Vorrei usare un'espressione presa in prestito da un insegnante a me
molto caro, allo scopo di mettere chiaramente il punto su una questione
scottante che a me sembra ormai della massima urgenza.
E' ora di uscire
dal ghetto della spiritualità.
La cosiddetta "spiritualità", termine al
quale anche io mi sono legato per anni, che include un vastissimo
coacervo di tecniche, pratiche e metodi che hanno gli scopi più
disparati (e gli esiti più diversi sulle persone), è ormai diventata a
tutti gli effetti una moda.
Se questo non avesse avuto effetti nefasti
su molte delle persone con cui sto lavorando in questo periodo non
sarebbe poi un gran problema, potremmo vivercela come qualunque
movimento di tendenza, come un nuovo tipo di musica, un nuovo modo di
vestire ad esempio.
Ma non è così semplice.
A me sembra che si sia perso
molto del senso di ciò che si cerca, del perché lo si cerca, e dei
mezzi necessari per arrivare a ciò che si cerca.
Il fatto che mi ha
colpito di più però, non è nemmeno questo, quanto piuttosto quel
frasario costante con cui i praticanti di qualsiasi percorso (come
anche io all'inizio) si esprimono quando interrogati sul senso di ciò
che fanno o quando gli viene chiesto di raccontare quale sia il loro
percorso.
Fioccano allora parole come anima, spirito, sé, angeli,
miracoli, amore, karma, alchimia, trasmutazione, presenza, non giudizio,
non dualità e così via, parole che in sé per sé non avrebbero niente di
pericoloso se solo ci fosse dietro all'uso delle stesse un tentativo di
comprensione profonda, di esperienza dei fenomeni connessi a queste
parole (a patto che ce ne siano e che siano sperimentabili).
Ma mi sto
accorgendo invece di come, il più delle volte queste parole vengano
impiegate in maniera inconscia, stordente, per accontentarsi di un
barlume di concetto dietro al quale non vi è alcuna esperienza viva, e
di come vengano ripetute in modo quasi meccanico ogni volta che
l'esperienza della vita non risulta comprensibile, o non sia
emozionalmente tollerabile.
Ecco allora che laddove c'è il dolore, la
malattia e la morte, arrivano sempre interpretazioni del perché e del
per come quel qualcosa sia accaduto proprio a me, ecco chiacchiere sul
karma, sulla reincarnazione, sul 'chissà che ho combinato in un'altra
vita per meritarmi questo', su entità, forme pensiero e tutti i
tentativi meccanicistici di comprendere fenomeni che, a questo livello
di percezione, non sono percepibili.
E la spiritualità è diventata per
molti un ghetto nel quale rifugiarsi per fuggire dalla vita, troppo
confusa, a volte dolorosa e spesso incomprensibile.
I tentativi di
spiegazione dei fenomeni della realtà, da mere teorie quali sono, spesso
diventano intolleranti e incontrovertibili ostentazioni che portano ad
allontanarsi proprio da ciò che maggiormente può istruirci sui fenomeni
reali ossia la realtà stessa, e da coloro che la pensano diversamente da
noi.
La vita e il suo fluire sono dimenticate in favore di metafore
poco funzionali che tengono occupata la mente e ritardano un sentire
profondo che potrebbe, secondo me, essere la vera rivelazione
spirituale.
Ma questo non ci basta.
Vogliamo effetti speciali, capacità
paranormali, visione dell'aura e delle vite passate, e lo vogliamo anche
velocemente senza la necessaria disciplina che questo comporta.
Vogliamo dare ordini a Dio, usare gli angeli per i nostri scopi, e
parlare con i maestri ascesi accedendo all'akasha.
Dopo tanti, troppi
anni passati a nutrirmi di questo genere di informazioni ho iniziato a
sentirmi, appunto, stordito.
Ad un certo punto della mia vita ho notato
che questo aderire ciecamente a quel corpo di credenze che chiamiamo
spiritualità, mi stava rendendo sempre meno umano.
Ho sentito la vita
reale allontanarsi sempre di più, e ho visto aumentare quel senso di
superiorità tipico di chi si occupa di queste cose strane, prendere
gradualmente piede nelle mie relazioni con gli altri specie quelli che
non si occupavano di spiritualità.
La mia vita ad un tratto, anni fa,
era diventata una banale e noiosa predizione di eventi in base a leggi
che ritenevo perfette, immutabili e sempre affidabili. E sebbene molto
di quello che accadeva sembrasse davvero soggetto a leggi e principii
c'era sempre qualcosa che non si conformava, quell'un per cento, il
fattore X.
Fu solo quando, dietro suggerimento di una mia insegnante,
lasciai andare il tentativo di capire e controllare tutto, che mi si
palesò il fatto che, realmente, non sappiamo nulla.
Tracciamo mappe
ipotetiche di un territorio in continua trasformazione, cercando
variabili fisse che non emergono mai.
Ci convinciamo di avere delle
risposte ma, in realtà, queste risposte non ci sono se non nella nostra
testa.
Queste presunte risposte nostre o mutuate dagli altri, le
chiamiamo spiritualità. Con esse cerchiamo di dare un senso al mistero
della nostra esistenza.
Ma io comincio a credere che questo mistero, non
si possa 'comprendere', ma solo vivere a fondo, sentire.
Credo che
questo mistero possa solo essere navigato.
"Vi è una sola esperienza. Che cosa sono le esperienze del mondo se non quelle basate sul 'falso io'? Chiedete all'uomo che ha il più grande successo del mondo se conosce il suo Sè. Vi risponderà di no. Che cosa si può conoscere se non si conosce il Sè? Tutto il sapere umano è costruito su queste fragili fondamenta" - (Ramana Maharshi)
Andrea Panatta
fonte: http://maghierranti.blogspot.it/2016/07/usciamo-fuori-dal-ghetto-della.html
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