La strada per Raqqa, capitale del finto “Califfato” di ISIS/ISIL/Daesh, continuerà ad essere un indovinello avvolto in un enigma, almeno fino alle elezioni presidenziali americane. Vediamo perché.
La tenue alleanza nota come SDF, Syrian
Democratic Forces, guidata dall’YPG curdo a fianco delle sue brigate
femminili (le YPJ), sta cercando di avanzare contro Daesh a nord e ora
anche a ovest di Raqqa. L’obiettivo chiave è Tabqa, a ovest di Raqqa.
Tabqa è importante perché collega Raqqa con le posizioni Daesh vicino
Aleppo, dove un embrione di Madre di Tutte le Battaglie sta prendendo
forma. Conquistare Tabqa non è una cosa da poco, perché le forze SDF
dovrebbero attraversare il fiume Eufrate, che guarda caso è una linea
rossa tracciata dal “Sultano” turco Erdogan.
Congiunta all’avanzata di SDF, Washington ha messo in piedi una vasta operazione di pubbliche relazioni, che comprende una esilarante controversia
sul fatto che militari americani abbiano messo piede o no sul suolo
siriano. Il presidente Obama ha sempre ripetuto, e ripete senza sosta,
che non lo faranno; il Dipartimento di Stato dice la stessa cosa. Ma i
piedi sul terreno – 250, per la precisione – ci sono eccome, sebbene
portino le insegne dell’YPG.
Il Pentagono sostiene che questi militari
hanno solo il ruolo di consiglieri e assistenti – nel tipico stile
“guidare dalle retrovie” di Obama. I piedi appartengono infatti ad
elementi delle Forze Speciali esperti in UW (Unconventional Warfare,
guerra non convenzionale). Tuttavia il teatro delle operazioni creato da
Daesh è decisamente convenzionale: Daesh è costituito da un piccolo
esercito con molti mezzi corazzati e parecchia artiglieria, contro cui
le tattiche di guerra non convenzionale sono inefficaci.
L’anatra zoppa che è l’amministrazione Obama – la cui “politica” sulla Siria è quasi solo ridotta al mantra “Assad deve andarsene” – sta cercando di dare al pubblico americano l’impressione di stare realmente combattendo Daesh, ma è una finzione. Senza un vero appoggio aereo alla “coalizione” (a parte il bombardamento di alcuni bersagli Daesh a sud di Ain Issa) e senza uno schieramento di truppe, nessuna “guida dalle retrovie” porterà ad una vittoria americana a Raqqa.
Il campo di battaglia elettorale
E’ illuminante che l’offensiva su Raqqa
abbia ricevuto il via libera solo dopo che il gen. Joseph Votel,
comandante del CENTCOM, si è recato a Kobane, in Siria, e ad Ankara.
Anche così, il CENTCOM ha acconsentito solo ad un’operazione parziale –
vietando all’YPG di attaccare la strategica città di frontiera di
Jarablus, una delle ultime “porte girevoli” di Daesh verso la Turchia:
questo perché la NATO si rifiuta di varcare la linea rossa stabilita da
un alleato. Non è nemmeno questione di conquistare Raqqa; SDF non ha né
le truppe né le risorse per farlo. Come spiega il comandante di SDF, Abu Fayyad, l’obiettivo è liberare la regione a nord di Raqqa.
In ogni caso, i curdi siriani non si
rassegneranno a non avanzare su Jarablus; per mesi la loro priorità
strategica è stata cercare di aprire un corridoio fra i loro territori
di Kobane e Afrin. Mentre i loro comandanti insistono che Washington non
dovrebbe interferire se dovessero farlo – ma questo è molto da vedere –
fanno anche notare che l’amministrazione Obama vuole una “vittoria” a
Raqqa (e anche a Mosul in Iraq) prima delle elezioni presidenziali di
novembre.
Quindi è di questo che si tratta veramente: un regalo per Hillary Clinton da parte dell'”anatra zoppa” Obama, mutilata in politica estera, sperando che Hillary sopravviva allo scandalo strisciante del server email.
Per i curdi siriani,
anche se fossero capaci di conquistare Raqqa con l’assistenza “guida
dalle retrovie” – anche questo molto da vedere, perché Daesh
combatterebbe fino all’ultimo, con tutto quello che ha – non sarebbero
poi capaci di ripulirla e tenerla: Raqqa è una città araba sunnita.
Difficilmente SDF riuscirebbe a trasferire in città abbastanza risorse
senza compromettere le sue difese in Rojava.
Di nuovo, “sulla strada per Raqqa” viene
presentato negli USA come una sparata da pubbliche relazioni, del tipo
“stiamo combattendo per vincere”. Perversamente, la bravata da PR
contiene una possibile trappola per Damasco. L’esercito arabo siriano
(SAA) è molto concentrato sulla messa in sicurezza di Palmira – e delle
sue molte linee di rifornimento, dei campi petroliferi, di alcune
piccole basi aeree regionali per gli elicotteri russi, e deve anche
sopprimere alcune sacche di jihadisti e ribelli “moderati” ormai
circondati. E’ un sacco di lavoro, e non è possibile che l’esercito
siriano si allunghi fino a Raqqa per combattere anche laggiù.
La conseguenza è che per Damasco – e
anche per Mosca – Raqqa non è nei piani, almeno per ora. Uno scenario
molto più preoccupante è Aleppo, dove i mercenari del Sultano Erdogan,
armati e pagati, si stanno preparando per la Madre di Tutte le
Battaglie.
Il piano di gioco
Considerando l’improbabile scenario in
cui i curdi siriani riescano in qualche modo a conquistare Raqqa, non è
difficile prevedere il seguito, chiunque vinca a novembre. Washington
farà di Raqqa una sua satrapia e giocherà – di nuovo – a Divide et
Impera, creando uno stato arabo vassallo curdo-sunnita dentro la Siria,
lungo l’Eufrate.
Così, questi “consiglieri-assistenti” USA sul suolo siriano sono di fatto l’avanguardia per un complesso piano, per mezzo del quale Washington, in caso di successo, sarebbe capace di smascherare la finzione tenuta in piedi dalla gang dei petrodollari, la mezzaluna sciita. E terrebbe la Siria frammentata e indebolita per il futuro prevedibile.
Il cosiddetto “alleato NATO” turco,
tuttavia, costituirà un gravissimo problema per il piano USA.
Non c’è
verso che Ankara, sotto il Sultano Erdogan, cancelli la linea rossa che
ha tracciato contro i curdi. Anzi: il Sultano Erdogan la sta
raddoppiando. Erdogan sta scommettendo forte su Jabhat al-Nusra –
corrotta da emissari turchi affinché si stacchi da Al-Qaeda – perché
crei ulteriore disordine in Siria sul fronte di Aleppo. E non si
dovrebbe mai dimenticare il gas: dopotutto la guerra in Siria è una
guerra per l’energia. Guarda caso, i giacimenti siriani di gas sono
quasi tutti fra Raqqa e Deir ez-Zor. E’ facile immaginare le
multinazionali petrolifere USA leccarsi i baffi al pensiero che quelle
riserve siano un giorno sotto il controllo americano.
Il che ci porta alla domanda chiave: in
che modo Mosca risolverà l’indovinello di Raqqa? Ecco un altro
indovinello – dentro un enigma.
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Articolo di Pepe Escobar pubblicato da Sputnik Int. il 31 Giugno 2016
Traduzione in Italiano a cura di Massimo Soricetti per SakerItalia.it
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