“La verità non può essere creata, ma percepita.”
(Paramhansa Yogananda)
Uno
dei più grandi enigmi della scienza è il rapporto tra mente e cervello
ovvero il rapporto tra lo spirito e il corpo. Nel tempo sono state
avanzate svariate ipotesi sul problema della coscienza e sulla sua
origine durante l’evoluzione. E, dopo il 1859, la prospettiva degli
studiosi è cambiata in modo radicale, perché si sono diffuse le idee di
Darwin e Wallace sulla selezione naturale. Ma se per alcuni, la teoria
dell’evoluzione può spiegare l’anatomia della specie, essa può spiegare
anche una funzione complessa come la coscienza?
Per
lo psicologo americano, Julian Jaynes, questo è possibile come afferma
nell’affascinante ipotesi che prende le mosse dal darwinismo per
sostenere l’evoluzione della coscienza. Jaynes mette in evidenza che,
nel 1859, alla fine de “L’origine della specie” Darwin sottintendeva che
Dio ha creato sia mente che corpo negli antichi organismi primitivi,
perciò mente e corpo evolvono parallelamente. Il tempo in cui è nato il
mondo interiore e la coscienza corrisponde, secondo Jaynes, al momento
dello sviluppo del linguaggio che ha prodotto la coscienza.
Jaynes
suggerisce una datazione che fissa al tardo Pleistocene cioè nell’era
di Neanderthal, per il fatto che le necessità imposte dalla caccia ai
grandi animali durante l’ultima era glaciale rende plausibile che il
linguaggio sorgesse allora. In quel tempo è avvenuto anche uno
straordinario sviluppo di specifiche aree del cervello che sono
coinvolte nel linguaggio, e uno straordinario sviluppo degli utensili,
come ci dimostrano gli scavi archeologici.
Sappiamo,
dice Jaynes, che “il linguaggio non è solo comunicazione, ma anche ciò
che, agendo come un organo di percezione, orienta e fissa l’attenzione
su attività e oggetti particolari rendendo possibile la creazione di
utensili avanzati.” La stima dell’età massima del linguaggio è di 50.000
anni a.C. e, in questo lasso di tempo, deve aver preso corpo anche la
coscienza. Verso il 3.000 a.C., gli uomini appresero l’arte della
scrittura, per cui possiamo studiare gli scritti più antichi per capire
quando appare un “io narrante” o un significato di ordine psicologico.
Dall’analisi
emerge che il testo più adatto è l’Iliade. Per Jaynes, quelle vicende
furono narrate da ignoti aedi fino dal 1230 a.C., e poi furono
trascritte verso il 900-850 a.C., forse da Omero. La cosa interessante è
il fatto che nel poema non c’è traccia di un io personale. Nessun uomo
si ferma a riflettere sul senso di ciò che fa, nessun personaggio ha
coscienza della sua presenza nel mondo. Ogni volta che un uomo deve
prendere una decisione, ecco che entra in azione una voce che gli dice
quello che deve fare.
Le
voci che guidano gli uomini vengono dagli dei, perché nella mente umana
esistono due camere. In una camera abita il dio che ordina invece
nell’altra abita l’uomo che obbedisce alla voce del dio. Una forma
mentale del genere, dice Jaynes, si può definire bicamerale, per
l’assonanza con l’assemblea legislativa parlamentare. La mente dell'uomo
di quel tempo era divisa in due parti: una parte era quella decisionale
mentre l’altra parte era esecutiva. L’uomo poteva fare, ma non decideva
cosa doveva fare.
Nella
sua vita ordinaria viveva come un uomo normale ma, se sorgeva un
problema, giungeva il dio che lo guidava. E lui obbediva. Ma perché era
nata questa mente bicamerale? Intorno al 9.000 a.C., si erano sviluppate
la comunità agricole che andarono a sostituire la pratica della caccia,
perciò la voce del dio serviva per garantire l’ordine sociale delle
grandi comunità agricole che si raggruppavano. Nasceva così una civiltà
bicamerale e la teoria di Jaynes è che “l’allucinazione verbale sia
evoluta durante il Neanderthal insieme al linguaggio per rafforzare
l’attenzione e la perseveranza nell’azione.”
Gli
uomini dotati di questa arcaica mente formavano delle società ordinate
in rigide gerarchie secondo le regole organizzative definite dalla mente
direttiva. I regni bicamerali erano delle teocrazie gerarchiche che
avevano a capo un dio oppure un suo idolo. A volte erano guidate da un
uomo di natura divina che prestava tutto il suo essere alla voce.
Civiltà di questo tipo sorsero nel Vicino Oriente, dall’Egitto al Kush
nel Sudan meridionale, fino all’Africa centrale. Verso nord si
svilupparono anche in Anatolia, Creta, Grecia, in India e nella Russia
meridionale, nella penisola malese arrivando fino in Cina.
