“La tirannia di un principe in un’oligarchia
non è pericolosa per il bene pubblico quanto
l’apatia del cittadino di una democrazia.”
(Montesquieu)
Sia
Aristotele sia Cicerone credevano che nessuno potesse essere un buon
capo senza avere prima imparato a obbedire. Tale opinione è ancora
diffusa nell’ambiente politico, dove per dare la scalata alla viscida
pertica dell’ambizione occorre adeguarsi con lealtà alla linea di
partito. Si potrebbe discutere sul fatto che il conformismo e la
capacità di modificare le proprie opinioni siano o no qualità
desiderabili della leadership.
D’altra
parte qualcuno potrebbe cinicamente affermare che sia proprio così, una
volta constatato che in politica i principi sono d’impaccio e
l’ipocrisia sia una virtù. In linea di massima esistono due scuole di
pensiero sulla leadership. Una di esse sostiene che il leader debba
essere una guida, l’altra che debba seguire a ruota. Questa seconda
posizione non è paradossale come potrebbe sembrare.
Quando
i governi prendono attentamente nota dell’opinione pubblica, o
analizzano con cura le idee di gruppi di particolare interesse, più che
orientare la domanda cercano di andarle incontro adattandosi alle sue
tendenze… L’opinione pubblica è notoriamente resistente ad alcune delle
idee più brillanti dei suoi leader, i quali hanno patito di conseguenza
tracolli poco dignitosi.
Allo
stesso tempo è anche vero che in generale la gente è fin troppo
contenta di farsi guidare. Spinte da debolezza, ignoranza e pigrizia -
soprattutto pigrizia -, moltissime persone preferiscono lasciare ad
altri il compito di prendere decisioni. Poiché coloro che amano
risolvere questioni complicate o fare scelte importanti sono pochi, a
riscuotere l’antipatia della gente non è tanto il dovere o l’obbedienza
quanto l’obbligo di assumersi delle responsabilità.
Secondo
alcuni un leader generoso, rispettoso o pronto a far da guida dando
l’esempio sarà seguito dai suoi molto più volentieri e con maggiore
lealtà. D’altra parte è altrettanto vero –come cantava Omero- che il
condottiero troppo mescolato alla soldataglia finirà per perdersi nella
massa indistinta. Ciò suggerisce che un leader dovrebbe trovare un
delicato equilibrio fra distanza e accondiscendenza.
Menti
in pari misura assennate, tuttavia, osservano che quando la leadership
comporta, come spesso accade, decisioni impopolari e azioni dure, i
seguaci leali e ben disposti si disaffezionano in modo più profondo di
quelli con cui il leader aveva stabilito un rapporto meramente
pragmatico.
Secondo
altri, se la storia è disseminata di demagoghi, la principale ragione
sta nella pigrizia e nella debolezza delle masse, alle quali abbiamo già
accennato. Le masse sembrano apprezzare un leader fermo, una guida, un
Führer.
Credono
che la sua ferrea decisione le proteggerà da ulteriori tracolli del
loro ordine sociale, morale e economico - il disastro che ogni
generazione percepisce imminente -, un sistema il cui periodo aureo pare
sempre collocarsi nel passato) magari in un’epoca che, per
combinazione, coincide con quella della loro infanzia).
Le
radici di questo impulso affondano profonde nella storia evolutiva
dell’umanità. Gli etologi distinguono due tipi di struttura sociale
nelle scimmie e nei primati in genere: quella «agonica», in cui l’ordine
è mantenuto nel gruppo con la violenza, e quella «edonica» dove il
rango sociale è determinato dall’animale che sa esibirsi meglio degli
altri.
Nei
babbuini, quando il maschio alfa procede a un’esibizione di dominanza,
gli altri si danno alla fuga. Quando a esibirsi è un maschio di
scimpanzè, invece, gli altri del suo gruppo si mettono comodi a
guardare. La società umana si comporta in modo da fondere i due
atteggiamenti: i poliziotti e le pop star illustrano, rispettivamente,
la strategia dei babbuini e quella degli scimpanzè.
(A. C. Grayling, Il significato delle cose, TEA ed.)
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2017/04/leadership.html
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