Mentre questo Sito viene aggredito e insultato da fogne mediatiche come Huffington Post e Vice,
che propagandano l’accoglienza a 90 gradi verso i profughi creati dalle
guerre celebrate, invocate e salutate dai su medesimi siti di
disinformazione imperialista (Left, Vice, Huffington Post
e altra spazzatura), in Libia, il 18 maggio, bande armate composte dai
miliziani armati dal governo Renzi-Gentiloni e dai terroristi di al-Qaida, che diverse ONG italiane definiscono ‘umanitari numero uno‘,
uccidevano, decapitavano e bruciavano vive 150 persone nell’aeroporto
libico di Baraq al-Shati.
Ovvio il sonoro silenzio del sistema
merdiatico italiano. SitoAurora è l’unico sito a riferire in Italia di
questo massacro commesso dagli alleati dei servizi segreti italiani e
della Farnesina in Libia, ovvero al-Qaida e la fratellanza mussulmana turcofila di Misurata, dove l’esercito italiano ha posto la propria base operativa libica.
Il
17 marzo, la sede di Saraj presso la base navale di Abu Sita, veniva
attaccata da sconosciuti, mentre a Misurata i seguaci di Salah Badhi e
Qalifa Gwal attaccavano la TV e la radio locale, venendo respinti.
Contemporaneamente Saraj era Roma per discutere con il Gruppo di
Contatto per il Mediterraneo Centrale che riunisce UE, Alto
Commissariato ONU per i Rifugiati e Organizzazione Internazionale per le
Migrazioni (organismo logistico dei mercenari islamisti).
Saraj
chiedeva all’Italia l’invio in Libia di 20 motovedette, 4 elicotteri, 24
imbarcazioni, 10 autoambulanze, 30 autoveicoli blindati e telefoni
satellitari. Il 30 marzo, a Roma rappresentanti delle tribù Tabu e Ulad
Sulayman di Sabha firmavano un accordo di riconciliazione, con cui il
governo italiano avrebbe pagato gli indennizzi alle vittime della faida
tribale.
L’Italia, tramite la comunità di sant’Egidio, interveniva
perché interessata a controllare l’aeroporto Taminhint di Sabha. Ma già
il leader tribale dei Tabu, Adam Dazi, affermava che i capitribù non
avevano idea di che accordo si trattasse. Già nel novembre 2015 il Qatar
mediò un simile accordo di riconciliazione, poi violato nel novembre
2016.
La Libyan Cement Company (LCC), è uno dei più grandi
cementifici della Libia, con tre stabilimenti a Bengasi, al-Huari e
Derna, assumeva gli specialisti della società russa RSB-Group per
sminare il cementificio di Bengasi, avviato il 22 agosto 2016. Il
cemento è necessario per ripristinare le infrastrutture distrutte dai
terroristi.
Finora veniva importato dalla Tunisia. Nell’aprile 2016
l’Esercito nazionale della Libia eliminò i terroristi dalla zona degli
impianti industriali del cementificio. I genieri dell’esercito libico
non poterono completare la bonifica per mancanza di attrezzature, a
causa delle sanzioni imposte dai Paesi occidentali contro Tobruq.
Inoltre, diversi genieri libici morirono nelle operazioni di sminamento.
Inizialmente i libici si rivolsero a una società inglese, che volle 50
dollari per metro quadro, quindi si rivolsero agli specialisti russi del
RSB-Group, che bonificarono 750000 mq di superficie per 15 dollari a metro quadro. Il RSB-Group opera in Egitto, Colombia e Cina, oltre che Libia. La LCC è di proprietà della Libya Holdings Group (LHG) di Tripoli e di 15 investitori di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Il 5 aprile, l’Esercito nazionale libico (LNA) avviava le operazioni
per liberare la base di Tamanhant, presso Sabha, mentre il GNA di
Tripoli condannava l’azione e ordinava alle sue forze di respingere
l’attacco del LNA. A marzo, 16 militari feriti venivano inviati in
Italia per cure mediche. Il 12 aprile Fayaz al-Saraj dichiarava che
“Purtroppo l’Europa non ci ha aiutato, ma ha fatto solo vuote promesse. Abbiamo bisogno urgente di aiuti seri per proteggere e controllare le coste. Inoltre, la comunità internazionale deve fare di più per contribuire a stabilizzare il Paese”.
Intanto, numerosi terroristi dello Stato
islamico provenienti dalla Libia venivano curati in cliniche in Europa
almeno dal 2015;
“Elementi dello SIIL coinvolti nell’espatrio di feriti libici usano questa strategia per uscire dalla Libia con falsi passaporti“,
secondo un documento dell’intelligence italiana. Il piano era
incentrato su un progetto occidentale per riabilitare i feriti, il
Centro per il sostegno dei libici feriti, gestito “in modo dubbio e ambiguo”
sotto la supervisione dal governo di al-Saraj a Tripoli. Secondo il
documento, gli infiltrati dello SIIL utilizzavano falsi passaporti
forniti da una rete criminale e inoltre, all’inizio del 2016, lo SIIL
occupando Sirte poté accedere a 2000 passaporti in bianco.
