”opposizione” che
comprendeva il nascente Stato islamico, così come l’organizzazione
terroristica Jabhat al-Nusra (ora Jabhat Fatah al-Sham).
Esibendosi con un surreale inganno, l’amministrazione Trump tenta di
ritrarsi come “combattente antiterrorismo”, mentre si confronta con
l’Iran che sul serio lo combatte nella regione. Gli Stati Uniti,
difendendo l’Arabia Saudita, ammettono di sponsorizzare il terrorismo
regionale.
L’ipocrisia del presidente Trump sfida qualsiasi spiegazione a
meno che non si riprenda il documento della Brookings Institution, e
s’inseriscano gli eventi attuali nel contesto del complotto e della
continuità del programma indicato dal documento. I media degli Stati
Uniti tentavano di ritrarre l’ipocrisia del presidente Trump sill’Arabia
Saudita come conflitto personale e connessa agli interessi delle sue
imprese. I media degli Stati Uniti a quanto pare ritengono che il
pubblico creda sia solo una coincidenza che l’amministrazione Trump
continui la decennale politica estera statunitense e l’ambiguo rapporto
con Riyadh che ha trasceso varie presidenze repubblicane e democratiche,
tra cui la recentemente scomparsa amministrazione Obama.
Per capire la traiettoria geopolitica degli eventi globali, in particolare sulle relazioni tra Stati Uniti e Iran, osservatori, analisti e pubblico ne gioirebbero leggendo i documenti politici degli USA invece che le divertenti teorie dei media degli Stati Uniti, o i discorsi e le dichiarazioni dell’amministrazione Trump.
Tony Cartalucci
Tony Cartalucci, ricercatore e scrittore geopolitico di Bangkok, in esclusiva per la rivista on-line “New Eastern Outlook” .
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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