In
Mesoamerica vediamo svilupparsi la civiltà azteca e l’avvento della
civiltà Inca la cui mente bicamerale subì l’urto devastatore del
conquistatori europei. Ma la civiltà in cui si vede maggiormente la
struttura della mente bicamerale è quella della Mesopotamia dove, a capo
dello stato c’era una statua di legno con gli occhi fatti con gemme
preziose. Questa statua era fatta di legno leggero per essere più
facilmente trasportata, era riccamente abbigliata e profumata e veniva
fatta sedere dietro un gran tavolo nell’ampia sala in cima alla
ziggurat. Quello che noi chiamiamo “il re” era, in realtà, il primo
intendente del dio.
Ci
sono molte prove di testi scritte, nella struttura dei nomi personali e
nei sigilli ritrovati, che ogni uomo aveva il suo dio personale. In
Mesopotamia era “Ili” e per gli ebrei era “El” oppure “Elohim,” invece
in Egitto veniva chiamato “ka.” Ma un sistema di questo tipo era
precario, per cui le civiltà bicamerali andarono in crisi, come avvenne
per i Maya che abbandonarono le loro città. Le Mesopotamia restò più
stabile fino a 1.400 a.C.
Dopo
questa data, gli dei non furono più raffigurati nei dipinti e, in
alcuni casi, si videro figure di rei inginocchiati davanti a un trono
vuoto. Nel poema epico l’Epos di Tumulti-Ninurta, per la prima volta, si
parla di uomini che sono abbandonati dagli dei. Le ragioni per cui
accade questo sono molte, tra cui vanno considerate le varie catastrofi
naturali come l’eruzione sull’isola di Tera e le migrazioni dei popoli
che abbandonarono i regni bicamerali che furono distrutti.
Anche
la scrittura, secondo Jaynes, fu responsabile della nascita della
coscienza, perché lo scritto indebolì il predominio dell'udito a
vantaggio delle funzioni visive. Così nasceva l’uomo dotato di una forma
di proto-coscienza. Dopo la perdita della mente bicamerale, si spensero
le voci che dicevano all’uomo cosa doveva fare, ma vennero in auge vari
metodi per tornare a udire i messaggi e le direttive degli dei. Vennero
in uso molti metodi di divinazione e si diffusero pratiche come il
lancio delle sorti, il lancio dei dadi, la lettura dei movimenti del
fumo oppure delle forme disegnate dall’olio nell’acqua.
I
sacerdoti iniziarono a celebrare i sacrifici animali e traevano delle
previsioni dall’esame delle loro viscere. Quindi sorse la pratica
dell’astrologia di cui c’è testimonianza anche nella scrittura
cuneiforme. Se valutiamo la civiltà greca, scrive Jaynes, vediamo la
storia della mente bicamerale nell’Iliade, l’Odissea e in tutta la
poesia elegiaca dei due secoli seguenti. Poi Solone che è vissuto verso
il 600 a.C., che invitò l’uomo al “Conosci te stesso!” che è attribuito
all’oracolo di Delfi.
La
mente bicamerale fu vinta dalla coscienza, perché la struttura
cerebrale si modificò. Il linguaggio era posto in un solo emisfero (area
di Wernicke destra) per lasciare l’altro emisfero libero di ascoltare
la voce degli dei. Il dio parlava nella regione dell’emisfero destro ed
era ascoltato con l’emisfero sinistro. Jaynes, a sostegno della sua idea
cita la tendenza di entrambi gli emisferi a capire il linguaggio mentre
solo l’emisfero sinistro è normalmente in grado di parlare.
La
presenza di vestigia, nell’area di Wernicke, di un’attività cerebrale
simile alle voci degli dei e anche che, in certe condizioni, i due
emisferi cerebrali sono in grado di agire come due persone indipendenti
come accadeva tra l’uomo bicamerale e il suo dio. Ora sappiamo che il
cervello può essere modificato dall’ambiente più di quanto crediamo per
cui è probabile che l’uomo bicamerale sia divenuto cosciente in virtù
dell’apprendimento e della cultura.
Una
prova della mente bicamerale teorizzata da Julian Jaynes proviene anche
da Plutarco che, nel famoso dialogo delfico, “Il tramonto degli
oracoli”, racconta che l’egiziano Tamo, pilota di una nave mercantile,
mentre navigava nel mare Adriatico, sentì una potente voce che gli
diceva che: «Il grande dio Pan è morto!» E il fatto era così
straordinario che fu riferito all’imperatore Tiberio. In effetti, la
voce era venuta ad annunciare che la morte del dio Pan segnava la fine
dell’età classica.
Buona erranza
Sharatan fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2017/04/la-nascita-della-coscienza.html
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