“Dal 15 dicembre 2015, un numero ignoto di combattenti feriti dello Stato islamico in Libia è espatriato verso un ospedale d’Istanbul per cure mediche“.
Da lì, i terroristi venivano inviati in altri ospedali turchi, provenendo soprattutto da Misurata, Sirte e Bengasi.
“Misurata è la sede di tale contrabbando dalla Libia verso l’Europa. Ed è anche il luogo dove si svolge il mercato dei passaporti falsi, quando a costoro è necessaria una falsa identità per nascondersi“.
I
principali Paesi che accolgono i terroristi feriti, secondo il documento
dello spionaggio italiano, sono Turchia, Romania, Bosnia, Francia,
Germania e Svizzera. Il medico Rodolfo Bucci confermava al Guardian di
esser stato contattato da un individuo appartenente alla rete del
contrabbando.
“Sono stato contattato da alcuni uomini per coordinare queste cure mediche perché sono uno specialista nella terapia del trattamento del dolore. Ma poi non so cosa sia successo. Non so se il programma fu interrotto“.
Il documento dell’intelligence italiano
descrive la posizione del governo al-Saraj come “altamente ambivalente”
perché, anche se non finanzia l’assistenza medica ai terroristi dello
SIIL,
“ufficialmente permette l’espatrio di elementi del MSTB (Majlis Shura Thuwar Benghazi), una milizia jihadista collegata allo SIIL”.
Secondo il rapporto dell’intelligence italiana, i documenti
preparati dagli ospedali che organizzano l’espatrio dei libici feriti
recano pochi dettagli sulle ferite, o ne sono totalmente privi.
Il 2 maggio 2017, ad Abu Dhabi s’incontravano il premier-fantoccio al-Saraj ed il Generale Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico della Camera dei Rappresentanti di Tobruq, per discutere su quali organizzazioni andassero definite terroristiche, sullo scioglimento delle milizie, sul rifiuto dell’accordo sui migranti con l’Italia, sull’eliminazione dell’Art.8 del Libyan Political Agreement di Shqirat, che garantiva al Presidente del Consiglio Presidenziale ampi poteri su Forze Armate ed intelligence. Inoltre al-Saraj e Haftar convenivano nel formare un comando militare congiunto, con a capo Haftar, e ad unire le istituzioni statali.
Gli Emirati Arabi Uniti
inoltre dispiegavano velivoli da combattimento a sostegno del Generale
Qalifa Haftar, nella Libia orientale, sulla base aerea al-Qadim. In
Libia la produzione di petrolio superava il picco dell’ottobre 2014,
arrivando a 780000 barili al giorno; grazie anche all’esenzione dai
tagli della produzione nell’OPEC.
Il maggiore giacimento petrolifero
della Libia, Sharara, pompava circa 225000 barili al giorno, che
arrivavano alla raffineria di Zawiyah. Anche al-Fil, o giacimento
Elefante, nella Libia occidentale, veniva riavviato ad aprile dopo
un’interruzione di due anni. Sharara, che ha una capacità di 330000
barili al giorno, è gestita da una joint venture tra Lybia National Oil Corp., Repsol SA, Total SA, OMV AG e Statoil ASA,
mentre al-Fil è gestito da una joint venture tra NOC ed ENI, e può
pompare fino a 90000 barili al giorno destinati all’impianto di Malitah.
Il 18 maggio, il ministero degli Esteri del governo fantoccio di
al-Saraj licenziava 12 ambasciatori, 10 dirigenti aziendali e 4 consoli
generali.
Ciò avveniva il giorno dopo che il ministro degli Esteri di
al-Saraj, Muhamad Syala, licenziava l’alleato di Qalifa Haftar e
ambasciatore in Arabia Saudita Abdulbasit al-Badri. Gli ambasciatori
rimossi erano quelli in Canada, Etiopia, Grecia, Ungheria, Paesi Bassi,
Panama, Qatar, Serbia, Slovacchia, Sudan, Vaticano e Regno Unito, i
consoli generali quelli di Alessandria, Dubai, Istanbul e Milano.
Venivano richiamati in patria gli addetti commerciali in Australia,
Belgio, Croazia, Cipro, Costa d’Avorio, Nicaragua, Oman, Pakistan,
Sierra Leone e Sri Lanka.
Il
18 maggio, 141 persone venivano uccise nell’attacco perpetrato dalle
milizie del GNA contro la base aerea di Baraq al-Shati, dove le forze
islamiste uccisero sommariamente decine di soldati disarmati. “I soldati tornavano da una sfilata militare, non erano armati, la maggior parte di essi fu uccisa”.
Il portavoce dell’Esercito nazionale libico, Colonnello Ahmad Mismari,
annunciava che gli attacchi aerei di risposta erano iniziati dalla base
aerea di Jufra contro i terroristi, e che “non ci sarebbe stato un
cessate il fuoco”.
