lunedì 6 giugno 2016

Sulla strada per Raqqa


La strada per Raqqa, capitale del finto “Califfato” di ISIS/ISIL/Daesh, continuerà ad essere un indovinello avvolto in un enigma, almeno fino alle elezioni presidenziali americane. Vediamo perché.


La tenue alleanza nota come SDF, Syrian Democratic Forces, guidata dall’YPG curdo a fianco delle sue brigate femminili (le YPJ), sta cercando di avanzare contro Daesh a nord e ora anche a ovest di Raqqa. L’obiettivo chiave è Tabqa, a ovest di Raqqa. Tabqa è importante perché collega Raqqa con le posizioni Daesh vicino Aleppo, dove un embrione di Madre di Tutte le Battaglie sta prendendo forma. Conquistare Tabqa non è una cosa da poco, perché le forze SDF dovrebbero attraversare il fiume Eufrate, che guarda caso è una linea rossa tracciata dal “Sultano” turco Erdogan.

Congiunta all’avanzata di SDF, Washington ha messo in piedi una vasta operazione di pubbliche relazioni, che comprende una esilarante controversia sul fatto che militari americani abbiano messo piede o no sul suolo siriano. Il presidente Obama ha sempre ripetuto, e ripete senza sosta, che non lo faranno; il Dipartimento di Stato dice la stessa cosa. Ma i piedi sul terreno – 250, per la precisione – ci sono eccome, sebbene portino le insegne dell’YPG.

Il Pentagono sostiene che questi militari hanno solo il ruolo di consiglieri e assistenti – nel tipico stile “guidare dalle retrovie” di Obama. I piedi appartengono infatti ad elementi delle Forze Speciali esperti in UW (Unconventional Warfare, guerra non convenzionale). Tuttavia il teatro delle operazioni creato da Daesh è decisamente convenzionale: Daesh è costituito da un piccolo esercito con molti mezzi corazzati e parecchia artiglieria, contro cui le tattiche di guerra non convenzionale sono inefficaci.
L’anatra zoppa che è l’amministrazione Obama – la cui “politica” sulla Siria è quasi solo ridotta al mantra “Assad deve andarsene” – sta cercando di dare al pubblico americano l’impressione di stare realmente combattendo Daesh, ma è una finzione. Senza un vero appoggio aereo alla “coalizione” (a parte il bombardamento di alcuni bersagli Daesh a sud di Ain Issa) e senza uno schieramento di truppe, nessuna “guida dalle retrovie” porterà ad una vittoria americana a Raqqa.
Il campo di battaglia elettorale
E’ illuminante che l’offensiva su Raqqa abbia ricevuto il via libera solo dopo che il gen. Joseph Votel, comandante del CENTCOM, si è recato a Kobane, in Siria, e ad Ankara. Anche così, il CENTCOM ha acconsentito solo ad un’operazione parziale – vietando all’YPG di attaccare la strategica città di frontiera di Jarablus, una delle ultime “porte girevoli” di Daesh verso la Turchia: questo perché la NATO si rifiuta di varcare la linea rossa stabilita da un alleato. Non è nemmeno questione di conquistare Raqqa; SDF non ha né le truppe né le risorse per farlo. Come spiega il comandante di SDF, Abu Fayyad, l’obiettivo è liberare la regione a nord di Raqqa.

In ogni caso, i curdi siriani non si rassegneranno a non avanzare su Jarablus; per mesi la loro priorità strategica è stata cercare di aprire un corridoio fra i loro territori di Kobane e Afrin. Mentre i loro comandanti insistono che Washington non dovrebbe interferire se dovessero farlo – ma questo è molto da vedere – fanno anche notare che l’amministrazione Obama vuole una “vittoria” a Raqqa (e anche a Mosul in Iraq) prima delle elezioni presidenziali di novembre.
Quindi è di questo che si tratta veramente: un regalo per Hillary Clinton da parte dell'”anatra zoppa” Obama, mutilata in politica estera, sperando che Hillary sopravviva allo scandalo strisciante del server email.
Per i curdi siriani, anche se fossero capaci di conquistare Raqqa con l’assistenza “guida dalle retrovie” – anche questo molto da vedere, perché Daesh combatterebbe fino all’ultimo, con tutto quello che ha – non sarebbero poi capaci di ripulirla e tenerla: Raqqa è una città araba sunnita. Difficilmente SDF riuscirebbe a trasferire in città abbastanza risorse senza compromettere le sue difese in Rojava.

Di nuovo, “sulla strada per Raqqa” viene presentato negli USA come una sparata da pubbliche relazioni, del tipo “stiamo combattendo per vincere”. Perversamente, la bravata da PR contiene una possibile trappola per Damasco. L’esercito arabo siriano (SAA) è molto concentrato sulla messa in sicurezza di Palmira – e delle sue molte linee di rifornimento, dei campi petroliferi, di alcune piccole basi aeree regionali per gli elicotteri russi, e deve anche sopprimere alcune sacche di jihadisti e ribelli “moderati” ormai circondati. E’ un sacco di lavoro, e non è possibile che l’esercito siriano si allunghi fino a Raqqa per combattere anche laggiù.

La conseguenza è che per Damasco – e anche per Mosca – Raqqa non è nei piani, almeno per ora. Uno scenario molto più preoccupante è Aleppo, dove i mercenari del Sultano Erdogan, armati e pagati, si stanno preparando per la Madre di Tutte le Battaglie.

Il piano di gioco
Considerando l’improbabile scenario in cui i curdi siriani riescano in qualche modo a conquistare Raqqa, non è difficile prevedere il seguito, chiunque vinca a novembre. Washington farà di Raqqa una sua satrapia e giocherà – di nuovo – a Divide et Impera, creando uno stato arabo vassallo curdo-sunnita dentro la Siria, lungo l’Eufrate.
Così, questi “consiglieri-assistenti” USA sul suolo siriano sono di fatto l’avanguardia per un complesso piano, per mezzo del quale Washington, in caso di successo, sarebbe capace di smascherare la finzione tenuta in piedi dalla gang dei petrodollari, la mezzaluna sciita. E terrebbe la Siria frammentata e indebolita per il futuro prevedibile.
Il cosiddetto “alleato NATO” turco, tuttavia, costituirà un gravissimo problema per il piano USA. 

Non c’è verso che Ankara, sotto il Sultano Erdogan, cancelli la linea rossa che ha tracciato contro i curdi. Anzi: il Sultano Erdogan la sta raddoppiando. Erdogan sta scommettendo forte su Jabhat al-Nusra – corrotta da emissari turchi affinché si stacchi da Al-Qaeda – perché crei ulteriore disordine in Siria sul fronte di Aleppo. E non si dovrebbe mai dimenticare il gas: dopotutto la guerra in Siria è una guerra per l’energia. Guarda caso, i giacimenti siriani di gas sono quasi tutti fra Raqqa e Deir ez-Zor. E’ facile immaginare le multinazionali petrolifere USA leccarsi i baffi al pensiero che quelle riserve siano un giorno sotto il controllo americano.

Il che ci porta alla domanda chiave: in che modo Mosca risolverà l’indovinello di Raqqa? Ecco un altro indovinello – dentro un enigma.

*****
 
Articolo di Pepe Escobar pubblicato da Sputnik Int. il 31 Giugno 2016
Traduzione in Italiano a cura di Massimo Soricetti per SakerItalia.it

Nessun commento:

Posta un commento