L’attacco terroristico era stato guidato da Ahmad
Abduljalil al-Hasnawi e da Jamal al-Trayqi del 13.mo battaglione di
Misurata (fazione islamista armata ed informata direttamente
dall’Esercito italiano) con l’appoggio della 201.ma brigata e delle
brigate di difesa di Bengasi. La base era difesa dal 10.mo Battaglione
del LNA, che perse 17 uomini, oltre a subire 11 dispersi, e dal 12.mo
Battaglione, che perse 86 uomini.
Gran parte del 12.mo Battaglione si
trovava invece a Tuqra, per le celebrazioni dell’operazione Qaramah.
Inoltre, anche 7 piloti civili furono uccisi. Uno dei testimoni aveva
dichiarato che le vittime non furono uccise in combattimento ma erano
state allineate e giustiziate. Il sindaco di Baraq al-Shati riferiva che
almeno 5 soldati furono decapitati. Un altro testimone affermava, “Hanno ucciso tutti nella base: soldati, cuochi, addetti alle pulizie“,
molti con un colpo alla testa.
Alcuni erano cadetti appena laureatisi
ufficiali durante la cerimonia del LNA per celebrare il terzo
anniversario dell’operazione Qaramah. Le forze che difendevano la base,
guidate dal generale Muhamad bin Nayal, erano riuscite parzialmente a
ritirarsi, grazie ad informazioni sull’attacco imminente. Il Comando
Generale del LNA dichiarava che la risposta sarà “dura e forte”,
parlando apertamente di vendetta, “I responsabili saranno schiacciati”.
Il governo di Tobruq accusava apertamente del massacro il Consiglio di
Presidenza di al-Saraj e il suo ministro della Difesa, oltre che di aver
violato la tregua concordata ad Abu Dhabi.
I membri del Congresso di
Tobruq chiedevano il licenziamento del ministro della Difesa di
al-Saraj, Mahdi Al-Barghathi, e di processarlo per il massacro, mentre
Ali Gatrani, componente del Congresso di Tobruq, accusava del massacro
anche il capo dei fratelli musulmani libici Sadiq al-Ghariani, potente
alleato dell’Italia. I burattinai di Saraj, l’inviato speciale dell’ONU
Martin Kobler e l’ambasciatore inglese Peter Millett, chiedevano
all’esercito libico di non reagire all’aggressione, indicando la mano
del mandante della strage.
Il fantoccio della Farnesina, Fayaz al-Saraj,
sospendeva ‘per 15 giorni’ il suo ministro della Difesa, l’islamista
filo-turco Mahdi al-Barghathi. Inoltre, Saraj riconosceva che Jamal
al-Trayqi, a capo del 13.ma battaglione (con cui l’esercito italiano
collabora) era responsabile dell’attacco a Baraq al-Shati. Le brigate di
difesa di Benghazi, coinvolte nel massacro, hanno stretti legami con
Barghathi e la fratellanza mussulmana filo-turca di Misurata.
Quindi, l’Esercito nazionale libico (LNA) dichiarava che al-Qaida e le milizie del governo del fantoccio italiano al-Saraj avevano attaccato la base aerea di Baraq al-Shati, decapitando decine di soldati libici. La maggior parte degli aggressori erano stranieri. Muhamad Lifrays, portavoce del 12.mo Battaglione del LNA, che aveva subito l’assalto, dichiarava, “Siamo convinti che combattevamo al-Qaida“.
Diversi soldati erano stati decapitati o bruciati vivi. La maggior
parte dei soldati era stata uccisa con colpi alla testa o sgozzati.
Almeno 15 civili furono uccisi dai terroristi. Il comandante delle Forze
Speciali Sayqa, Mahmud Warfali, affermava “L’LNA libererà la base aerea“, mentre 112.mo, 117.mo e 173.mo Battaglione libici si avvicinavano a Baraq al-Shati.
L’Egitto condannava tale “attacco terroristico brutale“, e il Ministero degli Esteri di Cairo esprimeva
“solidarietà al popolo libico e all’Esercito libico nazionale, chiedendo di occuparsi seriamente dei responsabili dell’azione terroristica“,
aggiungendo che la politica libica non dev’essere soggetta a gruppi
criminali che si fanno strada con il terrorismo o collaborando con le
organizzazioni terroristiche finanziate da Paesi esteri.
Anche il
portavoce del Ministero degli Esteri dell’Algeria condannava l’attacco,
“Condanniamo fermamente questi attacchi e notiamo che per diversi anni abbiamo costantemente incoraggiato i partiti libici a sostenere il dialogo e la riconciliazione nazionale per risolvere la crisi“.
Nel frattempo,
gli ambasciatori della Libia in Cina, Francia, Russia, Regno Unito e
Stati Uniti (si noti l’assenza di quello in Italia) condannavano tale
crimine,
“condanniamo i tentativi di cambiare la situazione in Libia con la forza, che pregiudicano il dialogo politico e prolunga le sofferenze del popolo libico”.
Alessandro Lattanzio, 21/5/2017
Fonti:
el-Temif
FNA
FNA
FNA
Libya Herald
Libya Herald
Libya Herald
Libya Herald
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Libya Herald
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Libya Herald
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Moon of Alabama
RID
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Reuters
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The Guardian
el-Temif
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The Guardian
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